A Est dell’89
La fine del regime di Ceauşescu, gli interrogativi sulla rivoluzione e la memoria del comunismo in Romania. Intervista a Corneliu Porumboiu, regista e autore di A Est di Bucarest
È il 22 dicembre del 2005. 16 anni dopo la rivoluzione, in un piccolo centro a est di Bucarest, il direttore della TV locale vuol dare risposta a un interrogativo che lo tormenta: "C’è stata la rivoluzione nella città?"
Dove si svolge "A est di Bucarest"?
Nella città in cui sono nato, Vaslui, un piccolo centro di circa 70.000 abitanti nella Romania orientale.
Come è nata l’idea per questo film?
Da una trasmissione televisiva che avevo visto proprio a Vaslui, dieci anni dopo la rivoluzione. Il tema era appunto analizzare se nella nostra città ci fosse stata una rivoluzione oppure no.
Che rapporto c’è stato in Romania tra i media e gli eventi del 1989?
Credo si sia trattato del primo evento di portata storica ad essere trasmesso in diretta televisiva. Molti romeni hanno seguito la rivoluzione di fronte ai teleschermi. Per me la cosa importante era cercare di mostrare nel film diversi punti di vista su quegli eventi, e come ognuno di noi mistifica la storia.
Qual è oggi l’atteggiamento della società romena su quel periodo?
Ogni generazione ha un punto di vista diverso. Se chiedi a degli adolescenti o a chi è nato negli anni intorno all’89, non ti sapranno dire molto, sono concentrati sul futuro. La mia generazione, quella dei trentenni, si trova nel mezzo. La Romania sta cambiando molto in fretta, c’è una forte divisione tra le generazioni. Ognuno ha i propri modelli e la propria lotta da condurre.
Quali sono le differenze principali?
Io nell’89 avevo 14 anni. Noi abbiamo ricordi del periodo comunista, ma viviamo in questa nuova Romania. La generazione dei miei genitori, che ha vissuto quel periodo, sta ancora cercando in qualche modo di adattarsi.
Le speranze suscitate dalla rivoluzione si sono realizzate, vent’anni dopo?
Dipende dai punti di vista. Rivoluzione è una parola molto romantica, non credo esistano eventi che possono cambiare tutto in un momento. Dopo la rivoluzione prende il sopravvento la tradizione, dopo di che una società cambia ancora. Questo era quanto volevo mostrare nel mio film. Sui libri di storia leggiamo che la rivoluzione ha cambiato tutto dal giorno dopo, in realtà sappiamo che non è andata così.
Chi ha vinto e chi ha perso con la rivoluzione in Romania?
Non so se ci sono stati vincitori e sconfitti, non ragiono in questi termini. Dipende da ognuno di noi, da quanto ognuno è riuscito ad adattarsi o a comprendere il nuovo mondo che stava cominciando.
Per quanto riguarda il confronto con il passato, con la dittatura e i suoi crimini, qual è l’atteggiamento prevalente nella società romena oggi? Un personaggio del suo film rappresenta un ex agente della Securitate oggi imprenditore privato. Ci sono molte figure simili nella Romania di oggi? Qual è il loro ruolo, quale influenza esercitano?
E’ difficile dirlo perché non sappiamo esattamente chi facesse cosa durante quel periodo. La legge stabilisce solamente che gli esponenti del regime, i politici del periodo precedente, oggi non possono ricoprire cariche politiche.
In Romania il 1989 ha avuto caratteristiche di forte violenza, diversamente da altri paesi. Perché?
E’ vero, il regime di Ceausescu ha reagito molto violentemente a quanto stava accadendo. A Timisoara ci sono stati circa 70 morti, dopo di che tutto si è spostato a Bucarest, il 21 e 22 dicembre. Negli altri paesi, come in Cecoslovacchia o Polonia, negli ultimi anni si era già creata una sorta di alternativa, mentre qui non ce n’erano. Qualcuno pensava che si sarebbe riusciti a evitare il cambiamento, per questo forse c’è stata la violenza.
Cosa è cambiato in Romania dal 1989 ad oggi?
Molte cose, siamo nella Nato, in Europa…
C’è ancora una divisione tra l’Est e l’Ovest in Europa, 20 anni dopo la caduta del Muro di Berlino?
Non credo ci sia un vero e proprio muro. Certo, c’è una differenza nei modi di vivere, nelle mentalità. Ma credo che questa Europa dovrebbe rispettare le differenze. In Italia ad esempio adesso c’è il problema romeni…
Come se ne parla in Romania?
Se ne parla molto.
Quali sono i punti di vista principali?
Si presentano i fatti, gli atteggiamenti, i media qui cercano di capire cosa stia accadendo in Italia… Ci sono opinioni diverse, chi pensa che in Italia ci sia il razzismo, chi crede che noi abbiamo un problema. E’ come nel mio film, ci sono posizioni molto diverse…
Non c’è una lettura condivisa?
No. E’ come rispetto agli italiani che sono presenti qui come imprenditori, non c’è un punto di vista unico su di loro.
Nei suoi film, in "A Est di Bucarest" come anche in "Calatorie La Oras" (Viaggio in città), lei mostra una Romania fatta di centri minori, dove il tempo sembra essersi fermato. E’ così?
Io racconto storie sul mondo che conosco, provengo da una città piccola e conosco molto bene quell’ambiente. E’ vero, in queste città credo che le cose stiano cambiando molto più lentamente. C’è anche una percezione diversa del tempo e dei grandi eventi della storia.
Il cinema romeno sta dando ottime prove negli ultimi anni e raccogliendo molti premi a livello internazionale. Mungiu, Nemescu, Puiu oltre a lei ed altri. Si tratta di una nuova onda o di una somma di progetti non collegati tra loro?
Non si tratta di una nuova onda, almeno non in termini programmatici. Non abbiamo nessun dogma comune. Al tempo stesso vedo che condividiamo uno stesso gusto cinematografico. Facciamo un tipo di cinema che proviene dalla vita reale, con personaggi che solitamente non vengono trattati, film che parlano della Romania di oggi… Soprattutto direi che cerchiamo di non mistificare, diversamente da quanto avveniva prima della rivoluzione, quando il cinema romeno era uno dei più importanti strumenti di propaganda del regime. Ci sono quindi dei punti comuni nel nostro cinema. Alcuni da fuori ci hanno paragonato al neorealismo italiano. Direi che condividiamo uno stesso punto di vista sul cinema, in termini generali, ma non abbiamo un programma comune.
Vi influenza il fatto di essere stati tutti bambini ai tempi di Ceausescu?
Certo, siamo la generazione di mezzo che voleva che tutto cambiasse molto in fretta, e ci siamo resi conto che questo non stava accadendo. Credo che abbiamo uno stesso approccio psicologico nei confronti del cinema.
Il suo film si chiude lasciando aperta la domanda iniziale. Ma in Romania c’è stata una rivoluzione oppure no?
Sì, c’è stata, ma allo stesso tempo dipende dai punti di vista.
Non capisco…
Ognuno ha la sua propria rivoluzione. E’ questo il mio punto di vista. Non posso dire se ci sia stata o no una rivoluzione. Io avevo 13 anni, il personaggio che mi rappresenta nel film è il cameraman della televisione. All’inizio cerca di trovare la verità nelle diverse versioni che vengono presentate, dopo lascia cadere la telecamera e alla fine non sa più nemmeno lui. Quando ho fatto questo film ero più interessato a catturare le diverse prospettive sulla rivoluzione, le storie e i destini personali. Insomma non so come rispondere a questa domanda.
Ma per lei c’è stata una rivoluzione?
Per me sì. Se no in questo momento starei lavorando in una fabbrica…