1991 – 2001: Dieci anni di guerre nei Balcani

Il discorso dell’ex Presidente della Macedonia a Padova, al convegno nell’ambito di Civitas 2001.

01/05/2002, Redazione -

Per più di un decennio, la regione del Sud-Est Europa ha subito, a molti e diversi livelli, un difficile processo di drammatici mutamenti, che ha avuto inizio con il collasso del sistema comunista, il crollo della struttura bipolare del potere in Europa e nel mondo e la dissoluzione della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia. Da ciò sono derivate violente guerre in più parti della regione, connesse per lo più ad accese passioni nazionaliste e a rivendicazioni del grande-stato. La mappa politica dei Balcani è cambiata in maniera sostanziale e nella regione è in via di sviluppo un nuovo equilibrio di forze. La maggior parte dei paesi sono più o meno impegnati nella trasformazione dei propri sistemi interni, attraverso il processo conosciuto come transizione.

Dal punto di vista della politica, dell’economia, della sicurezza e della democrazia, come anche da quello delle attività criminali, la situazione attuale nei Balcani è estremamente complessa e inquietante: non solo a causa della situazione in Kosovo, ma anche dell’intera SFRY e delle relazioni interne alla Federazione, della situazione in Bosnia Erzegovina, in Albania e più recentemente in Macedonia.
Purtroppo al fallimento delle aspirazioni della grande Serbia e della grande Croazia è seguito, malgrado tutto, il tentativo di realizzare nella regione una grande Albania. La lotta per la ridefinizione dei confini esistenti e le rivendicazioni di territori di altri paesi (rivendicazioni soppresse, ma nondimeno esistenti) rappresentano una tipica peculiarità dei Balcani. Si creano diffidenze e instabilità, e spesso questa è la causa fondamentale della guerra, vittime, deportazione, distruzione, come dimostrato dal nostro recente passato.

La situazione economica è critica in quasi tutti gli stati dei Balcani; questo contribuisce a creare un clima favorevole alla mobilitazione popolare su base nazionalistica.
Il mutamento democratico in atto nella regione è lento e in alcune aree ha subito un arresto.

Il livello di criminalità nell’area sta raggiungendo dimensioni pericolose e inquietanti. La corruzione è in aumento e il crimine organizzato sta minacciosamente diventando l’attività dominante.
Fino a che c’è instabilità politica nei Balcani, ossia fino a che manca in sicurezza nell’area, la regione ed ogni singolo stato non possono raggiungere progressi economici e sviluppo sostenibile. Né in tali condizioni gli investimenti esteri possono dare risultati. Senza sviluppo e con l’attuale instabilità politica esistente a livello regionale e nazionale, la riuscita realizzazione delle riforme economiche e politiche fortemente necessarie in ogni singolo stato non è immaginabile.

Avere buon senso nei Balcani significa convivere, ma ciò non può essere ottenuto se si genereranno costantemente tensioni, contrasti, conflitti e instabilità, a discapito di se stessi e di tutti gli altri.
La situazione in Kosovo è tuttora lontana dall’essere risolta. E’ evidente che l’intervento della NATO ha ottenuto alcuni risultati. Comunque, sia la NATO sia l’insieme della comunità internazionale subiranno una sconfitta se:
1. si cambieranno con la forza gli esistenti confini; 2. continuerà la pulizia etnica attuata da entrambe le parti;
3. gli sfollati degli ultimi due anni non rientreranno nei luoghi di origine; 4. non si dovesse creare in Kosovo un’atmosfera democratica, con istituzioni democratiche e condizioni per una pacifica convivenza.

La complessità della questione kosovara impone la presenza delle forze internazionali di pace per un lungo periodo di tempo. Questo è il presupposto per il mantenimento della situazione sotto un certo livello di controllo. Comunque in Kosovo non si può parlare di risoluzione permanente della crisi, senza la costruzione di istituzioni democratiche e l’instaurazione dello stato di diritto. E’ necessaria una fondamentale trasformazione in senso democratico anche in Serbia e in Albania.
Sfortunatamente, l’Albania è la maggior fonte del nazionalismo fondato sull’idea della grande Albania. A seguito del collasso delle istituzioni statali albanesi avvenuto nel 1997, la situazione interna è caotica. Le autorità di Tirana non hanno alcun controllo sul territorio del proprio paese. L’Albania non difende i propri confini di stato, per lo più perché circondata da una massa relativamente compatta di etnia albanese presente in ciascun paese confinante. Le autorità albanesi sanno che la comunità internazionale non accetta mutamenti dei confini esistenti nei Balcani. Sono altrettanto coscienti delle difficoltà insite nel realizzare l’idea della grande Albania. Comunque, l’Albania, supportando l’idea di un Kosovo indipendente, così come la creazione di diritti comuni dell’etnia albanese in Macedonia, nel sud della Serbia o in Montenegro, sta tentando di dare forma ad uno spazio etnico albanese, che comprenda parti di territorio di paesi limitrofi.

Successivamente alla caduta di Milosevic, il processo di democratizzazione della FRY ha avuto inizio. Tale percorso sarà lento e dovrà essere accurato. La FRY sta tuttora fronteggiando questioni di destatalizzazione, privatizzazione e costruzione di istituzioni democratiche. Il contesto viene ulteriormente complicato dall’instabilità delle relazioni all’interno della Federazione, e altresì all’interno della Serbia.
La situazione in Bosnia Erzegovina non è tuttora stabilizzata. La Bosnia Erzegovina di Dayton ha già mostrato i suoi lati deboli. La presenza della forze internazionali di pace sarà essenziale per un certo periodo di tempo a venire. I recenti movimenti avvenuti all’interno dell’etnia Croata sono indicatori della complessità della situazione.

Gli ultimi sviluppi in Macedonia sono in parte di origine autoctona (radicalizzazione e richieste avanzate da cittadini macedoni di etnia albanese, la debolezza della coalizione governativa, la tolleranza nei confronti delle attività criminali, ecc.) e in parte importati dal Kosovo e dall’Albania, come espressione di estremo nazionalismo pan-albanese.
Guardando al passato, è come se nei Balcani fosse andata perduta la possibilità di agire in maniera preventiva: in una prima fase della crisi jugoslava (l’esperienza positiva dell’UNPREDEP) così come in seguito.

E’ servito molto tempo per capire che l’origine del nazionalismo serbo non è in Kraijna, né nella RS di Bosnia, né in Slavonia, ma piuttosto in Serbia. Il caso attuale del nazionalismo albanese e delle sue origini è simile. La fonte di tale nazionalismo non è né in Kosovo né in parti della Macedonia o del Montenegro, ma proprio in Albania. I rischi sussistono e aumenteranno fino al definitivo prevalere della democrazia, prima in Albania e poi in FRY e in Kosovo.
A causa di numerose ragioni, i partiti politici nei Balcani sono formati su base etnica. Questo è contrario alla pratica politica dell’Europa. La condizione di eterogeneità etnica esistente in tutti i paesi dei Balcani, tendenza obsoleta ed essenzialmente anti-europea, privilegia i diritti collettivi dei gruppi etnici a spese di quelle del singolo, andando in senso opposto ai basilari principi delle democrazie civili dell’Europa Occidentale. La realtà politica ha fondamentalmente dimostrato che questa procedura spinge al risveglio delle aspirazioni nazionalistiche e al rafforzamento dei processi di disintegrazione, ancora una volta in senso opposto all’orientamento dell’Europa occidentale.

Sfortunatamente le realtà balcaniche delineatesi in questa direzione sono state accettate dai più influenti attori internazionali. La conseguenza di questo stato di cose è stata la tardiva reazione delle democrazie occidentali alle consecutive crisi nei Balcani, sfociate in terribili guerre.
Gli stati dei Balcani, specialmente quelli che hanno espresso il loro orientamento in direzione di un più stretta riavvicinamento all’EU e alla NATO, necessitano del supporto e dell’assistenza internazionale,

Sembra che NATO ed EU non hanno utilizzato in maniera abbastanza efficiente mezzi e meccanismi a propria disposizione per guidare lo sviluppo democratico degli stati nei Balcani, mezzo essenziale della prevenzione. L’orientamento dichiarato dalla maggior parte degli stati dell’area verso l’EU e la NATO non significa nulla, se non considera l’implementazione dei valori democratici occidentali e dei basilari principi di democrazia.
A seguito di tali considerazioni, il Patto di Stabilità per il Sud-est Europa è destinato a rimanere solo un’idea sulla carta, se sarà incapace di dirigere gli stati balcanici verso l’assunzione del modello civile e democratico occidentale, fondato sull’uguaglianza dei cittadini di ogni stato nei Balcani, senza distinzione razziale, etnica, religiosa, di genere e di altra natura.

Solo il modello civico può avvicinare i Balcani alla EU e alla NATO.Continuare ad insistere sui diritti collettivi può condurre solo a nuove dispute, conflitti e guerre.

Per trovare una via di uscita all’attuale crisi nei Balcani, è necessario persuadere le forze locali democratiche e le democrazie occidentali, attraverso uno sforzo coordinato e mirato, alla costruzione di istituzioni basate sui noti principi del modello civico democratico. In questo contesto, tutti i paesi dell’area balcanica necessitano dell’aiuto internazionale per la conduzione delle riforme e del processo di democratizzazione.
Il presupposto affinché ciò avvenga è legato alle parallele attività internazionali mirate a: prendere posizione inequivocabile che non tolleri alcun tipo di intenzione o pretesa di cambiare forzatamente i confini; insistere sul rispetto dei principi universali (no all’uso della forza o alla minaccia dell’uso della forza, risoluzione pacifica delle controversie, reciproco rispetto tra stati su base equa, e così via); rafforzare la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione nella regione; rivitalizzare nei fatti il Patto di Stabilità e un più coraggioso orientamento della EU verso rapporti operativi con gli stati della regione.

Siamo consapevoli delle difficoltà insite nella trasformazione della EU. Il problema dei Balcani non potrà che ingrandirsi se il processo di allargamento della Comunità Europea non procederà. Ma è altresì necessaria una grande dose di coraggio politico per includere gli stati dei Balcani nella EU piuttosto che tenerli in disparte.
L’integrazione dei paesi del SEE nella Comunità Europea e nella NATO non possiede una dimensione politica, sociale e legata alla sicurezza, ma anche un aspetto relativo alla civilizzazione. Per esempio l’EU ha dimostrato che può risolvere con successo problemi di paesi cosiddetti piccoli ed economicamente sottosviluppati (Grecia, Portogallo, Irlanda…). Al contempo ha mostrato di possedere meccanismi da utilizzare in difesa dei valori democratici in paesi appartenenti all’EU stessa (Haider in Austria).

La Macedonia, fin dagli albori dell’indipendenza e malgrado le difficoltà, ha intrapreso al suo interno una serie di riforme (modello civile democratico, economia di mercato). Riguardo alle relazioni esterne ha perseguito la via dell’integrazione nell’EU e nella NATO e dei rapporti di buon vicinato e di cooperazione interni alla regione. I problemi attuali sono il risultato delle resistenze al funzionamento del modello civico, che si manifesta con il nazionalismo della grande Albania.
Idee obsolete, scovate nei programmi nazionali del 18° e 19° secolo, non possono portare ad una riuscita integrazione dei singoli paesi dei Balcani nell’EU e ad una positiva inclusione della regione nei moderni processi di integrazione europea e di globalizzazione, in atto nel 21° secolo.

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