A colpi di stato
Una vicenda complessa e intricata. Lo rivela l’inchiesta su Ergenekon, organizzazione segreta, composta da figure di alto profilo della società turca, che avrebbero pianificato una serie di colpi di stato per "difendere la laicità" del paese. Numerosi gli arresti, compresi due ex generali dell’esercito
48 arresti, 38 indagati a piede libero, in tutto 86 sospettati e 5 diverse sezioni d’indagine dedicate a ciascuno di essi. Un totale di 2455 pagine per il testo d’accusa presentato dalla procura generale della Repubblica di Istanbul in merito all’inchiesta condotta sull’organizzazione t[]istica Ergenekon che avrebbe promosso un piano coordinato a più livelli per realizzare un colpo di stato. Tra i suoi membri ex militari di alto rango dell’esercito turco, giornalisti, scrittori, accademici, politici, uomini d’affari, personalità note sulla scena pubblica, mafiosi e legali. Ultranazionalisti. Intenti a riportare l’ordine, costi quel che costi, un ordine sconvolto, a loro dire, dal governo attuale dell’AKP (Partito di Giustizia e Sviluppo) e il tutto sotto la bandiera dei "difensori della laicità".
Il primo luglio scorso si è svolta l’ultima e la più eclatante delle sei operazioni realizzate all’interno della vicenda Ergenekon, che ha portato all’arresto, tra gli altri, di due ex generali dell’esercito, Hurşit Tolon e Şener Eruygur, con l’accusa di aver "tentato di eliminare il governo con l’uso della violenza o di impedirne il lavoro" e di "aver fondato e diretto un’organizzazione t[]istica".
Un progetto per un colpo di stato, dunque, in base a quanto viene fatto trapelare, perché il caso si trova tutt’ora sotto segreto istruttorio e bisognerà attendere che la causa venga accolta dal (XIII) tribunale penale di İstanbul per conoscere il contenuto del testo presentato dai procuratori il 13 luglio scorso.
Secondo fonti non ufficiali nel testo d’accusa, in cui compare anche una sezione che tratta dell’omicidio del direttore generale del giornale "Agos" Hrant Dink, risulterebbero esserci anche 20 testimoni chiave le cui identità non sono state rivelate.
In realtà sarebbero ben quattro i colpi di stato intentati fino a oggi, conosciuti, secondo quanto divulgato dai giornali, con il nome di "Sarıkız" (Ragazza gialla), "Ayışığı" (Chiaro di luna), "Eldiven" (Guanto) e un ultimo, che sarebbe stato progettato dal "Gruppo di lavoro repubblicano" costituito in seno al Comando generale della gendarmeria durante il periodo di comando del generale Şener Eruygur. (Radikal 14.07).
Il nome di Eruygur è indicato come "leader del colpo di stato" nei presunti diari dell’ex comandante della Marina, l’ammiraglio Özden Örnek, i quali sono stati dettagliatamente pubblicati sulla rivista "Nokta", che poi è stata chiusa.
Da quel che risulta da questi diari "in seguito al mancato tentativo di colpo di stato col nome in codice ‘Ragazza gialla’ i piani finalizzati a rovesciare il governo del Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP) tramite l’ottenimento del sostegno di massa della società civile per fare pressione sui media e sul governo, chiamati col nome in codice ‘Chiaro di luna’, sarebbero stati progettati proprio presso il quartier generale di un comandante dell’esercito." (Radikal, 09.04.08)
Quando il 13 giugno 2007, vennero trovate 27 bombe a mano in una casa abusiva nel quartiere Ümraniye di İstanbu, appartenente ad un ex alto ufficiale dell’esercito turco, nessuno ancora sospettava che quell’operazione, apparsa come una notizia fra tante sui giornali, avesse delle implicazioni e ramificazioni così estese, portando in ultima battuta all’arresto dei due generali.
Non si immaginava che l’organizzazione t[]istica Ergenekon fosse una formazione con numerosi adepti, provenienti dai più svariati ambiti professionali e che comprendesse un piano già in atto almeno dal 2001, quando le cariche più alte dell’esercito tentarono di impedire che il generale Hilmi Özkök, definito dai militari stessi "troppo docile nelle questioni politiche e sociali" (ovvero tendente a simpatizzare con l’AKP che avrebbe trionfato nelle elezioni del 2002), diventasse capo di Stato maggiore.
Tra le azioni pianificate rientrano anche gli interventi per screditare il governo, intralciare i tentativi di mediazione nelle trattative riguardanti l’UE ed emendamenti alle leggi proposte dal governo. Ne sarebbe un esempio il fallimento del piano proposto da Kofi Annan nel 2003 per trovare una soluzione alla situazione di Cipro.
Il presidente della Repubblica di Cipro nord Rauf Denktaş, sostenuto dai comandanti Aytaç Yalman e Şener Eruygur, nonostante le raccomandazioni dell’allora primo ministro Gül di "non opporsi in blocco al progetto", appena sceso dall’aereo si sentì libero di esordire con un "sono venuto a dire no ad Annan", fermando il corso di ogni mediazione. La medesima linea politica non riuscì, però, a essere riproposta e attuata nel 2004, negli incontri di New York, perché i due generali non sarebbero riusciti a imporsi sul capo di Stato maggiore Özkök, favorevole ad un dialogo su Cipro. (Radikal 08.04.08)
L’intento di far fallire le trattative era andato a vuoto, ma restava aperto il campo di mobilitazione nazionale, dove creare un’opinione pubblica che fosse sempre più condizionata a percepire la risoluzione della questione di Cipro e il percorso per l’adesione della Turchia all’Unione europea come un tradimento nei confronti del paese.
Quando poi il governo del premier Erdoğan portò alla ribalta la questione del velo e della sua liberalizzazione, e si verificarono gli attentati per mano di Alparslan Aslan al quotidiano "Cumhuriyet" e l’assassinio del giudice Özbilgin della Corte di Stato, che si era opposto alla liberalizzazione del velo, l’attentatore, un presunto estremista islamico, fu subito identificato con la "minaccia della perdita della laicità".
Fu allora che venne organizzata la manifestazione in difesa della laicità che portò milioni di persone nelle piazze per protestare contro il governo e le sue misure "antilaiche". Chi c’era a capo della manifestazione? L’Atatürkçü Düşünce Derneği (Comitato di Pensiero "Atatürkiano"), un’ "organizzazione della società civile" diretta nientemeno che dall’ex comandante Şener Eruygur.
Anche se non si era detto a sufficienza che l’attentatore Aslan fosse in realtà un ultranazionalista più che un estremista islamico, il giugno dell’anno scorso, il ritrovamento delle bombe, che risultarono essere dello stesso tipo e serie di quelle lanciate alla sede del "Cumhuriyet", portarono ad allargare le ricerche.
Tre operazioni tra gennaio e marzo causarono l’arresto di numerose personalità tra cui l’ex generale della gendarmeria Veli Küçük, famigerato fondatore del servizio di informazioni e di antit[]ismo della gendarmeria JİTEM, l’avvocato ultranazionalista Kemal Kerinçsiz – persecutore nei tribunali dello scrittore Orhan Pamuk e di Hrant Dink – e la portavoce della Chiesa Ortodossa turca Sevim Erenol.
Nel corso di questi arresti veniva fatto trapelare che l’organizzazione risultava avere diverse unità difensive, propagandistiche, legali, logistiche e finanziarie. Ciascuna unità con un compito specifico, mentre lo scopo finale era quello di creare la situazione adatta per realizzare un colpo di stato.
Un mese dopo arrivò il turno dell’arresto degli "accademici" dell’organizzazione: di Ümit Sayın, docente dell’Università di İstanbul di matrice nazionalista. Prima dell’arresto erano comparse sui giornali le intercettazioni telefoniche in cui si parlava dei preparativi per un colpo di stato. In questione c’erano: un altro professore, questa volta dell’Università di Sakarya, il giornalista Vedat Yenerer e lo scrittore Orhan Tunç.
La penultima operazione, del marzo scorso, implicava personaggi ancor più importanti della società turca: venivano arrestati il caporedattore ottantenne del quotidiano "Cumhuriyet", İlhan Selçuk, il presidente del Partito dei Lavoratori (İP) Doğu Perinçek, accusato di aver scritto il manifesto dell’organizzazione, e l’ex rettore dell’Università di İstanbul, il Prof. Kemal Alemdaroğlu.
Il governo dell’AKP, in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla chiusura del partito, perché accusato dal procuratore capo della Corte di Cassazione di essere "anti-laico" – qualcuno ha sostenuto che gli arresti all’interno della vicenda Ergenekon siano stati realizzati per controbattere al procedimento in corso – segue una politica di cautela e di attesa dei risultati.
Stesso atteggiamento del capo di Stato maggiore Büyükanıt, che la settimana scorsa era impegnato nella Conferenza dei capi di Stato maggiore dei paesi balcanici e nel seminario per generali e ammiragli "La Via della seta", in cui ha affrontato anche il tema del t[]ismo. Büyükanıt ha rifiutato di fare commenti sull’arresto degli ex-generali perché non rientrava negli argomenti del seminario.
L’ultima operazione che ha visto l’arresto dei generali Hurşit Tolon e Şener Eruygur, assieme al presidente della Camera di Commercio di Ankara Sinan Aygün, il rappresentante di Ankara del quotidiano "Cumhuriyet" Mustafa Balbay, sembra per ora aver messo un freno alla vicenda, almeno fino a quando il tribunale penale non accoglierà la causa. Ma non è escluso che ci siano nuove implicazioni, perché sui cosiddetti "diari del colpo di Stato" dell’ammiraglio Örnek non è ancora stata avviata un’inchiesta.