60mo della liberazione: la Slovenia divisa
Le vicende storiche in Slovenia tornano ad essere un poligono per lo scontro politico. Il governo di centrodestra celebra il 60mo anniversario della liberazione senza nascondere la forte insofferenza nei confronti del movimento partigiano
Ajdovščina (Aidussina) 5 maggio; più di diecimila persone si sono date appuntamento alla grande manifestazione in ricordo del primo governo sloveno, che sessant’anni fa, nei giorni della liberazione, proprio in questa località della valle del Vipava (Vipacco) tenne la sua prima seduta solenne presieduta da Boris Kidrič, uno dei più influenti delfini sloveni di Tito. Per il Litorale (la Primorska, l’ex Kunstenland austriaco, nel Regno d’Italia la »Regione Giulia«), quell’evento rimane un’icona della propria emancipazione nazionale, della cacciata dell’Italia nonché della sconfitta del fascismo e del nazismo che per più di vent’anni avevano oppresso le sue genti.
Ad Ajdovščina non sono mancati i guizzi di orgoglio nazionale, colorati di una foga particolare nel rispondere alla provocazione nazista che, solo qualche giorno prima, aveva profanato il complesso monumentale dedicato alle vittime del fascismo a Tarnova, proprio sopra Ajdovščina.
Ignoti avevano appese bandiere nazifasciste e imbrattato le lapidi con svastiche, scritte razziste esaltanti la X. Mas nonché con offese e minacce all’indirizzo di politici italiani e sloveni. Un raid nazifascista venuto quasi di certo da oltreconfine, forse dal Veneto e da Trieste, che non ha precedenti in Slovenia e al quale hanno subito risposto decisamente le forze democratiche italiane e slovene delle regioni confinanti, con Illy, Brancati, Brandolin e il sindaco di Nova Gorica Mirko Brulc in testa.
Più tiepida e distratta la condanna di Lubiana, mentre il silenzio di Roma è stato assordante. Solo pochi giorni dopo Tarnova e Ajdovščina è stato preso nuovamente di mira da »vandali« l’istituto scolastico sloveno Jožef Štefan di Trieste. Vandalismo o inquietante rigurgito squadrista? La spirale di provocazioni fasciste sembra andare in crescendo soprattutto dopo le polemiche seguite alla messa in onda del film Rai »Il cuore nel pozzo«. E’ forse la riprova che non si è trattato solo di un film, di una semplice fiction, ma di qualcosa di più; il via ad una nuova fase di tensioni nazionaliste lungo il confine.
Ma dal raduno filopartigiano di Ajdovščina sono partiti dei severi moniti anche e soprattutto all’ indirizzo di Janez Janša che aveva deciso di disertare la manifestazione, considerandola berlusconianamente una glorificazione dei comunisti che nel corso della resistenza »avevano preso il sopravvento nel movimento di liberazione, monopolizzandolo«.
Difatti il governo di Lubiana mantiene nel sessantesimo della Liberazione un profilo molto basso, minimalista, e cerca in ogni occasione dei distinguo che siano in grado, per opportunità politica, di assolvere l’affiliazione della Slovenia alla grande coalizione antinazista mondiale, ma allo stesso tempo, di relativizzare o persino criminalizzare il movimento partigiano del Fronte di Liberazione, che di fatto faceva capo ai comunisti di Tito e che fu l’unico vero movimento guerrigliero jugoslavo e sloveno in grado di far fronte agli eserciti occupanti. Nella coalizione di governo siedono anche politici che non fanno mistero delle proprie simpatie per i »domombranci« , il movimento collaborazionista che in nome di un nazionalismo a tinte clericali e di un viscerale anticomunismo, si schierò nel corso della seconda guerra mondiale con gli eserciti di occupazione italiano e tedesco, macchiandosi pure di atroci crimini a danno della resistenza e delle popolazione civile. Migliaia di »domobranci« e di loro famigliari civili, riconsegnati dagli inglesi alle truppe di Tito, anche in barba alle convenzioni sui prigionieri di guerra, vennero passati per le armi sommariamente e sepolti in fosse comuni e fojbe dalle nuove autorità jugoslave a guerra finita. Coloro che sopravvissero emigrarono, soprattutto in Argentina, dove mantennero una capillare rete di azione politica, la stessa che dopo l’indipendenza della Slovenia, coadiuvata dalla chiesa cattolica, iniziò a sostenere Janša nella sua scalata al potere.
Ma il premier sloveno ha capito presto che insistere sulla linea filocollaborazionista non paga nemmeno nell’Europa conservatrice cui si ispira attualmente. Ecco così la sopresa per il 60-esimo della liberazione. Janša stigmatizza l’occupazione e il collaborazionismo, ma denuncia le atrocità dei comunisti e il 27 aprile, giornata dell’insurrezione, a Mal Gora , nei pressi di Ribnica, esalta l’ eroismo dei combattenti del Tigr, un movimento nazionalista clandestino, la cui sigla riprende le iniziali di Trieste, Gorizia, Istria e Reka (Fiume). Una sorta di Eta slovena ai tempi del franchismo.
Il Tigr, che rimase estraneo al movimento partigiano e ideologicamente lontano dai comunisti, iniziò la guerriglia contro le autorità italiane fasciste nel Litorale sin dagli anni venti. Considerati dalle autorità di allora »t[]isti«, per le azioni di sabotaggio contro ferrovie, uffici postali ma anche scuole – considerate strumento di snazionalizzazione a danno degli Sloveni – i suoi membri vennero perseguitati duramente e in molti casi condannati a morte dai tribunali speciali. Molti di essi si rifugiarono nell’allora Regno jugoslavo, ed il primo scontro armato che impegnò l’esercito italiano nella »Provincia di Lubiana« viene addebitato proprio al Tigr.
Il movimento pero’, nella lotta di liberazione, rimase marginale, escluso dalla Resistenza e senza un programma politico vero e proprio. In periodo bellico venne finanziato dall’intelligence militare britannica con cui collaborò di buon grado. Sottaciuti per decenni dalle autorità comuniste, il »tigrovci« sono stati riabilitati e riconosciuti senza riserve come combattenti antifascisti solo di recente, comunque già dai governi precedenti di centrosinistra. Janša ora ne esalta l’eroismo e l’avanguardismo, non tanto per una ritrovata sincera ammirazione nei loro confronti, quanto piuttosto per il tentativo di annacquare i meriti e la memoria del movimento partigiano nei cui confronti la destra di governo continua a non celare un’incontenibile insofferenza.
Il sessantesimo anniversario della vittoria sul nazifascismo trova la Slovenia divisa sulla valutazione storica e sul revisionismo dei fatti e dei protagonisti che portarono alla sua liberazione. E la Storia ridiventa così un poligono di scontro politico.