Tra Durazzo e Venezia, viaggia la poesia
Parla meglio il veneziano che l’albanese e nei suoi versi usa la lingua che lo ha accolto nel 1999 in Italia, ma Julian Zhara non ha dimenticato il suo Paese di origine. Lo frequenta e lo guarda preoccupato per il suo repentino sviluppo, ma anche fiero della sua fame di letteratura

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Julian Zhara © Dino Ignani
“Sono arrivato in seconda media, nel 1999, precisamente 26 anni fa. Prima in provincia di Padova, poi a Venezia, e ora vivo a Padova ma a Venezia ci torno spesso. Sono nato a Durazzo a una collina di distanza da una città sommersa; per me il mare è molto importante e a Padova mi manca, anche se devo dire che è proprio una città stupenda”.
Quella di Julian Zhara non è la storia di un albanese in Italia, ma di un albanese in Veneto. Anzi, forse, è la storia di un alba-veneto. Lui la racconta con una sincera naturalezza, distribuendo critiche e apprezzamenti sia alla terra da cui è partito sia a quella in cui oggi vive. “Voglio raccontare un’altra faccia del Veneto”. Zhara non ama affibbiare etichette uniche, gioca con le parole e lo sa fare bene. È un poeta, un fiero poeta multilingue. Traduce poesie e romanzi dall’albanese all’italiano.
Migrare tra le lingue
“Ciascuno di noi non è solo la terra in cui nasce ma anche la terra che abita, e lo si vede dalla lingua, dagli accenti e dalle vocali, e dalla stessa conformazione delle frasi e del pensiero” spiega. E poi ammette senza alcuna ombra di timidezza di parlare più facilmente l’italiano che l’albanese: “la lingua della mia infanzia è quella dell’inconscio e del subconscio, ma la mia lingua madre ormai è l’italiano. Anzi, il veneziano. Sai, riuscirei a riconoscere a orecchio in due frasi se un parlante viene da Verona, Padova, Vicenza, Venezia o Treviso”.
Zhara ci tiene a precisarlo, difendendo e sciorinando il suo accento veneziano che per nulla al mondo vuole perdere. Nonostante abbia frequentato corsi di dizione per letture in pubblico non ha voluto abbandonare la cantilena veneziana che tanto ama e lo conforma.
“Per chi non ha grande dimestichezza col veneziano, una delle particolarità più evidenti, oltre alla cantilena del dettato, rispetto al resto del Veneto, è proprio la erre arrotolata, uguale alla erre albanese. Oltre a vari termini che l’albanese conserva nel suo dizionario come sedia: karrige – in veneziano: cadrega; forchetta: pirun – in veneziano: piròn."
(da cartoline da Durazzo )
Quella di Zhara per il veneziano e per il veneto in generale, non è solo un attaccamento al suono ma una vera passione linguistica e letteraria, culturale, a 360 gradi. E non solo a parole: “ho collaborato all’ultima grande antologia della poesia dialettale ‘l’Italia a pezzi’ curando l’apparato critico di Luciano Cecchinel e Fabio Franzin, due dei maggiori poeti veneti esistenti – spiega- ed è importante per me liberare il Veneto dall’immaginario romanocentrico e televisivo in cui spesso si trova intrappolato. Ne parlava spesso anche il caro Vitaliano Trevisan”.
Veneti nuovi, sapori antichi
Con gli occhi di migrante di lunga data e un punto di vista interno e allo stesso tempo esterno, Zhara è impegnato da anni a mostrare il volto con cui la terra dove abita lo ha accolto anni fa e in cui tuttora lui vive.
“Ci sono altre regioni dove la discriminazione è ben più presente e radicata, non lo si racconta ma è forte e latente” spiega. “Non che in Veneto non ci sia, intendiamoci. Ma contemporaneamente l’unica sindaca italiana nata altrove (in Albania, tra l’altro) è Sindi Manushi. Per non parlare del background veneto, anzi alba-veneto, di uno dei più grandi stand up comedian italiani, che è anche un amico: Xhuliano Dule”.
Cita le statistiche sull’integrazione in cui le città venete sono tra le prime e cita episodi personali da cui ha imparato che “qui l’unica vera religione non è quella cattolica ma quella del lavoro, soprattutto nell’entroterra”. Zhara parla di una mentalità radicata e in un certo senso contagiosa. Le persone che come lui sono arrivate dall’Albania molti anni fa, oggi sono considerate “i nuovi veneti” racconta. Lo fa con orgoglio, perché dal suo punto di vista è un riconoscimento del fatto che “è gente che lavora tantissimo”.
Nei racconti di Zhara non ci sono episodi di “paura dell’albanese” e di “mal condotta degli immigrati”, ma una storia di integrazione in crescendo. “La capacità di adattamento che abbiamo dimostrato è stata fondamentale e mi ha anche stupito. Oggi siamo tra le comunità più scolarizzate e integrate a livello di sistema economico – osserva – molti miei connazionali hanno avviato attività soprattutto nel settore edile e nella ristorazione con soddisfazione. Anche se purtroppo manca un ristorante di cucina tipica albanese in zona. Con mio grande rammarico quando ho nostalgia dei piatti tipici”.
Fame di letteratura d’altri
Dalla sua Venezia, Zhara sposta lo sguardo alla sua Durazzo. La descrive così
“Durazzo è un’onda di energia dissipata, un tubo d’acqua corrente con perdite continue.
Durazzo è un periodo lungo fatto di un anacoluto dopo l’altro e io ci vivo adesso, mi nutro le pupille”.
(Da cartoline da Durazzo )
Quando ci torna e vede che “si è ridotta a una triste città di provincia di Tirana, dove da settembre a maggio i locali chiudono alle 10 di sera, le attività culturali sono ridotte al minimo indispensabile per una provincia” ammette di provare sensazioni discordanti. Rabbia e affetto: “era una città piena di vita, con 2500 anni di storia, ma oggi il suo tessuto culturale e sociale è stato totalmente distrutto dalla palese cattiva gestione politica. Continua a essere la città del cuore ma ogni volta che ci torno il cuore viene pervaso da una sottile patina di tristezza”.
Denuncia “un’involuzione evidente”, ma spera non irreversibile, un mutamento antropologico che coinvolge l’intero Paese. Zhara parla di “modello Dubai” e racconta come oggi il business sia a suo avviso diventato la ragione trainante in ogni scelta e strategia che riguardi l’Albania. “Avviene anche altrove, ma in Albania in maniera esasperata.
“L’Albania corre verso l’Europa con sneakers di bitume e cemento. Nuota in direzione Occidente nei grandi centri urbani e pedala verso Oriente nelle periferie e province. La performance muscolare punta sull’efficacia e non sulla pulizia dei movimenti, sulla grazia. Piccola e tozza, cambia casacca per ogni disciplina”.
( da Legal Alien in Albania postcard #Albania)
“È il sintomo di un passaggio troppo veloce da un paese comunista a un paese iper capitalista – spiega – ma a livello culturale il Paese sta uscendo dall’isolamento e mostra anche una fame di letteratura mostruosa…”. Zhara lascia aperta la frase, aspettando di vedere il proprio Paese di origine nutrirsi di nuove linfe culturali. E viceversa di vedere il resto del mondo avvicinarsi a romanzi e poesie albanesi, compresi quelli che traduce lui stesso in italiano. Oltre a questo, Zhara scrive e traduce libri e articoli, è un poeta, collabora con giornali e riviste e ha fondato una sulla storia della cucina, coltiva la sua passione più grande: le arti marziali.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell’Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell’Unione europea.
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