Romania, l’eredità ambigua di Ion Iliescu
Si è spento lo scorso 5 agosto all’età di 95 anni Ion Iliescu, figura centrale della Rivoluzione romena del 1989 e primo capo di stato democraticamente eletto dopo la caduta del regime comunista. Anche dopo la morte, Iliescu continua a dividere il paese tra detrattori e ammiratori

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Ion Iliescu, Bucarest 2010 © Gabriel Petrescu/Shutterstock
Il 5 agosto 2025, all’età di 95 anni, si è spento Ion Iliescu, figura centrale della Rivoluzione romena del 1989 e primo capo di stato democraticamente eletto dopo la caduta del regime comunista. Il decesso, dovuto a complicanze causate da un tumore polmonare, ha chiuso una delle parabole politiche più longeve e discusse della storia recente romena.
Ma anche dopo la morte, Iliescu continua a dividere il paese. Da un lato le figure istituzionali che hanno scelto di rendergli omaggio – come gli ex presidenti Emil Constantinescu e Traian Băsescu, ex colleghi del PSD, gente comune – dall’altro gli assenti illustri, per motivi politici o personali.
Dall’apparato comunista alla guida dello Stato
La carriera di Iliescu si intreccia strettamente con la storia del comunismo romeno. Ingegnere formatosi a Mosca, fu un esponente di rilievo del Partito Comunista, fino a quando – negli anni Settanta e Ottanta – fu progressivamente marginalizzato da Nicolae Ceaușescu.
Ma il suo ritorno in scena fu dirompente: nel dicembre 1989, nei giorni della rivolta popolare, riemerse come leader del Fronte di Salvezza Nazionale (FSN) trasformatosi in seguito nel Partito Social Democratico (PSD).
Pochi giorni dopo assunse la guida ad interim dello Stato e fu tra i promotori del processo lampo che portò, il 25 dicembre 1989, alla condanna e all’esecuzione di Ceaușescu.
Nel maggio 1990, con circa l’85% dei consensi, fu eletto presidente. Con un risultato schiacciante, Iliescu fu la prima figura istituzionale scelta attraverso libere elezioni nella Romania post-comunista. Vinse poi un secondo mandato fino al 1996, e anche un terzo tra il 2000 e il 2004. È stato l’unico capo di stato romeno ad aver vinto tre elezioni presidenziali.
Transizione dal totalitarismo alla democrazia
Iliescu è storicamente legato alla transizione dalla dittatura alla democrazia, periodo durante il quale ha adottato una linea socialdemocratica moderata. Tra i suoi successi istituzionali si ricordano la promulgazione della Costituzione del 1991, l’ingresso della Romania nella NATO nel 2004 e l’apertura dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea, culminata con l’adesione nel 2007.
Eppure, la sua gestione dell’economia e delle riforme è stata spesso criticata per un’eccessiva cautela. Secondo i critici, Iliescu rallentò volutamente la trasformazione del sistema, tutelando le élite sopravvissute al comunismo e perpetuando pratiche clientelari. La transizione, per molti, non è stata una rottura netta ma una riorganizzazione del potere sotto nuove forme.
Mineriada e giustizia negata
L’episodio che ha segnato in modo indelebile il suo primo mandato è stato la Mineriada del giugno 1990. A fronte delle manifestazioni pacifiche in Piazza dell’Università, composte in gran parte da studenti, Iliescu chiese l’intervento dei minatori della Valle del Jiu per “ristabilire l’ordine” a Bucarest. Il risultato fu una repressione brutale: morti, centinaia di feriti e una società profondamente traumatizzata.
Nel 2018 e nel 2023, Iliescu è stato incriminato dalla procura militare per crimini contro l’umanità, sia per il ruolo avuto nella rivoluzione del dicembre 1989, sia per i fatti della Mineriada del 1990. Le accuse riguardavano anche la manipolazione dell’informazione pubblica attraverso i media statali, volta a creare un clima di paura e giustificare l’uso della violenza.
Tuttavia, nessuno di questi processi si è mai concluso con una condanna: l’ex presidente è morto senza aver mai affrontato una sentenza definitiva.
Ritiro dalle scene e nuovo scontro politico
Dopo il terzo mandato, terminato nel 2004, Iliescu si è gradualmente ritirato dalla vita pubblica.
Alla notizia della sua morte, i messaggi di cordoglio si sono alternati a dure reazioni.
L’Unione Salvate la Romania (al governo ora insieme a PSD, PNL e UDMR) ha annunciato pubblicamente l’opposizione alla proclamazione del lutto nazionale, giudicando inopportuno omaggiare una figura che, a loro avviso, rappresentava l’eredità autoritaria del passato.
Il leader dell’USR, Dominic Fritz, ha dichiarato che “per rispetto delle vittime della Rivoluzione e della Mineriade, abbiamo chiesto al governo di non proclamare il lutto nazionale. Ne prendiamo atto. I nostri rappresentanti non parteciperanno alle cerimonie funebri.”
Il Partito Socialdemocratico ha risposto boicottando le sedute governative, accusando l’USR di mancanza di rispetto istituzionale. Il governo ha infine stabilito che il 7 agosto 2025 fosse giorno di lutto nazionale, con cerimonie ufficiali, bandiere a mezz’asta, rito ortodosso e camera ardente a Cotroceni, sede della presidenza.
Iliescu è, tutt’oggi, una figura carica di contraddizioni. Per alcuni è stato infatti l’uomo che garantì una transizione pacifica, evitando derive violente. Per altri, il responsabile del mancato rinnovamento profondo del sistema.
Da una parte, viene ricordato per aver avviato la Romania verso l’Occidente, con solide fondamenta istituzionali e una chiara rotta euro-atlantica. Dall’altra, viene accusato di aver cristallizzato una struttura di potere ancorata al passato, rallentando l’apertura e alienando la fiducia degli investitori e della società civile.
Una stagione che si chiude
Il presidente attuale, Nicușor Dan, che non ha preso parte ai funerali, ha precisato che “la storia giudicherà Ion Iliescu.” Un giudizio che, per ora, resta sospeso tra archivi giudiziari incompleti e un’opinione pubblica ancora divisa.
“La storia giudicherà Ion Iliescu, figura centrale della transizione degli anni ’90. È nostro dovere fare chiarezza sui grandi dossier dell’epoca, per andare avanti responsabilmente. Che Dio lo perdoni!", ha annunciato l’Amministrazione Presidenziale.
Il Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena ha ricordato che fu proprio Iliescu (percepito come ateo), dopo il 1989, a sancire la libertà religiosa, reintroducendo l’insegnamento della religione nelle scuole statali e permettendo la presenza del clero nelle istituzioni pubbliche, in linea con la tradizione pre-comunista.
“Di particolare rilievo sono stati la Dichiarazione di Snagov e la revisione costituzionale del 2003, che hanno segnato tappe fondamentali nella ridefinizione della struttura politica e giuridica della Romania democratica”, ricorda il Patriarca.
Dal suo canto, il primo ministro liberale, Ilie Bolojan, ha definito la morte di Iliescu “la fine di una fase storica cruciale per la Romania contemporanea”.
La scomparsa di Iliescu segna simbolicamente la fine di un’epoca: quella della prima transizione, nata all’ombra del comunismo e sviluppatasi tra compromessi, conquiste geopolitiche e lentezze riformiste.












