Azerbaijan: quando i potenti cadono in disgrazia
Un tempo godeva di ampi poteri, ed era considerato l’eminenza grigia dell’Azerbaijan: Ramiz Mehdiyev di recente è uscito però dalle grazie del potere, accusato di voler organizzare un colpo di stato è stato messo ai domiciliari. Un caso emblematico di come funziona il potere a Baku

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Ramiz Mehdiyev - foto wikimedia CC BY 4.0
Già solo il suo nome faceva rabbrividire. Se poi veniva pronunciato in riferimento ai membri della società civile, c’erano ancora più motivi per temere. L’uomo che ha instillato così tanta paura con i suoi ampi poteri è Ramiz Mehdiyev, noto in Azerbaijan anche come “cardinale grigio” o “eminenza grigia”.
Mehdiyev ha ricoperto un incarico istituzionale, come capo di gabinetto del presidente dell’Azerbaijan dal 1995 e al 2019, ma la sua influenza e il suo potere si erano estesi ben oltre le sue responsabilità.
Non è ancora chiaro quali fossero effettivamente le sue prerogative. I dettagli del suo ruolo, comprese le responsabilità che ne derivavano, non sono mai stati resi noti.
La svolta è avvenuta quando Mehdiyev ha rifiutato di allinearsi alla posizione del presidente Aliyev e ai suoi progetti per il futuro del paese.
Mehdiyev è stato rimosso dal suo incarico nel 2019 con un decreto presidenziale. Una decisione accolta con favore dai membri del governo rimasti in carica e interpretata come parte integrante delle riforme in stile Aliyev e come un tentativo di aprire la strada alle nuove generazioni per entrare in politica.
Subito dopo però, a Mehdiyev è stato assegnato un altro ruolo, seppur meno influente: dirigere l’Accademia nazionale delle scienze. Tuttavia, nel 2022 ha rassegnato le dimissioni, adducendo come motivazione l’età avanzata.
La decisione, tutt’altro che inaspettata, è giunta in un periodo segnato da critiche rivolte a Mehdiyev per la cattiva gestione delle risorse dell’Accademia, che avrebbe utilizzato per perseguire gli interessi personali.
Nessuno però si aspettava che, sei anni dopo, il nome di Mehdiyev sarebbe salito alla ribalta della cronaca non per le sue solite invettive anti-occidentali, ma per le accuse di voler rovesciare il governo, tradimento e riciclaggio di denaro. È stato messo agli arresti domiciliari per quattro mesi, misura che gli è stata concessa per via della sua età (87 anni).
Al momento della stesura di questo articolo, Mehdiyev rischia di perdere tutti i suoi titoli e onorificenze statali. Il partito al governo, Yeni Azerbaijan, ha già annunciato l’intenzione di espellerlo dai propri ranghi. Lo scorso 18 ottobre Mehdiyev è stato rimosso anche dal suo incarico come membro del Consiglio di sicurezza dell’Azerbaijan.
La ricchezza e i poteri “non ufficiali”
Mehdiyev faceva parte della vecchia élite che ha facilitato il passaggio di consegne nel 2003 dall’ex presidente Heydar Aliyev a suo figlio, Ilham Aliyev. Ha orchestrato anche la prima ondata di repressione tra il 2013 e il 2014, che ha portato all’arresto di molti rappresentanti della società civile, alla chiusura del servizio azerbaijano di Radio Free Europe/Radio Liberty, all’adozione di leggi restrittive sulle ong.
Tuttavia, per citare le parole di Ali Karimli , leader del partito di opposizione Fronte Popolare, non importa per quanto tempo si è rimasti in carica, “nessuno è intoccabile”. Dopo l’arresto di Mehdiyev, molti media allineati hanno pubblicato articoli sulla sua ricchezza, come se fosse una sorpresa.
Alcuni ex funzionari governativi hanno cercato in tutti i modi di prendere le distanze da Mehdiyev. Zahid Oruc, deputato del parlamento di Baku si è scusato per aver chiamato Mehdiyev “padre”. Ha chiesto perdono al presidente Aliyev, sostenendo di non essere stato a conoscenza delle azioni di Mehdiyev, rivolgendosi invece ad Aliyev chiamandolo “padre”.
Elmar Mammadyarov, già ministro degli Esteri, in un’intervista a Musavat TV ha dichiarato di non intrattenere alcun rapporto con Mehdiyev, precisando che, dopo l’uscita di Mehdiyev dal gabinetto presidenziale, non ha più scambiato con lui una sola parola. Le affermazioni di Mammadyarov non stupiscono affatto, considerando che il suo nome è stato menzionato in un articolo critico nei confronti di alcuni funzionari, ex ministro compreso, considerati vicini a Mehdiyev.
Un altro ex funzionario, Hasan Hasanov, interpellato dall’agenzia di stampa statale APA, ha affermato che Mehdiyev, durante il suo mandato istituzionale, si è dimostrato ipocrita e perfido.
Un golpista
Lo scorso 16 ottobre, l’agenzia di stampa APA ha pubblicato un articolo in cui accusava Mehdiyev di avere legami con Mosca e di pianificare un colpo di stato con il sostegno russo. Mehdiyev, secondo APA, avrebbe cercato di prendere il potere in Azerbaijan attraverso un “Consiglio di stato” transitorio che lui stesso avrebbe guidato.
Secondo i media statali, il complotto di Mehdiyev sarebbe stato rivelato ad ottobre, durante un incontro tra i leader di Azerbaijan e Russia a Dushanbe, dove Mosca avrebbe informato Baku della proposta di Mehdiyev e del presunto piano di colpo di stato.
In un altro articolo pubblicato da APA il 18 ottobre, Mehdiyev – che ha costruito la sua carriera politica durante il governo di Heydar e Ilham Aliyev – è stato accusato di aver creato di nascosto una rete clientelare tra funzionari statali, intellettuali e politici, ricorrendo a intrighi, calunnie e manipolazioni per perseguire le proprie ambizioni, in linea con gli interessi russi.
Alcuni analisti azerbaijani intervistati da Meydan TV ritengono infondate le accuse di golpe. “È difficile credere che un uomo di 87 anni possa pianificare da solo un colpo di stato”, ha affermato Ilham Ismayil, esperto di sicurezza.
Mehman Aliyev, ex direttore dell’agenzia di stampa Turan, recentemente chiusa, ha dichiarato a Meydan TV che le accuse di golpe potrebbero essere utilizzate per fare un repulisti tra i funzionari statali vicini a Mehdiyev. “Ha piazzato molte persone in posizioni di potere […] era legato a molte strutture”.
Secondo Mehman Aliyev, le accuse mosse contro Mehdiyev potrebbero essere un pretesto per riformare o forse per indebolire la sua rete. Quest’ultimo punto è stato sollevato anche dall’analista politico Arastun Orujlu. In un’intervista rilasciata a Meydan TV, Orujlu ha affermato che l’arresto di Mehdiyev non segna la fine della vicenda, ritenendo verosimile l’ipotesi di ulteriori arresti e procedimenti penali contro i membri del suo entourage.
Un trattamento preferenziale
Oltre alle accuse mosse contro Mehdiyev, a sollevare polemiche è stata anche la decisione di metterlo agli arresti domiciliari. Secondo il codice di procedura penale dell’Azerbaijan, il tribunale adotta le misure necessarie in base alla gravità delle accuse.
Nel caso di Mehdiyev, accusato di alto tradimento, gli arresti domiciliari sono un segno di favoritismo. Pur essendo stati colpiti da accuse analoghe, molti rappresentanti della società civile azerbaijana, tra cui alcuni giornalisti e difensori dei diritti umani, sono stati sottoposti a custodia cautelare e alcuni sono poi stati incarcerati.
La drammatica caduta in disgrazia di Ramiz Mehdiyev va oltre la semplice storia della rovina di un uomo. Riflette la natura ciclica del potere in Azerbaijan, dove la lealtà viene premiata solo finché serve gli interessi dell’élite al potere, e dove i potenti possono facilmente diventare capri espiatori.
La parabola di Mehdiyev dimostra che in questi sistemi l’influenza politica è transitoria, la lealtà non è mai incondizionata e la responsabilità è selettiva. A far cadere in disgrazia gli uomini forti non è quasi mai la giustizia, bensì la politica. E anche quando vengono spodestati, continuano a ricevere un trattamento di favore: gli arresti domiciliari concessi a Mehdiyev sono in netto contrasto con il destino di innumerevoli critici del governo e membri della società civile, incarcerati sulla base di false accuse.
Il caso di Mehdiyev chiude un capitolo della storia della vecchia élite azerbaijana, ma non segna la fine del sistema che questa élite ha costruito. L’architettura del potere, che Mehdiyev ha contribuito a creare, resta in piedi, cambiano solo i volti al vertice.











