DOM, dall’abbandono al ritorno

Presentato in prima nazionale all’82° Mostra del cinema di Venezia, il documentario "Dom" di Massimiliano Battistella racconta la storia di Mirela Hodo, accolta in Italia assieme ad altri bambini dell’orfanotrofio Bjelave di Sarajevo nel 1992 e che dopo la guerra non vennero più fatti rientrare. Abbiamo sentito il regista e la protagonista

17/09/2025, Nicola Falcinella - Venezia

DOM-dall-abbandono-al-ritorno

Dal documentario Dom di Massimiliano Battistella - Kama Productions

La storia dei 67 bambini dell’orfanotrofio Dom Bjelave di Sarajevo che furono accolti in Italia nel luglio 1992, viene ripercorsa nel documentario “Dom” di Massimiliano Battistella. Un’opera presentata nei giorni scorsi all’82° Mostra del cinema di Venezia  nella sezione parallela "Notti Veneziane ", prodotto da Kama Productions e MESS Sarajevo.

Il racconto ruota intorno a Mirela Hodo, una di quei giovanissimi che al termine del conflitto non rientrarono in Bosnia Erzegovina, nonostante le promesse di rimpatrio [si veda l’inchiesta di OBCT "I Bambini di Bjelave", pubblicata nel 2018, ndr]. La donna, che vive e ha famiglia a Rimini, torna così dopo trent’anni a Sarajevo, Foča e Goražde alla ricerca di vecchi amici, di documenti del passato e di una madre che non ha mai conosciuto. I piccoli ospiti furono divisi tra due istituti religiosi a Monza e a Rimini, dove trascorsero gli anni del conflitto, un periodo ricostruito con brevi sequenze costruite con materiale d’archivio dell’epoca.

Dom, cast e staff – © foto di di Moris Puccio e Giulia Barini, Giornate degli autori

Il viaggio costituisce il cuore di un lavoro che vuole, e riesce, allargarsi da storia singola a storia collettiva: più che la protagonista, Mirela è il filo conduttore di una vicenda corale, che resta tale anche quando gli altri stanno sullo sfondo. Il percorso è sia un’indagine privata sia una presa di consapevolezza e una rielaborazione del passato.

Il regista, che ha già all’attivo alcuni cortometraggi come “Pierrot sui binari” e “Samira”, sta a una distanza giusta dai personaggi e i luoghi, riuscendo a rendere la sensazione di scoprirli senza troppe sottolineature, anche durante la gita con la funivia del Trebević e la discesa lungo la fotografatissima pista olimpica di bob abbandonata. Battistella restituisce lo spaesamento di chi ricorda la Sarajevo di prima o durante l’assedio e quella di oggi senza banalizzazioni o considerazioni che non siano le osservazioni dei protagonisti di “Dom”.

Abbiamo raccolto le parole di Battistella e Hodo in due brevi conversazioni a Venezia.

Mirela Hodo: “Con Massimiliano Battistella ci siamo incontrati attraverso una conoscenza in comune, stava cercando un altro tipo di storia. Abbiamo parlato a lungo e trovato un’intesa e un’energia che ci ha spinto a credere in questa storia, che si poteva raccontare solo insieme a chi ha sensibilità e interesse umano, non solo televisivo. Non è stata la prima volta che tornavo a Sarajevo, c’ero stata con il padre dei miei figli prima di diventare madre, ma sono passati vari anni. Sapevo che là dovevo affrontare una situazione che non avevo affrontato e raccontarla insieme ad altre persone. Non dovevo essere io al primo posto, ma una grande famiglia, siamo cresciuti insieme.

È stata per me una cosa preziosa rivedere i ragazzi di Bjelave, ho provato un’emozione, un rispetto e un amore che non finisce. Nel film non dico mai “io”, ma “noi”, non ho vissuto da sola, cerco di rappresentare noi insieme. Il regista e la squadra sono stati delicati nel coinvolgere tutti durante le riprese, a far capire che prima vengono gli esseri umani e poi il film. Massimiliano ci ha lasciati liberi di partecipare: qualcuno non ha accettato, perché ci sono emozioni forti rimaste là, legate a quel periodo. Ci sono persone che hanno paura di rivivere i dolori del passato e vanno rispettate. Anche per me è ancora tosta, anche oggi, aver accettato di fare il film.

La prima volta che fu comunicato l’elenco dei bambini in partenza il mio nome non figurava, mi salvò la dottoressa dell’istituto che mi inserì in lista. Come dico nel documentario, davvero avrei lasciato il posto a un’altra persona. Mi dispiace non aver vissuto quel che han vissuto loro che sono rimasti, ma c’è chi si salva e chi vive quella cosa orrenda della guerra. Ancora mi chiedo perché ho dovuto lasciare le persone con cui giocavo.

Ero una bambina osservatrice, non potevo camminare e osservavo tutto quel che accadeva intorno a me. Ho tanti ricordi di quel periodo. È stato difficile passare dalla vita libera di Sarajevo a quella più chiusa e protetta dell’istituto in Italia. Però gli italiani hanno la capacità di farti sentire a casa e mi sono trovata bene. Negli anni successivi alla guerra avrei voluto tornare a Sarajevo, ma nel frattempo mi ero costruita una vita a Rimini. Ascolto sempre la nostra musica, bevo il nostro caffè alla finestra come a Sarajevo”.

Mirela Hodo e Massimiliano Battistella – © foto di Moris Puccio e Giulia Barini, Giornate degli autori

Massimiliano Battistella: “Ero partito dalla storia dell’orfanotrofio e dal dossier di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa firmato da Nicole Corritore. L’idea originale era una storia di maternità e perdita, con una donna che voleva tornare a Sarajevo dopo 30 anni. Nella ricerca sono arrivato a incontrare Mirela e ho trovato una storia sorprendente, universale, che poteva abbracciare le storie degli altri. Ho cercato di mantenere un approccio delicato, stando attento a non spingere nella messa in scena, ma osservando e ascoltando le persone. Il viaggio a Sarajevo è nato dalla necessità di un ritorno e di una condivisione con gli altri.

È stata importante la collaborazione con Lisa Pazzaglia per la drammaturgia e la tenuta emotiva del film: abbiamo applicato il metodo dello psicodramma per la gestione dell’emotività dentro e fuori la scena. È stato importante il dialogo costante tra noi. È un documentario molto scritto in montaggio, è stato fondamentale collocare i diversi elementi, grazie anche alla grande sensibilità della montatrice Desideria Rayner. Lo sguardo un po’ naif, come se fosse quello dei bambini, l’abbiamo costruito durante le riprese con il direttore della fotografia Emanuele Pasquet.

Ho conosciuto Sarajevo con il film, non c’ero mai stato in precedenza e ho scelto di non fare sopralluoghi per scoprirla durante le riprese. Poi ci sono tornato una seconda volta e ancora per la post-produzione e le musiche. Ho sentito una profonda connessione con la città durante questa seconda fase della lavorazione”.

Tag: Cinema