Romania, l’enigma delle pensioni dei magistrati

Andare in pensione a 47 anni con un assegno mensile di qualche migliaio di euro? Per molti un miraggio, ma non per i magistrati romeni che appartengono alla categoria delle pensioni speciali. Ora il governo Bolojan ha deciso di riformare il sistema, ma ci vorrà del tempo

07/08/2025, Mihaela Iordache

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Il premier romeno Bolojan - © LCV/Shutterstock

In Romania, il dibattito sulle pensioni speciali ha superato da tempo i confini di una disputa tecnica per trasformarsi in un nodo politico e morale che taglia trasversalmente la fiducia pubblica, il concetto di giustizia e il ruolo dello stato.

Nel 2025, il privilegio pensionistico riservato ai magistrati ha riacceso una tensione latente, diventando il campo di battaglia dove si confrontano due visioni opposte di equità.

A scuotere l’opinione pubblica non sono soltanto i numeri – età di pensionamento sotto i 50 anni, assegni superiori agli stipendi – ma l’idea stessa che lo stato legittimi una diseguaglianza strutturale nel cuore del sistema giudiziario. In un paese dove la maggior parte dei pensionati sopravvive con cifre modeste, i trattamenti d’eccezione per alcune categorie non sono più percepiti come giusti, ma come ingiustificabili.

È in questa cornice che nasce l’ultima proposta di riforma del Governo Bolojan, un governo formato dalla coalizione di quattro partiti pro-Europa. 

Un sistema di privilegi storici

Il contesto in cui si sviluppa la riforma è segnato da una situazione economica complessa.

La Romania si trova ad affrontare un rallentamento della crescita, un’inflazione persistente e un debito pubblico in aumento. Il governo ha annunciato l’intenzione di avviare una più ampia riforma dello Stato, che includa non solo il sistema pensionistico, ma anche la pubblica amministrazione, l’apparato fiscale e la spesa pubblica.

In questo quadro, le pensioni speciali sono diventate un simbolo di squilibrio e urgenza politica. Per decenni, il sistema pensionistico dedicato ai magistrati è stato costruito su una logica basata sulle eccezioni: si poteva, e di fatto si può tutt’ora finché la legge non entra in vigore, andare in pensione già a 47-49 anni, dopo 25 anni di contributi, beneficiando di una pensione pari all’80% dell’ultimo stipendio lordo. In molti casi, questo significava ricevere una somma mensile più alta del salario netto percepito durante l’attività.

Questo squilibrio ha prodotto un doppio effetto. Da una parte, ha alimentato un senso diffuso di ingiustizia tra i cittadini comuni, costretti a lavorare ben oltre i sessant’anni per ricevere una pensione media di circa 700 euro. Dall’altra, ha gravato pesantemente sul bilancio pubblico, generando una spesa sproporzionata per una categoria ristretta.

Il piano Bolojan

Il 29 luglio 2025, il primo ministro Ilie Bolojan ha presentato una proposta di riforma che mira a riequilibrare il sistema, ponendo fine a quella che molti definiscono un’anomalia democratica. Secondo il piano, l’età pensionabile dei magistrati sarà gradualmente innalzata a 65 anni entro il 2045, con un aumento di sei mesi ogni anno a partire dal 2026.

Ciò significa che ora, e ancora per qualche anno, i magistrati possono ancora andare in pensione a meno di 50 anni con cifre considerevoli. La proposta del governo Bolojan mira a ridefinire anche la contribuzione minima richiesta che passerà da 25 a 35 anni, dei quali almeno 25 dovranno essere trascorsi nella magistratura.

Infine, l’importo massimo della pensione sarà limitato al 65-70% dell’ultimo stipendio netto. Si tratta di riaffermare un principio di proporzionalità tra ciò che si contribuisce e ciò che si riceve, ristabilendo una relazione di fiducia tra cittadini e sistema giudiziario.

Reazioni

Tra le reazioni più accese alla proposta Bolojan spicca quella della presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Elena Costache, che ha definito "inaccettabile" una pensione da 11mila lei (2200 euro) per un giudice di tribunale, sostenendo che "una retribuzione del genere compromette la dignità della funzione giudiziaria e scoraggia l’ingresso dei giovani nella magistratura". Costache ha anche avvertito che "togliere i diritti guadagnati distrugge la fiducia nel sistema di leggi".

Nel frattempo, alcune associazioni civiche – tra cui Funky Citizens e Expert Forum – hanno pubblicato analisi comparative che mostrano come, nella maggior parte degli stati membri dell’UE, le pensioni dei magistrati non superino mai l’80% dello stipendio netto e siano ancorate a contributi effettivi e obbligatori per tutta la durata della carriera. 

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha parlato invece di un attacco all’indipendenza del potere giudiziario, ritenendo la riforma una minaccia alla stabilità. Secondo molti magistrati, le nuove regole rischiano di svuotare i tribunali delle competenze più esperte, proprio mentre la giustizia affronta sfide complesse e croniche.

Per molti cittadini, la riforma non è solo necessaria ma urgente. In un contesto sociale segnato da diseguaglianze persistenti, la magistratura non può essere percepita come un’isola protetta, immune ai sacrifici richiesti al resto della società.

In Europa centrale e orientale, sistemi analoghi sono stati da tempo armonizzati secondo criteri più equi. L’età pensionabile per i magistrati oscilla tra i 60 e i 65 anni, e le pensioni si calcolano in base ai contributi effettivi.

Le pensioni speciali più diffuse sono ancora in vigore per la magistratura, l’esercito, la polizia, gli alti funzionari e i parlamentari, ma la tendenza europea è la standardizzazione dei sistemi pensionistici, nel contesto dei deficit di bilancio e della pressione pubblica per l’equità. La proposta Bolojan, dunque, non è solo una misura interna, ma dovrebbe essere una tappa necessaria nel percorso di convergenza europea.

La voce dei cittadini: Declic e il referendum

Proprio mentre il dibattito raggiungeva il suo apice, la comunità civica Declic ha depositato una petizione presso l’Amministrazione Presidenziale, chiedendo al presidente Nicușor Dan la convocazione di un referendum nazionale sulla riforma delle pensioni speciali.

L’iniziativa, sostenuta di oltre 85mila firme, chiede una soluzione unitaria per tutte le categorie beneficiarie, non solo per i magistrati. Il documento denuncia un sistema che, a oggi, coinvolge più di 300mila pensionati e costa allo Stato oltre 3,5 miliardi di euro l’anno, equivalenti all’1% del PIL nazionale. In molti casi, si legge nella petizione, le pensioni speciali superano i salari percepiti in servizio, incentivando il pensionamento anticipato e svuotando le istituzioni di competenze fondamentali.

“La legge deve essere uguale per tutti – si legge nel testo – e una pensione deve riflettere la contribuzione, non il privilegio. In uno Stato che si proclama equo, nessuno dovrebbe guadagnare in pensione più di quanto guadagnava lavorando”.

Non è la prima volta che la questione approda all’agenda politica: negli ultimi vent’anni, numerosi governi hanno cercato di abolire o riformare le pensioni speciali.

Dall’altra parte, il tema delle pensioni speciali non riguarda esclusivamente i magistrati. Anche i parlamentari – senatori e deputati – beneficiano da anni di regimi pensionistici preferenziali, che continuano a suscitare forti polemiche. Ma di una riforma anche in questi casi ancora non si parla.