A tre mesi dalla discesa in piazza dell’opposizione di centrodestra e dal conseguente boicottaggio delle attività parlamentari, il Partito Democratico (PD) di Lulzim Basha e il Partito Socialista (PS) del Premier Edi Rama hanno trovato un accordo per riprendere i lavori parlamentari, per l’attuazione della riforma del sistema giudiziario e per traghettare il paese alle prossime elezioni politiche. Tra le garanzie che l’opposizione ha ottenuto in cambio del suo “rientro nella democrazia” un sostanziale rimpasto di governo e elezioni rinviate di una settimana (il 25 giugno prossimo).
L’accordo e la mediazione internazionale
Dopo il boicottaggio del parlamento, la proclamata autoesclusione dall’imminente competizione elettorale, tre manifestazioni e diversi tentativi di mediazione falliti, il 18 maggio scorso il PD di Lulzim Basha ha finalmente raggiunto un accordo con la maggioranza socialista. A riaprire il dialogo tra le parti è stata la visita del vicesegretario di Stato Usa per gli Affari europei ed euroasiatici, Hoyt Brian Yee, che nella due giorni a Tirana ha riportato sul tavolo la precedente proposta dell’europarlamentare tedesco David McAllister, più alcune ulteriori concessioni aggiunte dallo stesso Premier Rama. Yee ha fatto capire che la comunità internazionale avrebbe riconosciuto le elezioni albanesi anche senza la partecipazione dell’opposizione ed ha dato un ultimatum di 24 ore a Lulzim Basha per pronunciarsi sulla proposta.
Ad una tavola rotonda con tutti i partiti dell’arco parlamentare è seguito un faccia a faccia tra Rama e Basha: dopo un’estenuante trattativa, alle prime ore del mattino i due leader hanno annunciato di essere arrivati ad un testo condiviso. L’accordo tra i due maggiori partiti albanesi prevede il rinvio di una sola settimana delle elezioni, dal 18 al 25 giugno prossimo, e una nuova scadenza per la registrazione dei partiti presso la Commissione Elettorale Centrale (CEC) che consente la partecipazione anche dei partiti di opposizione che in questi mesi avevano aderito al boicottaggio.
Più ampio del previsto il rimpasto della squadra governativa. Edi Rama è rimasto in carica come primo ministro, ma all’opposizione è stata affidata la nomina del vicepremier e la guida di sei ministeri cruciali – interno, giustizia, istruzione, finanze, sanità e welfare – affidati, come da patto, a “tecnici” e non a figure di spicco della destra. A quella che fino a poche settimane fa era stata “l’opposizione” è stata poi concessa la presidenza della Commissione Elettorale Centrale e la nomina del nuovo Difensore Civico nazionale, istituzioni con un ruolo chiave nella gestione del processo elettorale e della riforma giudiziaria. Qui però il criterio tecnico è venuto a mancare, perché il nuovo presidente della CEC è Klement Zguri, già rappresentante del Pd in seno alla Commissione, mentre il Difensore Civico è Erinda Ballanca, già avvocatessa di Lulzim Basha e dell’ex Premier democratico Sali Berisha. In cambio di un simile bottino, il PD si è impegnato a riprendere i lavori parlamentari, soprattutto presso le commissioni parlamentari istituite per l’attuazione della riforma giudiziaria, fino ad ora non operative proprio perché l’opposizione non aveva designato i propri rappresentanti.
Infine, nella settimana successiva all’accordo, si è immediatamente intervenuti sul Codice penale per inasprire le pene relative ai reati elettorali – in particolare in materia di compravendita del voto – ed è stato rafforzato il quadro legale per regolare e limitare le spese elettorali dei partiti e per aumentare la trasparenza. La riforma elettorale e l’introduzione di un sistema di identificazione, voto e scrutinio elettronico sono state invece rimandate alle votazioni del 2021. Raggiunto e annunciato l’accordo, i due leader si sono dati il cinque, hanno entrambi gridato alla vittoria e il PD ha levato la tenda che dal 18 febbraio occupava la piazza davanti dalla Presidenza del Consiglio. Il giorno dopo sono arrivati i messaggi di congratulazione della comunità internazionale: per la “maturità democratica” dimostrata.
Le contraddizioni
La tregua raggiunta il 18 maggio, negoziata d’urgenza e solo tra i due principali partiti, ha rivelato tutte le contraddizioni e le incoerenze della classe politica albanese. In poche ore i due principali leader hanno rinunciato alle posizioni che nel corso degli ultimi tre mesi avevano definito “non negoziabili”.
In ogni comizio e in ogni tavolo di cui si ha memoria Lulzim Basha aveva chiesto le dimissioni del Premier arrivando a promettere l’istituzione di una “Nuova Repubblica” come unica via per garantire lo svolgimento di elezioni libere ed eque. Da parte sua, Rama ha accettato lo slittamento della data delle elezioni, fino ad allora ritenuto ingiustificato e inammissibile, e ha ceduto la guida di buona parte delle istituzioni dello stato, proprio nei settori più delicati. Prima di allora aveva sempre dichiarato che mandati e incarichi non sono privilegi ma responsabilità, di cui i rappresentanti dello stato possono essere spogliati solo attraverso il voto del popolo.
Durante i colloqui del 18 maggio saranno certamente fischiate le orecchie al leader de Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI) Ilir Meta, ancora una volta – proprio come nel 2008, in occasione dell’accordo tra Rama e l’allora presidente del Pd Sali Berisha – escluso dal tavolo dei negoziati. La ritrovata intesa tra PS e PD ha infatti incrinato ulteriormente i rapporti interni alla coalizione PS-LSI, vincitrice delle scorse politiche e ad oggi, di fatto, non più esistente. Se le iscrizioni presso la Commissione Elettorale Centrale sono state riaperte arbitrariamente al solo fine di consentire l’iscrizione dei partiti di opposizione; ciò non è avvenuto per le coalizioni: tutti i partiti gareggeranno da soli per la distribuzione proporzionale dei seggi; a farne le spese, viste le soglie di sbarramento, saranno come sempre i più piccoli.
Siglato a un mese dalle elezioni, l’accordo Rama-Basha ha il sapore di una “prova generale”, e lascia immaginare che tipo di “grande coalizione” post-elettorale alberghi nella mente dei due maggiori partiti. Il governo uscito dal rimpasto vede 10 esponenti del PS, 7 del Pd e 4 dell’LSI; quello uscito dalle urne potrebbe fondarsi su una riconfermata collaborazione tra socialisti e democratici, allo scopo di lasciare da parte l’LSI, indebolito dal sistema elettorale e dall’esilio presidenziale del suo leader Ilir Meta, già “messo in sicurezza” dal sistema politico.
Cambiano le regole, non il modo di fare politica
Scenari e calcoli politici a parte, l’ultima crisi di Tirana ha reso evidente come i partiti politici albanesi continuino a portare il confronto e il dialogo lontano dalle istituzioni e soprattutto fuori dal Parlamento che per costituzione dovrebbe ospitarli. Anche se, formalmente, il corpo della Costituzione non è stato alterato, le leggi discusse in stanze private e in assoluta mancanza di trasparenza e le regole cambiate fuori tempo massimo, a ridosso del processo elettorale, ne hanno certamente tradito lo spirito. Per i leader di entrambi gli schieramenti la Costituzione rimane un elemento estraneo alla vita politica del paese: non il documento che appiana le divergenze tra le parti per farle confluire verso soluzioni condivise, ma un pezzo di carta su cui si può addirittura sovrascrivere nuove regole, ogni volta che le fazioni lo ritengano necessario.
Questi tre mesi di stallo hanno anche dimostrato come questa classe politica continui ad affidarsi al ruolo dei mediatori internazionali, cercando nel loro sostengo la propria legittimazione e scegliendo di delegare a Bruxelles o agli Stati Uniti quelle responsabilità che invece è l’urna ad averle affidato.
No, l’accordo del 18 maggio non ha posto fine alla crisi. Gli elettori che si recheranno alle urne troveranno sulla scheda tutti i partiti dell’Albania democratica, ma non per questo avranno maggiori possibilità di scelta.