Abkhazia, dalla crisi agli scontri
L’Abkhazia è attraversata da una crisi politica che va avanti da mesi, unita ad una crisi energetica ormai cronica. Lo scorso 21 dicembre una manifestazione organizzata dall’opposizione con la richiesta di dimissioni dell’attuale presidente Aslan Bzhania è sfociata in scontri e spari
Fine anno burrascoso per l’Abkhazia, con una crisi politica che si è spiralizzata da fine settembre fino ad arrivare a diventare una crisi di sicurezza. Con tanto di armi.
L’antefatto
L’antefatto è datato 30 settembre 1993. In quella data l’Abkhazia celebra l’indipendenza ottenuta, vice versa Tbilisi ricorda la cacciata dall’Abkhazia del governo georgiano. Da allora l’Abkhazia è de facto indipendente, e dal 2008, dopo la guerra russo-georgiana, è riconosciuta come stato autonomo dalla Russia e un pugno di altri stati.
Quest’anno, durante le celebrazioni, c’è stato l’episodio che ha messo in moto una grande crisi di consenso: i protagonisti sono da una parte un parlamentare e un gruppo di veterani, dall’altra le forze di polizia e il ministro degli Interni.
Il giorno dell’indipendenza da uno dei ristoranti sul lungomare di Sukhumi è uscito il parlamentare Garri Kokaia in compagnia di alcuni veterani di guerra di Adzyubzha, una località dell’area di Ochamchire sulla costa del Mar Nero. Per festeggiare, Kokaia ha pensato bene di sparare in aria con una pistola. A quel punto sono intervenute le forze dell’ordine con lo stesso ministro degli Interni Dmitri Dbar. I due gruppi sono venuti pesantemente alle mani e i primi sono finiti in ospedale. La sera Almaskhan Ardzimba, altro membro del parlamento, ha espresso il proprio disappunto per l’operato del ministero degli Interni mettendosi a sparare con una pistola non dichiarata venti colpi in aria davanti alla sede del ministero stesso.
La questione della circolazione selvaggia di armi da fuoco – e l’abbondante uso di queste – attanaglia l’Abkhazia dagli anni della prima guerra e nonostante i tentativi di legiferare sulla presenza e l’uso di armi, la situazione risulta evidentemente fuori controllo.
Le radici del dissenso
Dall’episodio è scaturita una manifestazione degli abitanti di Adzyubzha e una seduta straordinaria del parlamento abkhazo, durante la quale l’opposizione ha chiesto la rimozione del ministro degli Interni. L’opposizione non ha i voti per ottenere la sfiducia, e le conseguenze dei due episodi armati e della rissa fra veterani e deputato da un lato e forze di polizia dall’altro sono state – inizialmente – la messa sotto indagine dei due parlamentari che hanno sparato e la sospensione del ministro degli Interni. Aslan Bzhania, presidente dal 2020, ha deciso comunque di non rimuoverlo.
L’episodio ha dato il via all’opposizione per mettere in discussione l’operato delle forze dell’ordine. Un altro fatto è stato portato a esempio di quella che è stata definita l’apoteosi dei sistematici abusi di potere e l’impunità che il presidente garantisce ai suoi fedeli nelle forze dell’ordine: a settembre un detenuto 24enne è morto suicida a Gagra. Secondo la madre il figlio era stato picchiato e poi portato al suicidio in carcere. Dopo la sua morte la polizia si è mossa per arrestare due suoi amici pressoché coetanei, coinvolti nelle indagini, e durante l’arresto uno dei due è stato ucciso e l’altro ferito.
Nonostante le numerose critiche, il ministro Dbar è rimasto di fatto al suo posto fino allo scorso 3 dicembre, quando ha rassegnato le dimissioni ma solo per diventare il Capo dei Servizi Segreti. Il dissenso verso l’operato del ministero degli Interni si è quindi traslato e ampliato. Sotto accusa è ora non solo il ministero ma il presidente contro il quale si sono uniti vari clan dell’opposizione. È, infatti, soprattutto uno scontro di gruppi di fedelissimi che muove le trame di questa crisi. Sotto accusa è il clan di Bzhania e lui stesso per come usa le istituzioni a tutela dei propri fedelissimi assicurando loro l’impunità.
Bzhania sotto accusa
L’attacco personale a Bzhania è reso anche spendibile a livello popolare sullo sfondo di un continuo malcontento per come procedono le cose nella piccola repubblica secessionista.
La quarta ondata pandemica è stata pesantissima e le misure di contenimento del virus sono di fatto largamente disapplicate o ignorate.
I blackout sono frequenti, e la crisi energetica in Abkhazia è ormai cronica e permanente per una miscela di motivi, ma due fra tutti in questo periodo. Il primo è l’enorme mercato di farm di criptovaluta che sono disseminate nell’area secessionista, che ampiamente operano illegalmente e assorbono un’enorme quantità di energia. La seconda è dovuta al basso livello di acqua nella centrale idroelettrica Inguri.
Bzhania si è poi espresso a favore della vendita di beni ai privati russi, tema su cui l’opinione pubblica abkhaza è molto sensibile. Gli abkhazi erano una minoranza nella Repubblica prima dell’indipendenza, e hanno un potere d’acquisto molto limitato. Temono un’assimilazione alla Russia attraverso una vendita di beni che potrebbe portare all’introduzione della doppia cittadinanza russo-abkhaza. La piccola barca abkhaza sa che non potrebbe navigare come entità indipendente nel mare magnum russo con dei russi a bordo.
La chiamata alle armi
Non stupisce quindi che fra i primi cartelloni affissi durante la grande manifestazione che si è tenuta lo scorso 21 dicembre figurasse un “L’Abkhazia non è in vendita”. La manifestazione organizzata lo scorso 21 dicembre intendeva portare a piena maturazione la lunga scia di manifestazioni che si sono susseguite da settembre ad oggi e che sono passate dal chiedere le dimissioni di Dbar a esigere quelle di Bzhania, con un’autentica chiamata alle armi.
Il presidente dell’Abkhazia, il giorno prima della manifestazione, aveva lanciato un appello che suonava come un ultimatum: “Cari compatrioti, come sapete, i rappresentanti di alcune organizzazioni di opposizione intendono organizzare domani una manifestazione non autorizzata a Sukhumi. La Costituzione e le leggi della Repubblica di Abkhazia conferiscono ai cittadini e alle organizzazioni socio-politiche il diritto di esprimere apertamente la propria opinione, esprimere una certa posizione su qualsiasi questione, compreso il diritto di esprimere insoddisfazione per le azioni delle autorità. Tuttavia, tutti questi diritti sono chiaramente regolati dalla legislazione, che non può essere violata. Riconosciamo l’esistenza di problemi e questioni irrisolte, ma non li consideriamo motivi per minare la fragile stabilità dello Stato. Pertanto, avvertiamo tutti coloro che cercano di commettere azioni illegali e anticostituzionali che le forze dell’ordine sopprimeranno qualsiasi violazione della legge. Ripeto: sosteniamo un dialogo aperto e costruttivo e siamo pronti a continuare le discussioni su una serie di questioni. Ma questo processo deve essere civile e non mettere in pericolo il paese stesso”.
Dalle parole ai fatti: il palazzo presidenziale è stato fortificato con transenne, autobus, quanto era disponibile per evitare un assalto. Sono fresche le memorie del 2014, quando i manifestanti occuparono la sede dell’amministrazione presidenziale, si scontrarono con la guardia presidenziale e il presidente Aleksandr Ankvab si rifugiò nella base militare russa per poi dimettersi.
Il 21 dicembre non ha portato lo stesso esito: di notte ci sono stati scontri e spari ma si è poi raggiunto un compromesso, cioè fine della manifestazione e apertura di un tavolo negoziale presidente-opposizione che prenderà forma nel 2022.