Georgia, confini che scottano

Negli ultimi mesi i confini della Georgia sono teatro di drammi umani e commerciali: un centinaio di ucraini sono bloccati in condizioni disumane alla frontiera georgiano-russa, mentre quella con l’Armenia ha visto il controverso blocco delle esportazioni armene verso la Russia

03/09/2025, Marilisa Lorusso -

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Al confine russo-georgiano - © muph/Shutterstock

Il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha ha denunciato che, dal giugno 2025, Mosca ha intensificato la pratica di deportare ex detenuti o persone prive di documenti validi verso il confine georgiano.

Bloccati al confine

Un centinaio di ucraini sono rimasti bloccati in condizioni precarie nella zona di transito tra Georgia e Russia, al valico Dariali. Le autorità georgiane negano loro l’ingresso per “precedenti penali”, mentre Kyiv accusa Mosca di usare le deportazioni come arma.

I deportati descrivono situazioni drammatiche. Secondo Maria Belkina, a capo dei volontari di Tbilisi, i gruppi sono eterogenei: ex detenuti ucraini trasferiti in Russia, persone che hanno scontato pene in territorio russo, e civili deportati senza precedenti.

La stessa organizzazione denuncia condizioni disumane: un centinaio di persone in un locale sotterraneo con soli venti letti, due sono state ricoverate per malattie croniche non curate.

I volontari contestano la versione ufficiale che sarebbero un pericolo nazionale per la Georgia, sostenendo che tra i bloccati ci sono persone senza alcun reato alle spalle, inclusi residenti dei territori ucraini occupati dalla Russia che hanno rifiutato la cittadinanza russa, e ricordano che i cittadini non hanno scelto di arrivare al confine ma sono stati espulsi con la forza dalla Russia, in alcuni casi sotto scorta.

Quando la crisi ha raggiunto il centinaio di persone detenute, Kyiv aveva già evacuato 43 cittadini via Moldova, ma la rotta è stata sospesa perché alcuni deportati non hanno raggiunto l’Ucraina e la loro documentazione non permetteva la permanenza in Moldova. Kyiv propone che Mosca trasferisca direttamente i cittadini ucraini al confine con l’Ucraina.

Le autorità georgiane affermano di aver proposto diversi meccanismi di rientro, compresi voli e trasferimenti marittimi, ma sostengono che spetti all’Ucraina prendere decisioni. Tbilisi giustifica il diniego d’ingresso citando gravi precedenti penali, basandosi su certificati e documenti rilasciati in Russia.

Human rights defenders replicano che molti deportati sono ex prigionieri dei territori occupati. Secondo ONG ucraine, l’aumento delle deportazioni è legato a un decreto di Putin che obbliga gli abitanti delle aree occupate a regolarizzare il loro status.

Uno dei deportati si è inferto un taglio al collo in segno di protesta. L’uomo ha ricevuto cure mediche sul posto e le autorità georgiane hanno aperto un procedimento per istigazione al suicidio. Video diffusi dagli stessi deportati mostrano cittadini ucraini che chiedono alla polizia spiegazioni sulle tempistiche della loro permanenza in condizioni intollerabili, alcuni domandando di poter attraversare verso l’Armenia o partire via mare. Denunciano quasi un mese trascorso in condizioni inaccettabili e una quindicina hanno dato via a uno sciopero della fame per un periodo.

Il 31 luglio una frana si è verificata nella gola di Dariali. L’allarme del sistema di monitoraggio del ghiacciaio Devdoraki ha portato all’evacuazione temporanea di personale e viaggiatori, con traffico sospeso in entrambe le direzioni. I deportati ucraini che vi si trovavano sono stati caricati su un camion, rimanendo per ore senza cibo né acqua. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha avviato una procedura d’urgenza per garantire la tutela dei loro diritti fondamentali.

A fine agosto circa 65 deportati sono stati trasportati con un charter in Ucraina. Rimane ancora un gruppo, in attesa che questo punto di confine che pare molto più russo che georgiano, si sblocchi anche per loro.

Il confine russo, per l’Armenia

Il confine appare più russo che georgiano anche per i beni armeni, dopo che il paese sta provando ad allentare la presa russa. L’analista politico Paata Zakareishvili ha commentato : “La Russia sta facendo tutto il possibile per soggiogare l’Armenia e sta strangolando la sua economia con le mani della Georgia”.

Negli ultimi mesi l’export di brandy armeno verso la Russia attraverso la Georgia ha subito un duro colpo. Decine di camion sono stati trattenuti fino a 50 giorni al valico di Lars a causa di ispezioni obbligatorie e prolungate, con test di laboratorio giudicati sospetti dai produttori.

Secondo i dati di settore, le spedizioni sono crollate da un camion al giorno a uno al mese, causando ingenti perdite economiche. L’opposizione in Armenia, con la voce del parlamentare Garnik Danielyan, ha criticato il ministro dell’economia Gerorg Papoyan per la mancanza di spiegazioni ufficiali, sottolineando che l’87% delle esportazioni di brandy dipende dalla Russia e che la Georgia, come paese di transito, non può imporre controlli arbitrari.

Nel frattempo, l’Armenia ha temporaneamente sospeso l’invio di ulteriori lotti, parlando di misura di tutela dovuta alla congestione. La Georgia, da parte sua, ha negato qualsiasi blocco, affermando che le procedure doganali seguono regole ordinarie. Papoyan, ha denunciato i ritardi come ingiustificati e ha chiesto l’intervento di organismi internazionali quali BERS, ONU e OMC.

Tra il 1° e il 29 giugno, ha annunciato, 106 camion di brandy sono riusciti ad attraversare il confine. Un accordo con Tbilisi ha inoltre permesso il passaggio di 27 camion e ha posto le basi per il ripristino del transito.

Dopo il caso del brandy è emerso un problema simile con il gas GPL: secondo fonti armene, fino a 500 camion colmi di GPL russo sarebbero rimasti bloccati alla frontiera georgiana per 8–9 giorni, provocando un incremento dei prezzi in Armenia del 40 %, con un grave impatto sui trasporti pubblici e familiari.

I conducenti hanno testimoniato ritardi anomali e richieste di dazi (fino a quasi 1500 euro per veicolo) per ottenere il transito. La Georgia ha categoricamente negato le accuse di blocco, definendole “completamente false”, sostenendo che i checkpoint operano in “modalità attiva” per garantire un passaggio rapido, con personale pronto 24 ore su 24.

A fine agosto, quando passavano sia brandy che gas, è toccato ai prodotti agricoli, con il parlamentare dell’opposizione Garnik Danielyan che ha denunciato che “centinaia di tir” erano di ritorno verso l’Armenia, per non esser riusciti a transitare dalla Georgia alla Russia.

Peraltro il servizio sanitario russo ha dichiarato che 21 su 146 tir sono stati spediti indietro per motivi sanitari , mentre la corrispondente agenzia armena parla di tasse non pagate .