‘Al limite al confine” c’è Trento e c’è la Turchia – II
Dal 29 novembre al 4 dicembre, a Trento "La Turchia tra Europa e Asia", rassegna promossa dal Centro S. Chiara in collaborazione con la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento. Ne parliamo con la curatrice, Mimma Gallina. La seconda parte dell’intervista
La prima parte dell’intervista
Come possono interagire politica e cultura in un Paese come la Turchia, in questa fase di lento avvicinamento all’Europa? Il caso di Anadolu Kültür mi sembra particolarmente interessante …
Si tratta di una fondazione privata, promossa da privati. In Turchia, come in altri Paesi mediorientali e asiatici, di fatto è più possibile operare in una direzione pubblica da privati che da pubblici, perché qualunque organizzazione pubblica passa attraverso forme di controllo più rigide, mentre i privati possono fare molto di più. Anadolu Kültür interviene al di fuori dei grandi centri culturali, cioè Istanbul e Ankara, in una serie di situazioni di provincia e in modo multidisciplinare, cercando mezzi sia come privati che attraverso fondi europei. In questo modo ha fatto nascere o rinascere dei centri di cultura in città periferiche. È il caso di Kar, città protagonista del romanzo di Pamuk Neve, e di altre, tutte crocevia di culture e tradizioni diverse, sedi importantissime per sperimentare o rafforzare la convivenza. Mi sembra interessante che l’attività di Anadolu Kültür sia indirizzata a diverse discipline, con grande attenzione al cinema e alle arti visive, e con progetti tesi a valorizzare le culture locali, come quello che ha portato alla realizzazione di un’antologia di poesia curda. Ultimamente collaborano di più con le amministrazioni locali, con cui pare sia molto difficile lavorare, nonostante stia emergendo una maggiore disponibilità. Da parte dello stato centrale persiste invece una certa chiusura verso l’attività culturale, che si manifesta non solo non intervenendo finanziariamente, ma semplicemente, non intervenendo in nessun modo per facilitare attività di questo tipo. Oltre ad Anadolu Kültür, stanno sorgendo molte iniziative spontanee e piccole, anche a livello di centri minori. Ricevo notizie di festival che stanno per partire o sono alla seconda-terza edizione in varie città della Turchia: c’è una vitalità notevole che spero venga incentivata dal processo di adesione all’Unione Europea e non bloccata. Chi si occupa di cultura è una minoranza attiva, ma fondamentale per l’evoluzione globale, l’integrazione delle posizioni, la discussione. Non si tratta quasi mai di maggioranza. Sicuramente un atteggiamento di chiusura dell’Europa, provocherebbe gravi danni a chi sta lavorando in questa direzione.
A Trento verrà dedicata una giornata alla nuova drammaturgia turca. Cosa ci può anticipare e come è maturata la collaborazione con i registi italiani che la presentano?
Abbiamo scelto di non fare una produzione, ma delle letture, selezionando personalità per noi congeniali agli autori. Abbiamo lavorato in questa direzione: il testo della giovane scrittrice Yesim Ozsoy Gulan, Ultimo mondo, è stato proposto a un ensemble femminile, la compagnia Dionisi di Milano, diretta da Renata Ciaravino e Valeria Talenti; Affittasi, di Ozen Yula (che è anche romanziere, saggista e regista) vedrà protagonisti i giovani diplomati della Scuola del Teatro Stabile di Torino, guidati da Mauro Avogadro ed è un testo che presenta una situazione di giovani emarginati in una grande città. Abbiamo interpellato Arca Azzurra di Firenze per Marathan Mungan, uno dei maggiori poeti turchi, autore dalla forte dimensione onirica di cui portiamo La maledizione del cervo, una favola che attraversa più generazioni, un testo stranissimo, di poesia. Per finire Tuncer Cucenoglu con La valanga, metafora della condizione repressiva tipica di alcuni paesi asiatici, a cui collabora il progetto Spaesati di Trieste (che lavora molto sull’area europea centro-orientale e su tematiche affini a quelle di "al limite al confine"), insieme alla regista Sabrina Morena. Va detto che questi autori sono rappresentati e tradotti in giro per il mondo. È l’Italia che è indietro rispetto alla conoscenza di questa letteratura e di questa drammaturgia.
Oltre al Dipartimento di critica teatrale dell’Università di Istanbul, siete in collegamento con altri centri di ricerca? Quali?
Siamo in contatto con la Facoltà di Lettere dell’Università di Istanbul, ma anche con il Centro di Ricerca per le Relazioni Internazionali dell’Università di Marmara, da cui proviene la Prof. Sema Erder, donna di grande apertura, presente al convegno del 2 dicembre con una relazione sui "Pendolari dei paesi post socialisti come nuova comunità migrante in Turchia". Quindi non solo teatro. Avvicinarsi alla Turchia non comporta solo conoscere la sua produzione culturale. Di qui l’importanza della collaborazione con la Facoltà di Sociologia di Trento e l’organizzazione di un convegno, che per scelta non si soffermerà sull’aspetto religioso. Nessun confronto con l’Islam, perché l’accento su questo punto rischia di essere eccessivo: il problema semmai è trasversale rispetto ad altre problematiche. Penso all’emigrazione in Turchia, centro di flussi migratori importanti, spesso clandestini; alle relazioni internazionali della Turchia verso est e verso ovest e alla condizione della donna in Turchia.
Chi sono Dikmen Gurun e Fakiye Özsoyal?
Le conosco entrambe personalmente. Dikmen Gurun, direttrice del Festival Internazionale di Istanbul (IKVS), mi sembra una figura dinamica, aperta, cosa molto opportuna per un festival come quello di Istanbul. Fakiye Özsoyal ci ha aiutato nella scelta degli autori, ci ha trasmesso molti testi, sarà presente al convegno con una relazione su "Leggi, cambiamenti, mentalità, sostegni: una visione generale della posizione sociale della donna nelle leggi, nei media e nei testi teatrali in Turchia" e introdurrà la giornata dedicata alla nuova drammaturgia turca. Non mi sembra casuale che i nostri incontri siano così spesso legati a delle donne. Nell’organizzazione della cultura turca, la presenza femminile dimostra grande dinamismo.
Quali realtà editoriali, in Italia, accoglierebbero la sfida di una collana interamente dedicata alla drammaturgia turca? E il resto d’Europa quanto traduce, quanto pubblica?
In Italia nessuna. Non esistono quasi per la drammaturgia italiana. Si potrebbe trovare un editore disposto a pubblicare un’antologia di testi turchi, però un’attenzione che giustifichi una collana non mi sembra probabile. Fuori dall’Italia la situazione cambia. Tuncer Cucenoglu è tradotto in trenta lingue. Per il testo di Ozen Yula abbiamo lavorato sulle traduzioni francese, inglese e tedesca e una di queste è stata fatta per una tesi di laurea, con un corredo critico formidabile. Marathan Mungan non ci sarà, perché è in Germania, dove è notissimo, per un ciclo di conferenze. Yesim Ozsoy ha un suo teatro a Istanbul, è stato a New York e più volte in Germania.
Come giustifica questo ritardo italiano?
Non credo sia da ricondurre a una nostra scarsa attenzione per la Turchia, ma ai problemi generali legati alla scarsa attenzione per la drammaturgia. In Germania, vista la presenza di cittadini turchi in grado di tradurre perfettamente in tedesco, questi autori sono tutti tradotti. Da noi una comunità turca no c’è. Noi siamo in ritardo già sulla drammaturgia europea, figuriamoci su quella extraeuropea. Il punto è che bisogna superare il confine europeo classico e sforzarsi di trovare dei mezzi per avvicinarsi alla letteratura delle lingue minoritarie, come quelle slave di area balcanica e anche il turco.
Continuerà a occuparsi di Turchia nei prossimi mesi? In che modo? E di Balcani?
Lavoreremo alla prosecuzione del progetto sulla Turchia nel 2007 in due direzioni. Da un lato, facendo in modo che dalla finestra sulla drammaturgia turca nasca un interesse concreto per una produzione di teatro turco da realizzare in Italia. Si pensa a una collaborazione tra Centro Servizi Culturali S. Chiara e il festival Asti Teatro, che dovrebbe sostenere una nuova produzione, e allo stesso Festival di Istanbul, disposto a ospitare a Istanbul, nell’edizione 2008, la produzione di un testo turco realizzata in Italia. Ma non escludiamo anche altre adesioni. Dall’altra, soffermandosi sul tema della cultura turca in Asia e quello della Turchia in Europa. Per quanto riguarda i Balcani, amerei molto continuare ad occuparmene, ma purtroppo in questo momento non ho nessun tipo di incarico che mi porti a riavvicinarmi. Spero che prima o poi ricapiti.
Link consigliati:
www.iksv.org
www.centrosantachiara.it