Sguardi adriatici: Ancona
Da Ancona l’Adriatico appare come un meraviglioso stretto, tra ovest ed est. Con questo articolo parte un’esplorazione di un mare che accomuna. Lo faremo partendo da specifici luoghi che su di esso s’affacciano
#1 – ANCONA
Gelida giornata d’inverno. Un Maestrale teso spinge in cielo nembi siderali, in mare frangenti tumultuosi. Nuvole e onde corrono nella stessa direzione, veleggiano verso sudest. Oggi, l’Adriatico visto da qui, dal Parco del Cardeto di Ancona, è un meraviglioso stretto, una breve via d’acqua tra l’Appenninia e la Balcania, tra l’occidente italico e l’oriente slavo. Qui, nelle giornate limpide, si può navigare a vista da una costa all’altra. Poche miglia a sud, il plumbeo profilo del Monte Conero, il Kòmaros dei fondatori greci della città, ha ancora la solennità che avevano i promontori per gli antichi marinai. Sessanta miglia a est, il Velebit è una linea dorata che invita ad alzare le vele per attraversare il mare. Posso solo immaginare la sua vetta innevata, l’odore dell’inverno che restituisce alla montagna e al mare la loro sacralità. Velebit, letteralmente “essere grande” in serbocroato mi ha insegnato anni fa un amico d’oltremare, Giacomo Scotti, in un luminoso giorno di primavera mentre passeggiavamo sulla gloriosa Jadranska Magistrala, la strada costiera orientale lunga 1000 chilometri. Eravamo dalle parti di Senj, un altro luogo mitico nell’immaginario adriatico, in cui riecheggiano ancora le gesta dei corsari Uscocchi.
Com’è facile perdersi in Adriatico! Si perde la rotta del mare, quando improvvisamente gira il vento, come si perde il filo del racconto, quando altrettanto rapidamente muta la curiosità. O è vero il contrario? Come è facile ritrovarsi in Adriatico? Quando per assecondare i venti scopriamo lidi frequentati dai nostri avi, quando per rispondere alle curiosità ritroviamo relazioni dimenticate o qualche volta nascoste dai nostri padri.
Appenninia e Balcania, due penisole collegate da un mare, l’Adriatico che visto da qui è un’altra di quelle “strade senza polvere” che da sempre collega le rive e le genti. Ancona per secoli è stata una delle principali porte d’ingresso italiane aperte a oriente, di cui l’Arco di Traiano è il simbolo plurimillenario. La genialità di Apollodoro di Damasco, la preziosità del marmo greco, l’abilità delle maestranze molte probabilmente anconetane, ne fanno un’icona dell’arte e della storia mediterranea. Sulla riva opposta Zadar era in origine Iader, municipio romano, di cui rimangono straordinarie testimonianze architettoniche, malgrado le travagliate vicissitudini. Due città che si stringono attorno alle loro due arche di pietra, i duomi di San Ciriaco e Sant’Anatstasia, due biografie esemplari, anche per i laici, sull’erranza mediterranea.
Ancona e Zara accomunante anche dall’essere l’ultimo crocevia di strade che scendono da montagne impervie, luoghi di miseria e meraviglia, di ricchezza e sismicità. Appennini e Balcani, catene montuose che stringono l’Adriatico più di ogni altro Mediterraneo, rendendolo duplice, dolce o terribile a seconda dei venti, solare o uggioso a seconda delle stagioni. L’Adriatico è un mare difficile, ma come tutti gli amori difficili ancor più seducente. La storia e l’esperienza ci insegnano che è difficile non solo meteorologicamente. I rumori del vento e delle onde che si ascoltano quassù lo ricordano; le pietre e i mattoni che si incontrano quassù lo testimoniano.
Un refolo di Maestrale piega i rami spogli degli ornielli e stende le erbe alte del Campo degli Ebrei. Allora le steli funerarie rilucono nel sole, sembrano anche loro vele in procinto di partire per orizzonti lontani. Qui come a Sète riecheggiano potenti i versi di Paul Valéry: “Le vent se lève! … Il faut tenter de vivre! / L’air immense ouvre et referme mon livre”. Il nostro è un libro adriatico, da scrivere insieme.