Sabbia, vento, cemento. La Romania fa i conti con l’erosione costiera

Dalle coste selvagge del Delta del Danubio a quelle dolci e urbanizzate del sud, il litorale del mar Nero arretra sotto la spinta del cambiamento climatico e delle opere che intrappolano i sedimenti. I nuovi interventi per proteggerla rischiano di ripetere gli errori del passato

22/08/2025, Marco Ranocchiari

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Isola di Sacalin - Foto Marco Ranocchiari

Il vento sferza l’isola di Sacalin, alla bocca del Danubio, riempiendo l’aria di schiuma e granelli di sabbia. Sulla spiaggia giacciono oggetti trasportati dalle mareggiate e dalla bocca del grande fiume europeo. Alcuni tronchi contorti, come carbonizzati, si stagliano verso il largo, battuti dalle onde.  

“Trent’anni fa questo era un bosco vivo, la linea di costa era oltre 200 metri più avanti”, spiega indicandoli il professor Florin Tătui, dell’università di Bucarest, ai suoi studenti venuti in barca sfidando il maltempo per studiare l’evoluzione della costa.

Molto più a sud, nella località balneare di Costinești, enormi draghe refluenti scaricano tonnellate di acqua e sabbia sulla riva, subito sparse dai bulldozer. L’iconico relitto della nave Evangelia, arenata da mezzo secolo, fa da sfondo.

Dal Delta selvaggio alle coste meridionali piene di hotel, i 250 chilometri di coste del mar Nero non potrebbero essere più diverse. Un solo aspetto le accomuna: sono in forte erosione.

Il Delta in trasformazione

Il Danubio si getta nel mar Nero dividendosi in tre grandi bracci: Chilia, condiviso con l’Ucraina, Sulina, il centrale, e  Sfântu Gheorghe, il più meridionale, alla cui estremità sorge l’omonimo villaggio un tempo di pescatori, ora anche di turisti. In mezzo, innumerevoli meandri e ramificazioni, paludi dall’inestimabile biodiversità e lagune salate popolate da pellicani. Più al largo, isole e sottili lingue di sabbia si allungano nel mare: oltre 160 chilometri di coste in continua trasformazione. 

Tra queste c’è Sacalin, lunga una decina di chilometri, parallela alla costa, che racchiude una laguna. È una riserva integrale, il professor Tătui può accedervi solo con un permesso speciale per motivi di studio. 

Le sue sabbie provengono dalle bocche del fiume più a nord, da dove vengono trasportate dalle correnti. “A volte le tempeste riescono a rompere l’isola, e il mare aperto si riversa direttamente in laguna”, spiega. L’ultima volta è successo nel 2012. “Sono fenomeni naturali: la vita di un delta è piena di trasformazioni”.  

Quello che è meno naturale è che oggi il Danubio trasporta solo un terzo dei sedimenti di un tempo. A trattenerli sono le numerose dighe costruite nell’ultimo secolo, mentre molte altre opere di regimazione ne modificano il comportamento. 

Oggi il 55% dell’acqua defluisce dal braccio più settentrionale, Chilia. Alle estremità di quello centrale, Sulina, rettificato per la navigazione fin dall’800, lunghissimi moli di foce si protendono nel mare per chilometri, impedendo alle correnti di distribuire lungo la costa la sabbia che continua ad arrivare. 

Il fatto che il canale sia continuamente dragato per mantenere una profondità di sicurezza per la navigazione (circa 7 metri), spiega Tătui, fa inoltre sì che i sedimenti “arrivino in mare aperto a circa 10 metri di profondità, troppo in basso perché le onde li possano rielaborare”. 

Pellicani nella laguna di Sacalin

Pellicani nella laguna di Sacalin – foto di Marco Ranocchiari

A questo si somma il sollevamento del livello del mare (15 centimetri negli ultimi cinquant’anni) dovuto ai cambiamenti climatici, comune a tutto il mar Nero. Nel Delta, per via dell’effetto combinato della subsidenza (l’abbassamento del suolo dovuto al compattamento dei terreni), questo fenomeno procede a velocità doppia: circa 4 millimetri l’anno. Il risultato è che il 65% delle coste del delta è in erosione, con punte di 8 metri l’anno, a volte di più.

L’erosione costiera è un fenomeno comune a molti delta di fiumi europei e non solo, ma sul Danubio, riserva Unesco per l’eccezionale importanza ecologica, merita particolare attenzione. Il fenomeno è noto da anni, ma per ora si è scelto di non intervenire su larga scala. Tătui è impegnato con i suoi colleghi in un progetto europeo, Delta-Hub, che prevede una serie di studi idrodinamici che dovrebbero aiutare le autorità ad affrontare la questione. 

Non è troppo presto, però, per alcune considerazioni. "Intervenire sulle dighe appare al momento poco realistico, ma qualcosa si potrebbe fare per la libera circolazione dei sedimenti. Creando un bypass attraverso i moli di foce, senza demolirli ma con sistemi di tubature e pompe – spiega – la sabbia potrebbe tornare a circolare. Inoltre, si dovrebbe intervenire sul canale di Sulina in modo che il fiume scarichi i sedimenti entro 5 metri di profondità invece di 10. I lavori potrebbero essere costosi, ma i benefici sarebbero sicuramente molto maggiori”. 

L’erosione costiera all’isola di Sacalin

L’erosione costiera all’isola di Sacalin – foto Marco Ranocchiari 

La costa addomesticata

Con i suoi otto chilometri di sabbia un tempo dorata, distesa tra il lago Siutghiol e i quartieri settentrionali di Costanza, Mamaia è forse la spiaggia più famosa della Romania. Oggi la sua sabbia, di recente ripristinata, è diventata nera, e abbonda  di aguzzi frammenti di conchiglie che rendono quasi impossibile camminare scalzi.

L’unico aspetto che richiama il Delta, in linea d’aria vicino, è il vento. Per il resto, da qui al confine con la Bulgaria, il litorale della regione della Dobrugia è molto più a misura d’uomo, nel bene e nel male: per metà un susseguirsi di dolci colline, lagune costiere e scorci sul mare, e per metà una distesa di alberghi e palazzine costruite senza riguardo, barriere frangiflutti e strutture industriali.

In questo tratto di costa, su cui vive mezzo milione di persone e che ospita la quinta città del paese, Costanza, e il suo gigantesco porto industriale, l’erosione costiera rappresenta un problema di primo piano. Sia per la tenuta dei tanti manufatti sulla costa che per il turismo balneare, fondamentale per l’economia della regione. 

Qui, perciò, si sono concentrati gli interventi per contrastare il fenomeno sin dall’epoca comunista. In quel periodo gli interventi prevedevano immancabilmente enormi barriere frangiflutti e scogliere artificiali che rendevano il paesaggio totalmente artificiale, e che inoltre – impedendo la circolazione delle correnti – proteggevano forse i singoli tratti in cui si trovavano ma finivano per lasciare inalterata, se non peggiorare, la situazione complessiva. 

Oltre all’innalzamento del livello del mare, alle tempeste particolarmente violente in questo tratto di costa e all’impoverimento dei fiumi, su questa zona – spiega Tătui – impatta un fattore in più: lo sviluppo dei porti. 

Soprattutto quello di Costanza, che si estende per nove chilometri di lunghezza e si protende nel mare per altri cinque, stravolgendo la circolazione delle correnti. Già tra i più grandi d’Europa, l’infrastruttura è oggi in ulteriore sviluppo da quando la guerra in Ucraina ha reso quasi inutilizzabile il porto di Odessa.

Dopo un decennio – gli anni ‘90 – in cui la difesa costiera fu totalmente ignorata, nel nuovo millennio iniziarono a fiorire nuovi piani di gestione, di concerto con l’Europa e con la comunità scientifica internazionale. 

Tra il 2011 e il 2012 fu redatto un piano strategico nazionale, frutto del confronto costruttivo tra le autorità, gli scienziati e i principali attori del territorio. Il “Masterplan” rispecchiava un nuovo approccio condiviso che si faceva strada in tema di difesa costiera: non più strutture rigide e impattanti, se non strettamente necessario, ma “soluzioni basate sulla natura" che prediligevano i ripascimenti con sabbia il più possibile simile a quella originaria, posizionata in maniera tale che le correnti l’avrebbero distribuita ricreando un equilibrio dinamico. 

È il caso, per esempio, del nuovo “Parco del mare” a Rimini raccontato da Elisabetta Tola e Marco Boscolo nel loro servizio, le cui spiagge affrontano un problema simile a quello del mar Nero. Con questo spirito era stata realizzata una prima grande fase di interventi, dal costo complessivo di 170 milioni di euro. Le spiagge di Costanza (Tomis, vicino al centro, e  il settore meridionale di Mamaia), Eforie e di altri tratti di costa furono ampliate in questo modo per 60 ettari complessivi.

Spiaggia di Mamaia

Spiaggia di Mamaia – foto di Marco Ranocchiari

 

La seconda fase: il mare imbrigliato

Alla fine della primavera, la striscia di sabbia e basse scogliere della località di Costinești, una manciata di chilometri a sud di Costanza, è un cantiere totalmente recintato e frenetico in vista dell’estate imminente. 

Decine di operai si muovono in fretta nelle loro tute ad alta visibilità, mentre le ruspe trasportano enormi massi destinati a diventare barriere frangiflutti. Una barriera trasversale si avvicina al relitto dell’Evangelia, inconfondibile punto di riferimento di questo tratto di costa.

La seconda fase dei lavori, attualmente in fase di ultimazione, è uno dei più grandi progetti infrastrutturali mai realizzati in Romania. Con un costo stimato di oltre 840 milioni di euro (provenienti in gran parte dai fondi di Coesione attraverso il Programma operativo delle grandi infrastrutture), il piano prevede di ampliare le spiagge in erosione per 226 ettari, realizzando anche una trentina di barriere trasversali e chilometri di scogliere artificiali in una decina di località, dal limite del Delta all’estremo sud.

Il progetto ha suscitato aspre polemiche fin dall’inizio. “Altro che masterplan: stanno rifacendo esattamente gli errori di cinquant’anni fa”, sbotta Tătui. “E il paradosso è che a costruire queste barriere sono spesso le stesse società europee che, nei loro Paesi, quelle strutture le stanno smantellando”.

A gridare al tradimento non sono solo molti ricercatori e associazioni ambientaliste, ma anche molti frequentatori delle spiagge dove i lavori sono già finiti. Nella metà settentrionale di Mamaia, la nuova sabbia – scura, di grana grossa e piena di frammenti – ha reso il litorale più ripido e, secondo alcuni, più pericoloso oltre che meno pittoresco.  Poiché la spiaggia è stata allargata molto più di quanto previsto inizialmente, non hanno tardato ad arrivare le voci secondo cui il vero obiettivo del governo sarebbe stato regolarizzare alcuni hotel e ristoranti costruiti troppo vicino alla linea di costa. 

Il relitto della nave Evangelia – foto di Marco Ranocchiari

Le controversie sono giunte alla ribalta nazionale quando la popolare trasmissione televisiva România, te iubesc! ha trasmesso una lunga inchiesta sull’argomento. Apele Române, l’ente governativo responsabile dei lavori – interpellato grazie al contributo del giornale romeno PressOne – respinge tutte le critiche. Il "masterplan", scrivono, “fornisce un quadro d’azione, ma non prende il posto di uno studio di fattibilità o di un progetto di esecuzione tecnica”.

La scelta di optare per interventi più pesanti rispetto alle “soluzioni basate sulla natura” inizialmente previste sarebbe dovuta a dubbi sulla loro reale efficacia nel tempo di vita utile previsto, almeno cinquant’anni: “Non possiamo abbracciare certi concetti che, per quanto corretti, ci imporrebbero di affidarci a tecnologie non disponibili o a finanziamenti per i quali non abbiamo nessuna garanzia”, scrive l’ente. 

Un aspetto centrale, si legge tre le righe, è di natura finanziaria più che ingegneristica: "il finanziamento europeo termina una volta concluso il progetto. Dopodiché, i costi e la logistica operativa saranno interamente a carico dello stato romeno”. Per questo sarebbe fondamentale “che le opere continuino a funzionare a lavori conclusi praticamente senza ulteriori interventi, anche in caso di eventi di forza maggiore (guerra, pandemia, eccetera)”. 

L’ente nega però che le nuove opere danneggino l’equilibrio naturale: “Gli effetti delle barriere trasversali e la loro influenza sulle correnti marine sono localmente limitati e hanno l’effetto di bloccare il trasporto laterale dei sedimenti per alimentare le spiagge”. Quanto al contenuto eccessivo in frammenti di conchiglie, assicurano, “è un fenomeno che si osserva nei primi anni di vita delle nuove spiagge ma poi diminuisce gradualmente di entità”. 

In attesa che la natura faccia il suo corso, le ultime tempeste della stagione si abbattono sul mar Nero. Quando l’estate e il sole arriveranno, la costa sarà un po’ più grigia: che sia per il cemento, per la nuova, scurissima sabbia, o per la delusione di molti davanti a un cambio di passo promesso, ma mai davvero intrapreso.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito della Collaborative and Investigative Journalism Initiative (CIJI ), un progetto cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina progetto

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