A secco
Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio la sorpresa. Gran parte della Bulgaria è rimasta senza riscaldamento a causa della disputa tra Mosca e Kiev. E mentre è partita la caccia alla stufa elettrica ci si interroga, qui come in altre parti dei Balcani, sulla dipendenza dal gas russo
Tra i due litiganti, il terzo batte i denti. Mentre Russia e Ucraina mandano in onda l’ennesima puntata dell’ annosa disputa sulle forniture di gas, cominciata nel 2006, accusandosi a vicenda di pagamenti evasi e furti di carburante, buona parte del resto d’Europa resta a corto di energia nel periodo più freddo dell’anno.
"L’era del gas a buon mercato sta per finire", aveva profeticamente dichiarato il premier russo Vladimir Putin, durante il forum dei produttori di "oro blu" tenuto a Mosca a fine dicembre. Forse è una coincidenza, ma in tempi di crollo del prezzo dei combustibili fossili, l’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina a livello di crisi pan-europea sembra proprio quel che ci vuole per sparigliare le carte in tavola.
Se si tratta di un messaggio, in Bulgaria arriva forte e chiaro. Il paese, coperto di neve e stretto da temperature che di notte hanno raggiunto i -15°, è quello più colpito dalla crisi in tutta l’Unione europea. Sofia non ha alcuna risorsa alternativa al gas russo che arriva attraverso l’Ucraina, e a causa di ritardi tecnologici può utilizzare le riserve stoccate nel proprio deposito sotterraneo di Chiren solo a ritmo ridotto.
L’incubo, per amara ironia, prende forma la mattina del 6 gennaio, quando in Bulgaria si festeggia "Yordanovden". La tradizione vuole che, in questa ricorrenza, i giovani si sfidino a nuoto nelle acque gelide di laghi e fiumi ghiacciati, per raccogliere una croce gettata dal "pope" del villaggio. Affrontare il freddo con una nuotata fuori stagione, recita la credenza popolare, garantisce salute e prosperità per l’anno a venire. Stavolta, però, il gelo ha deciso di prendersi una rivincita.
Alle 3:50 della notte tra il 5 e il 6 gennaio, il flusso di gas diretto alla Bulgaria viene interrotto senza alcun avvertimento. Mentre Mosca e Kiev si accusano reciprocamente di aver chiuso i rubinetti, a Sofia la situazione precipita in fretta.
Alle 10, quando il premier bulgaro Sergey Stanishev compare davanti alle telecamere, la situazione è già tale da essere definita "critica". Dai palazzi che contano di Sofia parte un giro concitato di telefonate verso Mosca, Kiev e Bruxelles, mentre l’opposizione inizia a rumoreggiare, accusando l’attuale governo a partecipazione di maggioranza socialista di incompetenza e di aver consegnato il paese ai "vecchi amici" del Cremlino, legando la Bulgaria mani e piedi al gigante energetico russo Gazprom.
Il governo bulgaro sfoggia toni duri. "Non è accettabile restare vittima di una disputa a cui non prendiamo parte in nessun modo", prova a battere i pugni sul tavolo Stanishev, visibilmente teso. Ogni tentativo di sbloccare la situazione risulta però vano. Chiunque sia il colpevole della crisi, il gas bulgaro (pagato in anticipo, tra l’altro) si perde nei meandri gelati della pianura sarmatica.
A sentire l’emergenza per primi sono i grandi consumatori di gas, come i complessi chimici ed industriali. Pochi minuti dopo la chiusura dei rubinetti si sfiora la catastrofe ecologica nello stabilimento della "Neohim" di Dimitrovgrad. Il brusco e improvviso calo della pressione ha portato ad un passo dall’esplosione i serbatoi di ammoniaca e i depositi di fertilizzanti azotati. Le conseguenze per la Bulgaria sud-orientale sarebbero state pesantissime.
Tutta l’industria bulgara, già provata dalla crisi economica mondiale, rischia lo stallo. "Le perdite sono enormi, visto che il blocco dei rifornimenti è arrivato a sorpresa", ha dichiarato Evgeni Ivanov, della Confindustria bulgara. Acciaierie, impianti chimici e vetrerie, rischiano di dover bloccare del tutto la produzione: un vero disastro.
E se l’industria lotta per tenere accese fornaci e catene di montaggio, nel giro di poche ore quasi due milioni di bulgari hanno visto il riscaldamento domestico affievolirsi, in alcuni casi fino a sparire. Anche il sistema di "toplofikatzi", grandi centrali per il riscaldamento dell’acqua, trasportata poi nelle case di chi vive nei centri urbani più grandi, è alimentato infatti quasi esclusivamente dal gas russo.
Come si è presto venuto a sapere, nonostante le prescrizioni di legge, molte centrali non avevano ammassato le necessarie quantità di combustibile alternativo. A Dobrich, Pleven, Razgrad, il riscaldamento si è fermato. A Sofia e in molti altri centri la temperatura dei termosifoni è calata vistosamente, e viene mantenuta a livelli minimi.
Per scaldare le case non resta che bruciare le riserve di "mazut" (olio pesante), che però deve essere preventivamente riscaldato, operazione che richiede qualche giorno. Nel frattempo si tirano fuori dall’armadio i vestiti più pesanti. L’olio pesante, tra l’altro, non potrebbe essere utilizzato per più di dieci giorni l’anno, visto che rilascia alte quantità di pulviscolo e scorie.
Nel frattempo decine scuole e asili in tutto il paese sono rimasti chiusi, mentre molti ospedali hanno iniziato a respingere i pazienti e a rinviare le operazioni già programmate, visto il freddo polare in sala operatoria. A Sofia l’illuminazione pubblica è stata diminuita del 30%, rimosse le luminarie delle feste appena passate, fermato il riscaldamento nei mezzi pubblici.
L’obiettivo è risparmiare energia elettrica, visto che i bulgari sono corsi ai ripari accendendo le vecchie stufe elettriche o comprandone di nuove. Il ministro dell’Energia, Petar Dimitrov ha assicurato che "non ci sarà una crisi elettrica dopo quella del gas" e che la produzione di elettricità è più che sufficiente per reggere l’onda d’urto della crisi. Specialisti del settore non hanno comunque escluso che si possa arrivare al razionamento dell’energia, nel caso in cui tutte le centrali per il riscaldamento dovessero dare il forfait.
Dal presidente Parvanov è arrivata anche la proposta di riattivare uno dei reattori spenti della centrale nucleare di Kozloduy, accolta però con scetticismo nei circoli europei.
Ancora non è chiaro quanto durerà la situazione di crisi attuale. La Bulgaria, però, in poche ore appena, ha accumulato parecchi temi su cui riflettere. La dipendenza totale da Mosca ha messo in luce i rischi che comporta, soprattutto se pensiamo che Sofia, anche recentemente, ha ribadito di voler diventare il "centro energetico dei Balcani". Il problema è che la ricerca di strade alternative è un processo lungo e costoso, e spesso dipende dalla volontà politica di paesi molto più potenti e dalla stabilità di attori diversi(come ad esempio per il tanto chiacchierato progetto Nabucco).
I rapporti amichevoli con la Russia, i progetti comuni già sottoscritti (gasdotto South Stream, costruzione della centrale nucleare di Belene) e contratti a lunga scadenza con la Gazprom, alla prova dei fatti non hanno affatto messo la Bulgaria a riparo della tempesta.
Anche l’ombrello dell’UE, almeno in questa fase iniziale, sembra servire a poco. La speranza delle autorità bulgare è che la membership europea possa servire adesso per costringere Russia ed Ucraina a trovare una soluzione (la notte scorsa sono ripresi i negoziati a Mosca) ed in seguito, quando fatti i conti delle perdite economiche subite, ci sarà da chiedere compensazioni o almeno sussidi comunitari.
Intanto le previsioni meteo parlano di una nuova ondata di freddo. I cittadini bulgari, più che a compensazioni future, covano speranze molto più immediate e terrene: tenere l’inverno fuori dalle proprie case.