Accordo con Belgrado, le reazioni in Kosovo
La vera sfida dell’accordo Pristina-Belgrado della scorsa settimana è ora la sua implementazione. Molte le voci contro il compromesso che si sono alzate in Kosovo e non solo tra la comunità serba. Ma nonostante tutto, sembra esservi la convinzione politica per andare avanti
Dal punto di vista pratico, l’accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra Kosovo e Serbia raggiunto nelle settimane scorse a Bruxelles, avrà impatto innanzitutto sul nord del paese, regione a larga maggioranza serba. A seconda dei punti di vista, questa regione viene vista come l’ultima possibilità di conservare una presenza dello stato serbo in Kosovo, oppure l’ultima area da integrare nella cornice statale kosovara.
L’accordo, di sicuro, non è stato ben accolto dalla comunità serba del Kosovo, che è scesa in piazza rigettandone i contenuti, e chiedendo l’istituzione di un parlamento locale, diverso dall’Associazione delle municipalità serbe previsto dall’accordo, e chiedendo un referendum in Serbia sull’accettazione del compromesso.
L’intesa è stata dichiarata inaccettabile anche dalla comunità albanese che vive in quest’area, che contesta i poteri di autonomia, soprattutto nel campo della polizia e della giustizia, che derivano dal compromesso raggiunto a Bruxelles.
Voto a favore, Vetëvendosje contro
Nel resto del Kosovo le obiezioni politiche più significative all’accordo sono arrivate dal movimento Vetëvendosje (Autodeterminazione), la seconda forza di opposizione nel parlamento di Pristina. “Le relazioni tra lo stato kosovaro e la futura Associazione delle municipalità serbe è simile a quella esistente tra la Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska”, ha dichiarato a caldo il leader del movimento Albin Kurti. Secondo Vetëvendosje, l’intesa rappresenta un sabotaggio del processo di state-building del Kosovo e una resa alle aspirazioni di Belgrado di ottenere un’entità serba all’interno dei confini del Kosovo.
Nonostante le voci contrarie, due giorni dopo la firma dell’accordo a Bruxelles, in una seduta straordinaria prolungatasi oltre la mezzanotte, il parlamento di Pristina ha dato luce verde all’intesa con una maggioranza di tre quarti dei votanti.
Il largo consenso alla firma arrivato non solo dai partiti di maggioranza, ma anche dall’opposizione, viene letto come il risultato dell’influenza esercitata dalla comunità internazionale. “Lo stesso processo negoziale è risultato della pressione venuta dall’esterno”, ha dichiarato al quotidiano Zëri l’analista politico Ardian Arifaj. “Il compromesso è un progetto della comunità internazionale, che non ha esitato a esercitare pressioni sui partiti affinché non mettessero in pericolo il risultato finale”.
Il governo ha giustificato la propria decisione di firmare nel nome dei valori europei, ma anche come obbligo dello stato di garantire i diritti delle minoranze etniche. Parlando del processo di implementazione dell’accordo, il vice premier Hajredin Kuçi ha dichiarato che nei prossimi mesi dovrebbero essere definitivamente smantellate le strutture di sicurezza serbe che hanno operato in questi anni in Kosovo, strutture che dovrebbero essere gradualmente integrate nel sistema statale kosovaro.
Una voce solitamente critica del governo, il pubblicista Halil Matoshi, ha dichiarato al quotidiano Koha Ditore “che l’accordo raggiunto rappresenta la possibilità di rendere funzionale e funzionante lo stato del Kosovo e di far rientrare ‘la regione ribelle’ del nord all’interno della sua cornice statuale ed istituzionale”.
L’accordo e il percorso europeo
Come previsto, lo sblocco della situazione negoziale ha portato benefici ad entrambi i contendenti rispetto alla prospettiva di integrazione nell’Unione europea. La Serbia ha ricevuto dalla Commissione la raccomandazione all’apertura dei negoziati di adesione all’Ue, su cui il Consiglio europeo dovrà esprimersi il prossimo giugno. Il Kosovo, da parte sua, dovrebbe invece iniziare i negoziati per la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione, insieme alla partecipazione a programmi regionali.
I possibili passi in avanti sono però legati al successo nell’implementazione sul terreno degli accordi raggiunti a livello politico. E il governo di Pristina sembra cosciente delle difficoltà. “Nessuno dovrebbe essere spaventato dal piano di implementazione, nemmeno chi vive al nord [la comunità serba che vive a nord di Mitrovica n.d.r.] nonostante i messaggi disorientanti che arrivano da chi li ha tenuti in ostaggio negli ultimi 14 anni”, ha dichiarato il premier Hashim Thaçi. Thaçi ha contemporaneamente annunciato che l’esecutivo presenterà una road-map sull’implementazione, mostrando ottimismo sui risultati aspettati, soprattutto grazie al fatto che anche Belgrado sembra essere sulla stessa frequenza riguardo alla questione.
Un forte impegno in questo senso arriva anche dalla comunità internazionale. Le istituzioni del Kosovo impegnate nei negoziati a Bruxelles hanno condizionato il proprio assenso alla normalizzazione dei rapporti con la Serbia a sviluppi nell’agenda europea. L’intesa raggiunta a Bruxelles è stata presentata all’opinione pubblica come “un accordo garantito dagli amici della comunità internazionale”. Ma il vero bisogno di “amici internazionali” per le deboli istituzioni di Pristina è proprio il capitolo dell’implementazione. La Nato dovrà continuare a garantire la sicurezza, soprattutto al nord, mentre la missione europea Eulex dovrà guidare l’integrazione nelle istituzioni kosovare dei membri delle strutture legali e di sicurezza che fino ad oggi hanno lavorato per quelle “parallele” gestite da Belgrado.
In una frase
Nel marzo scorso l’editorialista Adriatik Kelmendi aveva dedicato una propria analisi al dialogo politico tra Kosovo e Serbia. Ora, dopo la firma dell’accordo, il passaggio centrale di quel suo commento sembra essere stato confermato dalla realtà dei fatti. “Se vogliamo riassumere lo scopo dei negoziati in una frase, direi che il punto della questione è il seguente”, aveva scritto Kelmendi. “dal giugno 1999 [la fine del conflitto armato n.d.r.] Belgrado ha perso il Kosovo, e tenta ora di recuperare quanto più possibile. Da quel momento, il Kosovo ha perso il nord. E anche Pristina tenta ora di recuperare quanto più possibile”.
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