Albanesi e serbi: l’epica in comune

In passato nei Balcani i canti epici sono stati essenziali in chiave di costruzione della nazione. E ai giorni nostri spesso spunti di controversie nazionaliste. Ma in realtà cantano una storia in comune. Un’intervista a Rigels Halili

31/05/2013, Marjola Rukaj -

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Albania - archivio Franco Tagliarini

In cosa consiste il suo ultimo studio?

Il punto d’inizio è la polemica pluriennale tra gli albanesi e gli jugoslavi su chi è l’autore dei canti epici dei Kreshnik. Ho cercato di analizzarne le ragioni, da dove scaturisce questa polemica, quali sono le circostanze politiche, sociali e culturali che l’hanno prodotta.

Si tratta di fenomeni molto importanti per comprendere la formazione delle nazioni moderne nei Balcani e in Europa centrale e orientale, il passaggio dalla comunicazione interpersonale orale, alla fase in cui appaiono altri mezzi di comunicazione, come la scrittura, la stampa, la radio.

Il passaggio da una fase di mezzi di comunicazione a un’altra comporta enormi cambiamenti nel modo in cui funziona una determinata società. Inoltre questi canti sono cruciali nella fase in cui i gruppi etnici o nazionali avviano un processo che li porterà a divenire nazioni moderne, che nei Balcani inizia verso la fine del XVIII secolo, ma che caratterizza per lo più il XIX, il XX e anche il XXI secolo.

In questo processo vi è la nazionalizzazione delle tradizioni locali, o di aspetti della cultura spirituale e materiale locale e regionale e la loro unificazione.

Cosa intende per polemica tra gli albanesi e gli jugoslavi sui canti epici?

Quando si parla di canti epici è spesso presente la questione del Kosovo. La questione su chi sia l’autore principale dei canti è connessa all’autoctonia albanese o serba nei Balcani in particolar modo nel Kosovo.

A me però non interessa chi è che ha cantato per primo questi canti ma cosa si è fatto di questi canti una volta che le gusle/lahute sono divenuti “strumenti” nazionali: e da un unico strumento ne son derivati due: la lahuta albanese e la gusla degli slavi del sud.

E del resto chiunque sia stato il primo a prendere la lahuta/gusla in mano non è stato certo né albanese né serbo come lo intendiamo noi oggi.

Qual è il territorio di cui narrano questi canti epici?

Il territorio dove sono stati cantati è una parte dell’Albania settentrionale, il Kosovo occidentale e una parte del Sangiaccato meridionale. Ma grazie ai testi scolastici e a un adattamento in lingua letteraria per bambini di Mistrush Kuteli, ai film o ai clip su youtube, questa tradizione non opera più in Albania a livello locale ma a livello nazionale.

Muji e Halil non sono più eroi dei canti della zona montuosa di Kelmendi, ma sono diventati nel frattempo eroi albanesi, nazionali, espressione della vitalità della nazione. La lahuta – o la gusla – diventano un simbolo nazionale, da integrare persino nell’hip hop di gruppi come gli Etnoengjuj.

Questi canti funzionavano ai tempi in cui dominava l’oralità, poi sono stati raccolti secondo determinati criteri di canonizzazione e unificazione venendo nazionalizzati e politicizzati per altri motivi in particolar modo nell’ambito dei rapporti serbo-albanesi in Kosovo nel XX secolo.

Cosa l’ha ispirata ad occuparsi di questo tema?

Sono sempre stato molto interessato ai rapporti serbo-albanesi. Ho pensato di occuparmi di questo tema quando studiavo filologia all’università Eqrem Cabej, nella mia città, Argirocastro. Ma ho iniziato a farlo concretamente dopo i miei studi a Varsavia e dopo che avevo studiato bene la lingua serba.

Con enorme dispiacere noto che sono pochi gli studiosi albanesi che conoscono il serbo o gli studiosi serbi che conoscono l’albanese. Fa eccezione solo la generazione degli accademici più anziani in Kosovo. La conoscenza del serbo mi ha permesso di fare ricerca in Kosovo nella zona di Rugova, e nella zona del Sangiaccato e in Montenegro.

Quando sono nati questi cicli di canti epici?

Non vi sono prove incontestabili su questo. Gli studiosi serbi riconducono questi canti alle vicende della Vojna Krajina, nella zona transfrontaliera tra l’Impero ottomano e quello asburgico.

Gli studiosi albanesi invece ritengono che questi canti siano più datati e riflettano i conflitti tra i protoalbanesi e gli slavi.

Quello che si può dire con certezza è che sono dei canti in cui si narrano vari periodi sovrapposti, visto che riflettono le realtà in cui sono stati cantati. In alcuni canti ad esempio si parla di battaglie che si sono svolte con armi fredde medievali e non con armi da sparo come il fucile ecc.

Questo ad esempio indica che alcuni di questi canti risalgono a un periodo precedente al XV secolo, dal momento che sappiamo che le armi da fuoco si sono diffuse nei Balcani non prima del XVI secolo.

Quali sono gli aspetti in comune tra i canti in albanese e quelli in serbo?

Per quanto riguarda quest’aspetto bisogna raggruppare da una parte i canti serbi e albanesi e dall’altra quelli bosniaci e montenegrini. Gli eroi sono Muj e Halil. Nei canti serbi e albanesi Muj e Halil sono gli eroi principali, invece nei canti bosniaci possono essere anche secondari.

Hanno in comune in ogni caso il modo in cui si cantano: sono dei canti epici monofonici, accompagnati dalla lahuta/gusla. Poi dal punto di vista formale vi sono delle distinzioni da regione a regione.

Cos’è che ha prodotto le caratteristiche in comune?

Le caratteristiche comuni sono conseguenza innanzitutto dalla vicinanza geografica. Ma nel mio prossimo libro cercherò di dimostrare che questi tratti comuni derivano anche da una profonda simbiosi, addirittura trilingue tra gli slavi e gli albanesi nei Balcani durante il dominio ottomano. Come del resto affermava Milan Sufflay, che descrive molto bene questo tipo di simbiosi nel tardo medioevo.

Io sono dell’idea che la simbiosi tra gli albanesi e gli slavi del sud sia continuata anche durante il dominio ottomano, seguendo però categorie religiose: quindi gli albanesi musulmani e i bosniaci e montenegrini musulmani da una parte e gli albanesi cristiani, e serbi, montenegrini o bosniaci cristiani dall’altra.

Il punto di incontro di queste tradizioni era il Sangiaccato, dove Milman Parry e Albert Lordi hanno trovato sia prima che dopo la Seconda guerra mondiale cantanti bilingui bosniaco-albanesi musulmani. Anch’io ho incontrato nell’estate del 2006 dei cantanti bilingui, ma che ormai cantavano delle canzoni liriche, dai soggetti leggeri.

Quanto sono consapevoli i serbi e gli albanesi di queste comunanze?

Le élites culturali sono consapevoli di queste comunanze – come anche delle differenze – ma spesso questi aspetti sono distorti, per via dell’ignoranza o degli stereotipi e anche da determinate situazioni politiche.

In genere domina la mancanza di conoscenze, dovuta al fatto che gli studiosi albanesi, serbi e bosniaci non leggono le lingue di coloro con cui dibattono.

Mi è capitato di sentire discorsi scientifici pieni di pathos e trasfigurazione letteraria ma con poca scienza e argomenti razionali. Parlo in particolar modo degli albanesi.

I lettori comuni ne sono invece meno consapevoli.

In che modo questi cicli di canti sono diventati la base per la formazione delle identità nazionali?

Nel caso dei serbi si parla di serbi in quanto gruppo etnico – o come nazione – partendo dalla situazione prima della battaglia del Kosovo fino all’inizio del XIX secolo.

I canti vengono inizialmente visti come una fonte storica, e per questo motivo sono diventati base della visione storica dell’ideologia nazionale serba. Sono fondamentali i canti sulla battaglia del Kosovo, da cui poi è stato creato il mito del Kosovo presso i serbi moderni a partire dal XIX secolo. I canti venivano visti come una fonte di ispirazione, tra il XIX e il XX secolo, mentre la Serbia cercava di legittimare le sue ambizioni territoriali in Kosovo, Macedonia e Albania settentrionale.

I canti degli albanesi invece sono diventati parte della cultura nazionale albanese solo intorno al 1930 e dopo la Seconda guerra mondiale, nell’ambito degli sviluppi in Kosovo. Gli studiosi albanesi hanno puntato soprattutto sull’autoctonia dei guerrieri Kreshnik, collegando la questione con l’origine degli albanesi.

L’argomentazione era semplice: i canti sono antichi, e albanesi, e quindi dimostrano l’autoctonia albanese nei Balcani. Entrambi si basano sul presupposto che i canti sono parte dell’identità culturale di una nazione.

Vi sono però numerose questioni che andrebbero affrontate: ad esempio nel ciclo di Vuk  Karadžić non vi è nessun canto che descriva la battaglia del Kosovo. Il ciclo del Kosovo descrive il momento prima e dopo la battaglia ma non la battaglia stessa.

Mentre i canti albanesi si concentrano sulla battaglia e la vedono come uno scontro tra il sultano Murat e Miloš Obilić. I canti serbi si riferiscono alla storia ma non sono storia, e questo lo sottolineano anche molti studiosi serbi, come Ilarion Ruvarac, Miodrag Popović, e Ivan Čolović.

I canti albanesi sono per lo più vicende riguardanti la terra e i pascoli, non cantano alle battaglie in nome della nazione. Hanno un carattere locale, anche se la loro geografia è molto ampia e racchiude a volte anche Mosca e Baghdad.

Qual è l’etimologia del termine Kreshnik?

Ci sono diverse correnti di pensiero sull’etimologia del termine Kreshnik. Gli studiosi jugoslavi in passato e serbi oggi, riconducono l’origine del termine alla parola Krajišnik, guerriero della Krajina. Krajina vuol dire regione, in questo caso si riferiscono alla regione transfrontaliera del territorio asburgico, in quella che oggi è la frontiera croato-bosniaca.

Gli albanesi invece spiegano il termine con la parola albanese Kreshta, cima, dal momento che questi guerrieri vivevano in una zona montuosa. A mio avviso la spiegazione albanese non è corretta.

Come emergono i rapporti serbo-albanesi in questi canti?

Non so se nei canti epici fino al XIX secolo si possa parlare di rapporti serbo-albanesi. Naturalmente questi rapporti appaiono ampiamente nella storia, in particolar modo in Kosovo, ma non in quella leggendaria.

I canti non conoscono il principio di nazione e quindi non riconoscono né una nazione serba né una albanese. La parola “albanese” (shqip) appare solo una volta nella raccolta “Visaret e Kombit” pubblicato dagli studiosi Palaj e Kurti, nel 1937, mentre gli oppositori dei kreshnik sono slavi, shkje.

Cosa vuol dire “shkje”?

Il termine deriva dal latino “slavus” e quindi slavo. Questo termine è diventato un termine con cui chiamare tutti gli slavi, e addirittura anche gli albanesi ortodossi. In Kosovo oggi il termine presenta una certa connotazione negativa, come può essere Šiptari in serbo.

In questo schema quindi tra i Kreshnik e gli Shkje vi è traccia del cosiddetto odio atavico come lo interpretano i nazionalisti?

No, non si può parlare di odio atavico in questi canti, al contrario, il guerriero rivale viene lodato allo stesso modo dell’eroe principale. Quello che li fa diventare “hate speech” è l’interpretazione, la connessione con i contesti moderni, politici e nazionali, o nazionalisti.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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