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21 maggio a Belgrado
Il giorno del referendum vissuto da Belgrado. Tra SMS che anticipavano il risultato, funzionari internazionali e ragazzi locali. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Marco Zecchinato*
Come osservare la dissoluzione dell’ultimo brandello di Jugoslavia in diretta televisiva.
21 Maggio 2006: il Montenegro vota (con un’affluenza altissima) per l’indipendenza dalla Federazione con la Serbia con un margine di qualche decimale oltre quel 55% imposto dall’Unione Europea per sancire la scissione.
L’Europa delle piccole patrie compie un ulteriore passo disgregatore proprio in nome di un presunto più rapido accesso all’Europa stessa. E mentre le ferrovie e le linee aeree serbe offrivano promozioni per i montenegrini domiciliati in Serbia che tornavano in patria a votare (la maggior parte dei quali contro l’indipendenza) degli improvvisati sondaggi a Belgrado vedevano il 94% dei Serbi votare contro il mantenimento dell’Unione.
Un’Unione dove comunque esistevano due polizie separate, due distinti parlamenti nazionali, perfino due diverse valute (e non sono ancora riuscito a farmi spiegare come sia possibile che il Montenegro utilizzi l’euro). Paradossi di una coesistenza che negli ultimi tempi dava segnali di nervosismo; il boicottaggio dei parlamentari montenegrini nel parlamento federale, la battaglia per la partecipazione all’evento canoro Eurosong, conclusasi con l’esclusione di Serbia e Montenegro per l’incapacità di scegliere un gruppo che rappresentasse entrambi, episodi di vandalismo ai danni di scolaresche serbe in gita in Montenegro.
E poi la campagna referendaria con toni sempre più accesi, video scandali, accuse di corruzione, gialli sul numero degli aventi diritto di voto. Pare che l’amministrazione montenegrina stesse stampando i nuovi passaporti già settimane prima del referendum.
Nei giorni precedenti, tra i miei conoscenti locali a Belgrado, l’argomento era evitato con sufficienza, il più delle volte liquidato con la battuta "speriamo che votino si’ e si levino dai piedi". Il problema più grave era dove andare al mare la prossima estate, se preferire Grecia e Turchia al nuovo vicino.
In realtà la sensazione è che dietro questa facciata la maggior parte dei Serbi abbia vissuto come un tradimento la decisione indipendentista del Montenegro. Se qualche analista sottolineava come per la Serbia fosse necessario liberarsi al più presto della questione montenegrina e kossovara per aspirare all’Europa, un’altra parte viveva questa scissione come l’ennesimo schiaffo alla piccola Serbia, accentuandone la sindrome di isolamento ed autocommiserazione.
A casa di amici, il 21 sera, ci siamo sintonizzati sulla TV Montenegrina che trasmetteva in diretta. Il tam tam degli sms già avvertiva che aveva vinto la causa indipendentista. Negli occhi dei due serbi presenti un guizzo di sorpresa, poi l’offerta di brindare alla nuova Serbia autonoma. L’espressione sconsolata dell’unica montenegrina, che studia a Belgrado e teme di diventare straniera in quella che considera la sua città. Lo smarrimento della nostra amica americana, arrivata da poco, che a fatica localizza gli stati balcanici sulla carta geografica. E poi noi due, veneti, che osserviamo muti ed allibiti le scene di giubilo a Podgorica, il presidente montenegrino che parla di "ritorno alla libertà" per il proprio Paese e furbescamente fa gli auguri alla Serbia, nuovo Stato indipendente. Il pensiero corre ad un possibile effetto domino sul Kossovo, un giorno in Vojvodina, e poi Repubblica Srpska, Herzegovina, Cecenia, ex-repubbliche sovietiche….
Esagerazioni, probabilmente… mentre rientro verso casa incrocio gruppi di ragazzi con le bandiere che inneggiano alla nuova Serbia sovrana. Chissà quali bandiere useranno per festeggiare le vittorie dei mondiali dei calcio in Germania, dove giocherà la nazionale di uno Stato che non c’è più….
Intanto dovrò ristamparmi i biglietti da visita….
* Marco Zecchinato lavora per un’organizzazione internazionale a Belgrado