Milano: i cinema che non ci sono più e quelli che resistono
A Milano i cinema sono drasticamente diminuiti, passando dai 160 degli anni ’60 agli attuali 30. Ma nonostante la crisi alcune sale indipendenti resistono: come il Cinema Arlecchino, rinato proprio quando sembrava fosse destinato a sparire per sempre

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©Andrea Ferrario/Unsplash
Siete sicuri di voler proprio andare al cinema? Niente shopping? E un po’ di palestra? Suvvia, siete a Milano, la città che negli anni ‘60 accoglieva 160 cinema, e che oggi ne ha conservati solo 30. Meno di una decina in centro, meno di una ventina all’interno delle circonvallazioni, i pochi altri in periferia, dove sono sorti tre multisala che detengono da soli oltre un terzo (36) dei 102 schermi meneghini.
Follow the money, fuori dalle sale
Pur in perfetta linea con la tendenza nazionale, che segna un crollo del numero di sale cinematografiche, la parabola discendente milanese amareggia più che mai, soprattutto per chi ricorda la varietà di offerta che regalava la città, in grado di soddisfare anche gli appassionati dai gusti più sofisticati. Ma non sono state le scelte urbanistiche o la speculazione edilizia ad avviare il processo: sono le persone che hanno smesso di andare al cinema, per lo più in città e nei monosala.
Chi vuole vedere una pellicola sul grande schermo, prende l’auto e va dove si parcheggia comodamente, nei multisala periferici con tanto di negozi al contorno e pop corn XXL stile Stati Uniti. Il resto si parcheggia ancora più comodamente sul divano e la guarda a casa propria, mentre in centro si va solo per lo shopping. Non è un caso, infatti, che la maggior parte delle sale cinematografiche mono schermo storiche scomparse oggi siano diventate negozi: l’Apollo è ora sede dall’Apple Store, le sale del Plinius di un supermercato e quella dell’Odeon di nuovi reparti della Rinascente.
Milano non ha che reagito, in perfetto stile “Follow the money”: oggi i monosala faticano a essere economicamente sostenibili in città, i negozi no, soprattutto se hanno alle spalle grandi brand. Le riqualificazioni legate al mondo retail infatti fioccano, ma ci sono anche cinema che hanno scelto di rinascere hotel alla moda, oppure palestre, sempre alla moda, come sa bene chi fino al 2007 andava al cinema Maestoso e oggi al posto delle sue accoglienti poltroncine vintage trova tapis roulant, cyclette e pesi.
I cinema residenti e resistenti
L’elenco degli scomparsi è lungo e vi si trovano cinema come l’Ariston, il Corso, l’Ambasciatori, scomparsi all’inizio del nuovo millennio, e poi il Corallo, il Mediolanum, il Manzoni, il Pasquirolo, l’Excelsior, il Mignon e l’Adriano, oggi svettante torre residenziale.
Scorrendo la lista, si immagina una Milano cinematograficamente deserta, ma c’è ancora chi ha il coraggio, la forza e l’opportunità di spegnere le luci e accendere la magia ogni sera anche a due passi dal Duomo.
Il Cinema Centrale, per esempio, la sala più antica ancora attiva a Milano che proietta titoli di qualità in due sale dalla centralissima via Torino, presidiando il suo posto nel cuore degli appassionati di cinema in zona Milano assieme a Mexico, Palestrina, Beltrade, e Cinemino. Questi “resistenti” addirittura stanno ancora conservando la propria natura monoschermo, regalando speranze, rassegne e proposte originali. Qualcuno direbbe di nicchia, altri di qualità, sicuramente uniche nel panorama appiattito dalle programmazioni dei grandi multisala.
In questo panorama, c’è chi ha smesso di sperare e ha deciso che andare al cinema a Milano resterà solo un bel ricordo. Ha accettato la predominanza massiccia dei multisala come incontrovertibile conseguenza di un trend generale del settore, ma anche dello sviluppo urbanistico ed economico di questa metropoli. Tra questi c’è Giuseppe Rausa, autore di numerosi volumi sulla storia del Cinema e dei cinema, che a Milano non mette più piede da tempo se ha voglia di godersi un film.
“Negli anni Settanta e Ottanta si poteva parcheggiare ovunque, raggiungendo i cinema più centrali in modo veloce e comodo. Quando negli anni Novanta hanno iniziato a comparire righe blu e gialle, è diventato più complesso e costoso e tutte quelle sale che vivevano grazie alla libertà di movimento delle auto hanno perso clienti” spiega, precisando che la sua non è un’invettiva pro-auto ma una pragmatica presa d’atto del fatto che “se un film termina tardi e non ci sono i mezzi pubblici, o si possono usare quelle privati, oppure si sta a casa”. Oppure si va nei multisala con capienti parcheggi, aperti sette giorni su sette e strategicamente posizionati sulle grandi arterie che avvolgono la città.
Secondo Rausa, però, non è tutta colpa dei parcheggi e non è la transizione verde ad aver causato la moria di cinema monosala a Milano. Anche del cinema ha le sue responsabilità, perché “non ha saputo differenziarsi e affrontare la terribile concorrenza della televisione e dei suoi canali tematici nati attorno agli anni Novanta – afferma – e il pubblico, demotivato, ha iniziato ad andare nelle sale solo per le grandi produzioni spingendo molte piccole sale a chiudere. Ma c’è anche un ‘motivo stilistico’: il cinema è morto. Quello vero, intendo, perché i film al cinema e i film che oggi vediamo in televisione sono due cose molto diverse e i primi abbiamo smesso di girarli e produrli”.
Rausa lascia rimbombare nel vuoto questa dichiarazione, poi la spiega senza addolcirla: “i film non vengono più pensati per il cinema ma per la televisione, sono ‘ultraparlati’ e non hanno più l’estremismo visionario che avevano anni fa. Oggi le serie hanno preso il loro posto e i film vengono ideati e finanziati con l’idea di poter guadagnare dai passaggi in tv”.
E i multisala? Secondo Rausa sono semplicemente un luogo di passaggio dove ormai i film (e nemmeno tutti) stanno giusto una settimana per poi regalare un ritorno di investimento appena disponibili in dvd o sulle piattaforme di streaming. “È un meccanismo totalmente opposto a quello degli anni ‘60 e ‘70, quando un film doveva vivere e dare profitto esclusivamente nella sale cinematografiche”.
Rinascere col sorriso, come Arlecchino
L’analisi lucida e retrospettiva di Rausa non lascia spazio che per i titoli di coda, ma chi frequenta o ha frequentato le sale sa che i film vanno visti fino in fondo, perché “non si sa mai”. Infatti, per chi resta, c’è un colpo di scena, e il protagonista è il cinema Arlecchino.
Dopo qualche mese di chiusura apparentemente definitiva nel 2022, che ha gettato nel panico i suoi affezionati spettatori, di recente questa sala è rinata e oggi il suo schermo di via San Pietro dell’Orto è un punto di riferimento prezioso per chi cerca titoli di qualità: a sceglierli è infatti Cineteca Milano, che dal 1947 valorizza il patrimonio cinematografico, non solo nelle sale che gestisce sul territorio ma anche attraverso un museo interattivo, un archivio visitabile con realtà aumentata e un laboratorio di restauro e una preziosa biblioteca dedicata al cinema.
Oggi l’Arlecchino spazia dalle prime visioni di qualità a rassegne e classici del cinema internazionale, ospitando molti festival cinematografici che si svolgono nella città di Milano. È l’unico monosala del centro dotato di dispositivi all’avanguardia come il sistema audio 7.1 e il proiettore digitale con lampada laser, a cui si affianca, unico nella città, il proiettore 35mm per le pellicole.
A chi è ancora tentato dal divano, l’Arlecchino propone le poltrone “Ekstrem” di Terje Ekstrom, noto designer norvegese, ammiccando a una delle vocazioni storiche di Milano capitale del design e del mobile. A caratterizzare ulteriormente l’ambiente, sul soffitto dell’ingresso c’è una maschera in mosaico e ceramica realizzata da Lucio Fontana. Un classico simbolo di libertà che brilla restaurato e ripulito dal giorno della riapertura, proprio come il fregio in ceramica policroma e vernice fluorescente dello stesso artista, posto in sala alla base dello schermo.
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