8 marzo in Turchia: donne tenaci
Pınar Selek, Nuriye Gülmen, Zehra Doğan donne che nonostante la repressione autoritaria del governo turco hanno continuato a far sentire con grande coraggio la propria voce
Le donne in Turchia scendono in piazza anche questo 8 marzo con manifestazioni previste in oltre 13 città, da Istanbul a Diyarbakır. E lo fanno grazie alla tenacia con cui hanno superato gli iniziali divieti delle prefetture, giustificati con lo stato d’emergenza che vige nel paese dallo scorso luglio. Tra le migliaia di donne che quotidianamente lottano “per il diritto alla vita, per i propri corpi, la libertà e il lavoro” – come recita uno degli slogan di quest’anno – ne vanno ricordate alcune per l’esemplare tenacia.
Tra queste la nota sociologa, scrittrice e femminista Pınar Selek , che è costretta a vivere all’estero perché si trova al centro di una persecuzione giudiziaria che dura da 19 anni. Ma niente le ha tolto la preziosa voce di analisi delle dinamiche sociali che attraversano il paese. Selek, che è membro P.E.N, fu arrestata nel 1998, mentre stava svolgendo una ricerca sui motivi che avevano spinto il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) a optare per la lotta armata, e fu accusata di aver fatto esplodere una bomba nel cuore di Istanbul. La studiosa è stata rilasciata, assolta ben quattro volte – l’ultima nel 2014 – ma lo scorso gennaio la procura turca ha riaperto il caso per l’ennesima volta, ripresentando prove già ampiamente confutate e dimostrando un particolare accanimento nei suoi confronti.
Le misure messe in atto da Ankara all’interno dello stato d’emergenza stanno sconvolgendo la vita di molte donne. Nuriye Gülmen è una ex docente all’Università di Konya. Licenziata – come decine di altre colleghe – sull’onda delle purghe in atto nel mondo accademico turco, in seguito al tentato colpo di stato del 15 Luglio, Gülmen tiene un piccolo sit-in di protesta ogni giorno ad Ankara, per riavere il proprio posto. Finora è stata fermata e rilasciata più di trenta volte.
Zehra Doğan, ex redattrice della JINHA (Jin News Agency), la prima agenzia di stampa composta di sole donne in Turchia, ha a lungo riportato notizie, rischiando la vita, dalle città di Mardin, Nusaybin e Derik – nel sud-est a maggioranza curda del paese – che si trovavano sotto coprifuoco. Due giorni fa Doğan è stata condannata a 2 anni e 9 mesi di carcere per “propaganda separatista”. Un reato consistente nel condividere su Twitter un proprio dipinto che ritraeva il coprifuoco a Nusaybin, cittadina nel sud-est del paese, e gli scritti di una bambina del luogo. La JINHA è stata chiusa il 31 ottobre 2016 con un decreto esecutivo sotto lo stato di emergenza. La JINHA era nata proprio l’8 marzo di 5 anni fa a Diyarbakır per “diffondere nei media lo sguardo delle donne che affrontano i problemi nelle loro cause profonde”.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto