Arcivescovi armeni accusati di ordire un golpe

È scontro aperto tra il governo e la Chiesa armena. Il governo parla di golpe e arresta due arcivescovi e un noto imprenditore, l’opposizione grida alla repressione politica. Sullo sfondo gli equilibri geopolitici e i negoziati con l’Azerbaijan

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La cattedrale di Echmiadzin - © Vahan Abrahamyan/Shutterstock

A undici mesi dalle elezioni parlamentari, il clima politico in Armenia non è mai stato così teso in un periodo pre-elettorale. Lo scorso 25 giugno, il Servizio di sicurezza nazionale (NSS) ha arrestato una dozzina di persone accusate di aver pianificato un colpo di stato con l’intento togliere il potere al primo ministro Pashinyan.

Pochi giorni prima, l’imprenditore russo-armeno Samvel Karapetyan è stato arrestato con le stesse accuse. La nuova ondata di arresti ha colpito anche l’arcivescovo Bagrat Galstanyan, sacerdote revanscista che l’anno scorso aveva guidato le proteste contro Pashinyan.

Il NSS ha reso noto che sono state trovate armi e un programma di sette pagine per rovesciare il governo. Il documento è stato originariamente pubblicato su un sito pro-Pashinyan, poi però è apparso tra gli oggetti sequestrati dal NSS. Per il governo e i suoi sostenitori, il presunto colpo di stato era imminente. Tuttavia, in una fotografia pubblicata dal NSS appare una versione datata del documento così da suggerire che il piano di golpe sarebbe stato attuato tra fine giugno e fine settembre dello scorso anno. Il sito pro-Pashinyan ha nascosto maldestramente questo dato, coprendolo con una striscia di carta.

Sono state pubblicate anche registrazioni audio di Galstanyan che parlava del presunto tentativo di golpe. Secondo alcuni deputati eletti tra le fila del partito di Pashinyan, Galstanyan avrebbe confermato che la voce registrata era sua. Il sacerdote però ha respinto le accuse.

Ora tocca agli esperti di informatica forense analizzare la registrazione, che contiene anche minacce di violenza e omicidi.

Si sostiene inoltre che gli ex presidenti dell’Armenia Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, gli oligarchi Gagik Tsarukyan e Samvel Alexanyan, e alcuni armeni del Karabakh siano stati citati come persone pronte ad appoggiare il presunto golpe. Si parla di armi, munizioni ed esplosivi resi disponibili, di piani di disobbedienza civile e azioni violente incoraggiate da centinaia di ex militari, che sarebbero stati incaricati di creare una “situazione incontrollabile”.

Galstanyan è stato sottoposto a custodia cautelare della durata di due mesi. Subito dopo la stessa misura è stata disposta anche contro un altro arcivescovo rinnegato in quella che appare sempre più come un’azione orchestrata per mettere a tacere la Chiesa apostolica armena prima delle elezioni del prossimo anno.

Il clero, come anche l’opposizione parlamentare, si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di normalizzare le relazioni con Azerbaijan e Turchia. Per Pashinyan invece, alle prese con un calo di consensi, la normalizzazione dei rapporti coi vicini, con il pieno sostegno dell’Unione europea, potrebbe rivelarsi l’unica strada percorribile per assicurarsi la rielezione.

Lo scorso 30 giugno, un altro dignitario ecclesiastico, l’arcivescovo Mikayel Ajapahyan, è stato arrestato con l’accusa di aver pianificato un colpo di stato. Anche Ajapahyan è stato posto in custodia cautelare per due mesi, con l’accusa di aver invocato un golpe militare in alcune dichiarazioni rilasciate in passato.

Il fatto che il NSS solo ora abbia preso misure contro Ajapahyan porta i critici a rilanciare l’ipotesi secondo cui ad essere prese di mira sono le personalità di spicco che in futuro potrebbero mobilitare gli oppositori di Pashinyan spingendoli a scendere in piazza. Ajapahyan, insieme a Galstanyan, è stato uno dei leader delle proteste contro Pashinyan dello scorso anno.

Alla fine di giugno, le forze dell’ordine sono entrate nella sede della Chiesa apostolica armena, a Etchmiadzin. Tuttavia, centinaia di fedeli hanno impedito che Ajapahyan venisse arrestato. Successivamente, l’arcivescovo si è recato a Yerevan per presentarsi alla polizia.

Intanto, Pashinyan, impegnato in una campagna tutta sua contro Ajapahyan, si è detto pronto ad attenuare i toni. Facebook ha già cancellato uno dei suoi post per violazione delle regole del social.

Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha espresso preoccupazione per gli sviluppi in Armenia. Il suo omologo armeno, Ararat Mirzoyan, ha risposto invitando Lavrov a non immischiarsi negli affari interni dell’Armenia. Mirzoyan insiste sulla necessità di prendere misure contro i due arcivescovi, ma anche contro il Catholicos armeno, Karekin II, che – secondo Pashinyan – sarebbe padre di almeno un bambino avendo violato il voto di celibato. Il primo ministro ha invitato Karekin II a lasciare la carica.

Ad oggi, l’UE non ha voluto commentare quella che molti considerano una campagna di repressione contro l’opposizione armena. Durante la sua visita in Armenia a fine giugno, Kaja Kallas, Alta rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, non ha rilasciato alcuna dichiarazione sulla vicenda.

Tuttavia, il presidente francese Emmanuel Macron ha pubblicamente offerto il suo sostegno a Pashinyan di fronte a quello che ha definito un tentativo di destabilizzare l’Armenia. L’opposizione armena insiste invece sull’idea che lo scopo della repressione interna sia quello di accontentare l’Azerbaijan e la Turchia.

Pashinyan spera ancora di firmare un accordo di pace con l’Azerbaijan entro la fine dell’anno. L’auspicio del premier armeno, espresso più volte negli ultimi mesi, è che Bruxelles e Washington facciano pressione per convincere la Turchia ad aprire il confine con l’Armenia, in modo da spingere Baku a rinunciare alle richieste rivolte a Yerevan. L’Azerbaijan insiste infatti sulla necessità di modificare la Costituzione armena [in cui si parla delle rivendicazioni territoriali sul Karabakh e sulla Turchia] prima della firma di qualsiasi accordo di pace.