Alain Touraine: per la Turchia in Europa

L’importanza dell’adesione della Turchia all’UE per far emergere una nuova prospettiva su scala mondiale, spezzare l’idea dei blocchi e dello scontro tra civiltà. Un’intervista del quotidiano turco Radikal al sociologo che domenica ha votato sì al referendum francese sulla costituzione europea

30/05/2005, Redazione -

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Alain Touraine

Lo scorso aprile Alain Touraine, insieme ad Edgar Morin e Jean Baudrillard, ha partecipato ad Istanbul ad un convegno organizzato dall’Academie de la Latinitè sul tema: "Islam, Latinitè, Transmodernitè". Il sociologo è stato poi invitato dal Dipartimento di Sociologia dell’Università Galatasaray a tenere una conferenza dal titolo: "Dal multiculturalismo verso il confronto tra culture". In quell’occasione, la prof.ssa Nazli Okten lo ha intervistato per il quotidiano Radikal sul tema della costruzione europea

Di: Nazli Okten, Radikal, 25 aprile 2005 (tit. orig.: "La Turchia e’ la condizione per un’Europa forte")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Fabio Salomoni

Nazli Okten: Se vuole, cominciamo dal manifesto firmato da lei, Edgar Morin, Jean-Cristophe Rufin e Guy Sorman e poi pubblicato su Le Monde. Sostenete che solo con l’adesione della Turchia l’Unione Europea acquisirà la forza necessaria per avere un ruolo sulla scena politica globale. Quali sono state le dinamiche che vi hanno portati a questa posizione? Come avete deciso?

Alain Touraine Se devo dire la verità, sono io ad aver scritto quel manifesto. Solo dopo abbiamo chiesto le firme di Morin e degli altri. Rispetto a questi argomenti ciascuno ha un personale punto di vista e propri campi d’interesse.

Se lasciamo per un attimo da parte la questione dell’avvicinamento progressivo, da centinaia di anni, della Turchia all’Europa, anche perchè non sono un esperto, quello che mi interessa è questo: gli Europei creano un economia, un progetto unitario, sono argomenti importanti, ma poi non hanno un ruolo a livello mondiale. Quando è necessario l’intervento dell’Europa, la conclusione è un disastro. Kosovo, Bosnia, Vukovar, Srebrenica, sono una vergogna per l’Europa.

Dopo aver osservato quello che accade sulla sponda americana, sono arrivato a questa conclusione: se gli europei si unissero ai turchi, il mondo europeo ed islamico quindi, potrebbero cominciare ad immaginare politiche alternative a quelle portate avanti dagli americani. E poi ho proposto un’idea, suscettibile di essere discussa: oggi gli americani si trovano a fronteggiare il mondo arabo. Un mondo arabo nel passato colonizzato e che non ha avuto realtà statali. O perlomeno stati deboli come quello egiziano o algerino non sono mai diventati stati veri e propri. Al contrario, quando guardiamo alla Turchia ed all’Iran, vediamo degli stati, certo se non consideriamo che per un periodo l’Iran è stato colonizzato dagli Ottomani. Paesi che sono dotati di identità statuali, in grado di scegliere, di elaborare politiche. Inoltre aggiungiamo anche un altro elemento molto importante, il carattere laico della Turchia.

La questione degli aiuti da dare ai contadini polacchi, a quelli portoghesi, non è certo un argomento emozionante, anzi è un po’ noioso. E’ necessario invece pensare su scala mondiale. Domani i cinesi, oggi un mondo islamico che comprende più di un miliardo di persone, e poi altri 300-400 milioni di europei. Io continuo a pensare dal punto di vista degli europei, e credo che questa (l’adesione turca, ndt) si rivelerà nell’interesse degli europei. Se guardiamo a quello dei turchi, non ci sono altre alternative. I turchi non sono certo disponibili a spostarsi verso gli iracheni, i siriani o gli iraniani. E’ naturale per i turchi. I turchi sono una grande forza; una grande forza che, ci piaccia o no, è abituata a produrre politica, a pensare come una grande forza. Credo che l’unione di europei e turchi ci darà l’opportunità di essere una forza globale. Se guardiamo agli ultimi anni vediamo il prevalere di questa idea pazzesca dello scontro tra civiltà. Tempo fa ne ho discusso con Huntington a New York. L’altro giorno ho sentito dire ad un ministro iraniano che il problema sta tutto nelle relazioni tra cristiani e musulmani. Se pensassimo così, il discorso sarebbe finito, questo significherebbe la guerra. Le religioni periodicamente danno un’immagine ecumenica ma alla fine si combattono.

Quello che mi interessa è di spezzare l’idea del blocco, oggi quello islamico ieri quello sovietico, il blocco che divide le persone secondo le regioni in cui sono nate, le società, le economie, le questioni religiose. Volevo mostrare come, invece dei blocchi ideologici, sia possibile integrare il mondo islamico, con la modernità (io difendo ancora l’idea che la modernità sia una e non molteplice), con la storia, con la religione, con la memoria, con la cucina. Secondo me questa è l’unica strada. Non ne vedo nessun’altra in grado di portare alla luce un progetto, una geopolitica capace di avere un’influenza mondiale. Insieme l’Europa e la Turchia possono inventare questo progetto, ed è questo quello che bisogna fare in questo momento. Penso che i turchi faranno svegliare gli europei. Gli americani hanno ragione nel dire che gli europei non hanno anima, determinazione ed idee. Gli europei sono molto più pessimisti. Vogliono essere lasciati in pace. Credo che un’Europa con i turchi, un’Europa "turchizzata" sia in grado di dare vita a questo progetto. Questo rende possibile un mondo in cui si possano mescolare le grandi civiltà, altrimenti religione contro religione, no, questo non mi interessa per niente.

Lei dice che la Turchia è la prova del possibile compromesso tra Islam e laicità. Voglio farle una domanda riguardo la sua posizione, espressa nel libro sulla laicità scritto con il filosofo Alain Renault, che la vede contrario alla versione francese del laicismo. Come giudica questa sua posizione se pensiamo alle sue precedenti dichiarazioni, contrarie al divieto del foulard nelle scuole?

Devo sempre spiegarlo, so quello che pensano le persone: Touraine prima diceva si, adesso ha cambiato idea. Il mio pensiero non è cambiato in alcun modo. Infatti continuo a lavorare con le ragazze con il velo. In questo momento sto iniziando una ricerca sul campo con cinquanta donne che provengono dal mondo islamico, nei miei seminari ci sono parecchie ragazze con il foulard. In politica però non è sufficiente dirsi a favore o contro il multiculturalismo. Se da un lato è necessario difendere il pluralismo culturale, dall’altro anche l’idea di cittadinanza di uno stato di diritto. Il problema è, in una determinata congiuntura storica, se dare la priorità all’uno o all’altro. Alcuni intellettuali ritengono che sia necessario dare la priorità alla libertà di espressione. Rispetto pienamente questo punto di vista ma se avessimo fatto una legge in questo senso la gente sarebbe scesa nelle strade e la legge non sarebbe passata. L’80% dei nostri deputati ha votato a favore di questa legge. Le organizzazioni islamiche non hanno fatto nessuna manifestazione contraria. Ce n’è stata una sola, fatta da un gruppo antisemita. Credo si debba andare verso la libertà di pensiero. Da un anno ripeto la stessa cosa: i francesi non si accorgono dove sta andando la società: cresce la ghettizzazione, si rafforza il comunitarismo, i movimenti fondati sulla paura dell’arabo, non è possibile non tenere conto di questi elementi. Io continuo a credere che non ci fossero alternative: era necessario dire no al comunitarismo.

So che oggi la metà di queste ragazze è estremamente moderna, vuole andare a scuola senza però rompere i legami con la religione. Ma vedo anche che l’altra metà, ripiegandosi su sè stessa, assume atteggiamenti contrari alla modernità. Io non sono molto pessimista a questo proposito. Vedo anche che i francesi hanno cominciato a considerare l’importanza di questo tema. Vorrei usare una frase che ripete spesso un amico, da trent’anni professore di filosofia islamica alla Sorbona, cittadino francese di origine cabila: "Voi francesi non potete capire nulla dell’Islam perchè non capite nulla di nessuna religione". Io credo che abbia profondamente ragione. La nostra formazione laica, l’eredità della lotta repubblicana per la laicità, per tutte queste ragioni il pensiero francese non conosce la religione. Nella formazione filosofica c’è un pò di Pascal, un pò di Agostino, è tutto qui, non c’è nulla che riguardi il mondo dell’Islam. Non può continuare così. Sapete che sono cominciati nei licei i corsi di religione. Si è aperta una prospettiva anche per quanto riguarda la costruzione di moschee. Inoltre, anche se possono essere criticabili, esistono organizzazioni che garantiscono la rappresentanza dei musulmani. In conclusione ci sono dei piccoli progressi. Il vero problema però è il razzismo anti-arabo. Si parla molto in Francia dell’antisemitismo, è vero, esiste, ma l’antiarabismo è molto più forte. Su questo punto è necessario portare avanti un’azione, far discutere le persone. Perchè si vede che quando fate discutere le persone emerge una maggiore profondità, un maggior pluralismo. Mi danno sempre più fastidio coloro si esprimono senza aver riflettuto su queste questioni. Nell’ultimo libro ho dialogato con Alain Renault, un liberale di destra ma un liberale aperto, intelligente e che parla di multiculturalismo. Io credo che il multiculturalismo sia un argomento del liberalismo di destra, ci sono però degli idioti che lo credono un’idea di sinistra.

Non si può dire che la Turchia sia un argomento molto popolare in Francia, quali reazioni ha ricevuto?

E’ un faccenda piuttosto personale. Non c’era praticamente nessuno che desse importanza alla questione turca. O meglio c’era una persona, che è anche un mio vecchio amico, Michel Rocard: in realtà era contrario ma essendo una persona intelligente ha capito immediatamente ed ora difende energicamente l’idea dell’adesione turca. In questo momento si discute di questo problema solamente in prospettiva della Costituzione europea, in realtà la discussione non ha nulla a che vedere con la Turchia, riguarda soprattutto il desiderio del signor Sarkozy di far cadere il signor Chirac. La sinistra non è molto coinvolta, sul tema della Costituzione, sono occupati a coltivare i propri orticelli. Se la Costituzione europea fosse approvata tutto questo passerebbe, anche se non è sicuro.

Le richieste dei turchi hanno avuto un’accoglienza migliore del previsto, è stato facile vedere la loro accettazione come una priorità, ora però è necessario tempo. Per la Spagna sono stati necessari nove anni, dieci per il Portogallo. Dieci anni non sono molti. Se dovessi parlare di un paese che conosco bene, la Polonia, beh non era un paese pronto. Non aveva una struttura amministrativa adeguata.

Da voi ci sono stati sviluppi molto positivi, certo molto rimane ancora da fare, ma ora questa fase assume un significato, considerando le conseguenze positive, importanti che può produrre. Se prendiamo in considerazione le trasformazioni accadute in questo paese negli ultimi dieci anni, si vede che si tratta di questioni interne, relative ai turchi stessi: la questione armena, la questione curda ad esempio.

Che cosa posso dire poi a quelli che sostengono la necessità di dare la priorità all’Ucraina? Mi piacciono l’Ucraina, anche la Bulgaria e la Romania, è certo che entreranno nell’Unione ma a me non interessa, che cosa possono cambiare? Certo sarà necessario dare aiuti economici, va bene, sarà necessario omogeneizzarli con l’Europa, certo, ma è come omogeneizzare le differenze tra l’Italia settentrionale e meridionale. Si, si fanno cose utili ma a me non sembra che abbiamo una rilevanza planetaria. Credo sia una buona cosa un’Europa allargata oltre i suoi confini naturali, con l’ingresso della Turchia.

Lei sostiene che un’Europa che comprenda anche la Turchia, potrà costituire un’alternativa politica globale agli Stati Uniti. Come valuta l’Europa dal punto di vista dell’egemonia americana?

Io credo che noi abbiamo due punti deboli fondamentali. Il primo è l’assenza di una politica internazionale, anche se mi verrebbe da dire che è meglio così, visto che ci consente di non commettere giganteschi errori storici come la guerra in Irak. Il secondo è più serio. Credo di conoscere bene gli Stati Uniti, ci vado da cinquant’anni. Secondo me la superiorità degli americani deriva dal sistema universitario. Se parliamo di tecnologia, non sono superiori, il Boeing non è meglio dell’Airbus. Lo stesso vale per i missili, non vedo una differenza fondamentale. Detto questo, gli americani, non solo nelle scienze di base ma anche nelle dotazioni delle biblioteche, dei musei, fanno grandissimi sforzi. La cosa più importante sono le università, che funzionano come una pompa: attirano studenti da tutto il mondo, si tengono i migliori ed anche se rimandano a casa gli altri, li hanno profondamente influenzati.

Forse esagero ma vorrei dire una cosa: nella vita di tutti i popoli ci sono momenti difficili nei quali occorre lavorare, cinquanta, cento anni, e poi ci si può riposare. Gli inglesi si riposano dalla fine del XIX° secolo, i francesi ed i tedeschi si riposano ora, gli italiani stanno ancora lavorando perchè hanno cominciato tardi. Anche gli americani hanno cominciato ora a riposarsi. I dipartimenti di informatica sono pieni di stranieri, che sono anche il 50% del personale di Silicon Valley. Tutte le moderne tecnologie sono esclusiva dei cittadini di origine asiatica ma il controllo della conoscenza è degli americani. La superiorità degli americani è nella produzione e nella trasformazione della conoscenza, non nella tecnologia. Quello che c’è da fare è semplice: gli europei devono comprendere che la produzione e l’uso della conoscenza hanno lo stesso valore che nel passato hanno avuto l’agricoltura e l’industria. Se l’Europa non farà sforzi adeguati nell’istruzione superiore, e questo è il caso della Spagna che non ne fa alcuno, rimarrà indietro.

Come giudica la costruzione europea dal punto di vista della globalizzazione?

Prima cerchiamo di capire come guardano i francesi a questa questione. Gli europei hanno cercato di unire le forze, di eliminare gli ostacoli, di scongiurare il pericolo di nuove guerre. Inizialmente un’idea con un forte potere di attrazione. Francia e Germania erano in prima linea, anche gli italiani hanno avuto la loro parte. Successivamente tutti questi elementi positivi si sono trasformati in una questione esclusivamente tecnica, non c’è stato nessun investimento sul piano emotivo. Nessuno si è innamorato dell’Europa… Habermas voleva innamorarsi, io non la pensavo così, voleva pensare il continente nei termini di una Heimat. Sapete un tedesco può voler tutto, tranne uno stato tedesco. Purchè non ci fosse una Germania, Habermas voleva l’Europa. E’ facile capire il perchè, anche Cohn Bendit è così del resto. Nonostante la mancanza di investimenti emotivi si pensava che si potesse garantire la crescita. Ora però tutti crescono, all’infuori dell’Europa, e questo ha prodotto nuove diffidenze. Anche lo spazio dell’Euro non va molto bene. Le conseguenze sono state la crescita del nazionalismo e del populismo. Con Le Pen noi abbiamo fatto i battistrada. Poi sono arrivati austriaci, danesi, fiamminghi, olandesi; fortunatamente non sono stati seguiti dai tedeschi. Allo stesso tempo è cominciata una cosa seria, l’ostilità nei confronti degli stranieri. Si diceva che il Front National sarebbe stato tolto di mezzo, gli esperti hanno dimostrato che non è così. Il potenziale elettorato è così forte che temo vedremo Le Pen candidato alle presidenziali una seconda volta. Oltre a tutti questi elementi, tra il 1945 ed il 1975 il modello di stato che si e’ formato in Europa ed anche in Francia, ha avuto un’influenza relativa su quello che avrebbe dovuto essere il modello europeo.

İn Francia l’immagine dello stato e’ stata nello stesso tempo monarchica, repubblicana, comunista, operaia, a favore dello stato sociale. La Francia, a differenza degli altri paesi, e’ stato un paese in cui i comunisti sono stati piu’ forti dei liberali, dei gollisti e dei socialisti. İn conclusione le trasformazioni accadute dopo la seconda guerra mondiale hanno portato ad una sinistra comunista e statalista. Un’immagine dello stato per cosi dire hegeliana, una forma di nazionalismo, per il quale lo stato rappresenta gli interessi universali e la borghesia quelli particolari. Quando l’economia ha cominciato ad andare male, i francesi e soprattutto la sinistra hanno pensato una cosa semplice: la globalizzazione e’ pericolosa. Viene dagli americani e agli europei non serve. Per la piccola famiglia francese tipo, la sicurezza significa una figlia impiegata nella societa’ elettrica ed un figlio nelle ferrovie, poter andare l’inverno a sciare e l’estate in Brasile, questa e’ stata la trasformazione dello statalismo. Una reazione che si fonde con il
nazionalismo fondato sulla paura, avversario del liberalismo e della globalizzazione. Tra i francesi poi e’ diffusa la convinzione che essi, dopo la Rivoluzione, siano la nazione prediletta se non da Dio, almeno dalla Storia. Qualche tempo fa non mi sarebbe potuto nemmeno passare per la testa, mi ricordo di aver detto che non c’erano pericoli. Dal congresso del partito socialista era uscito un bel sì. Poi all’improvviso tutto e’ cominciato a cambiare. Se dovesse vincere il no per l’Europa non cambierebbe nulla ma per la Francia due cose: la Francia perderebbe il suo ruolo leader in Europa e secondo la sinistra andrebbe in pezzi perche’ prima ha detto sì ed adesso dice no. Ora, se volete per quindici anni un governo Sarkozy votate no! İo non lo voglio assolutamente, per questo votero’ sì.

Credo sia molto preoccupante questo rifiuto, questa paura e credo anche dimostri che il mio paese vuole tornare indietro. Questo vale in realta’ per molti altri paesi. Questa tentazione di rinchiudersi in se’ stessi, questo rifiuto d aprirsi al mondo porta con se’ anche un’ostilita’ verso gli stranieri. İo non voglio vivere in un paese simile.

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