“I falchi russi” e il Cremlino

Intellettuali revanscisti, un tempo marginali, hanno prodotto elaborate teorizzazioni ideologiche oggi al centro delle narrazioni approvate dallo stato per legittimare l’invasione russa dell’Ucraina. Le loro idee hanno grande visibilità, ma questo non implica che “i falchi” possano effettivamente vincolare le scelte politiche del Cremlino

19/09/2025, Giorgio Comai -

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Cremlino - © Dark_Side/Shutterstock

Con l’invasione russa dell’Ucraina, una nuova serie di parole chiave è entrata a far parte del lessico del Cremlino. Espressioni come “Occidente collettivo” e “denazificazione” non sono mai state utilizzate – nemmeno una volta – nelle decine di migliaia di comunicati stampa e discorsi pubblicati sul sito web del Cremlino prima del 2021. Da allora però compaiono regolarmente.

Dopo aver analizzato con tecniche di text-mining i siti web di varie istituzioni statali e media mainstream, ho scoperto che le due espressioni di cui sopra erano pressoché assenti in ognuna di queste fonti prima che fossero utilizzate dal Cremlino, per poi diventare di uso comune.

Da dove derivano queste espressioni? Sono state davvero concepite originariamente dal Cremlino come espedienti retorici per accompagnare i piani militari per l’invasione dell’Ucraina? Oppure per anni si sono annidate in ambienti culturali in precedenza marginali, prima di imporsi all’attenzione pubblica?

Com’è emerso nel corso di una ricerca più approfondita, c’è una fonte in particolare in cui "Occidente collettivo" e "denazificazione"  comparivano già da anni: Zavtra, un settimanale d’opinione, pubblicato sin dagli anni ‘90.

Ho letto Zavtra per la prima volta all’inizio degli anni 2000. Pubblicava articoli taglienti e ricchi di verve, molto diversi da tutte le altre pubblicazioni che trovavo in edicola nella provincia russa che frequentavo. I testi di Zavtra erano impregnati di revanscismo, contenevano critiche feroci rivolte a politici e personaggi pubblici, ed erano sfacciatamente in dissonanza sia con la retorica ufficiale che con il dibattito pubblico dell’epoca.

In parte a causa del suo logo rotondeggiante e dall’aspetto poco professionale, consideravo il giornale come una bizzarria della transizione destinata a scomparire, mentre il suo fondatore – Aleksandr Prokhanov, sostenitore dichiarato del fallito golpe dell’agosto 1991 contro Gorbachev – sarebbe caduto nell’oblio con l’avanzare degli anni. Ero giovane e ingenuo e, col senno di poi, evidentemente sbagliavo.

Molti anni dopo, riflettendo sui risultati della mia recente analisi dei media, sono rimasto sorpreso nello scoprire che gli ambienti culturali e ideologici da cui emergevano articoli per una pubblicazione marginale come Zavtra potessero diventare una fonte diretta di ispirazione per gli autori dei discorsi del Cremlino. Anche ammettendo che non fosse Zavtra, di per sé, ad essere influente, nel contesto attuale ci sono buoni motivi per considerare le dinamiche che ho osservato come un invito a dedicare maggiore attenzione agli ambienti ideologici e culturali che si sono sviluppati attorno a quel giornale e al suo fondatore.

Come emerge da un eccellente libro di Juliette Faure recentemente pubblicato dalla Cambridge University Press – The Rise of the Russian Hawks: Ideology and Politics from the Late Soviet Union to Putin’s Russia – si tratta di una storia sorprendentemente ricca e avvincente, che illustra come generazioni di scrittori e intellettuali con opinioni spesso contrastanti siano riusciti a coalizzarsi promuovendo una visione condivisa di “conservatorismo modernista” negli ambienti politici.

Juliette Faure analizza l’evoluzione di una rete di idee – quella dei “falchi russi”, come li definisce l’autrice – evidenziando la continuità dei dibattiti sul conservatorismo modernista russo dagli anni ’60 fino ai giorni nostri, passando per la tarda epoca sovietica. Reagendo ad “un percorso di sviluppo condiviso con l’Occidente nella direzione di una convergenza finale dei due sistemi”, emersa già in epoca sovietica, questi pensatori “hanno collegato elementi di paradigmi precedentemente ritenuti incompatibili, tra cui la modernità tecnoscientifica sovietica, il conservatorismo religioso russofilo e il patriottismo di stato staliniano”.

Questa schiera di intellettuali si è ispirata a scritti precedenti associati al “cosmismo russo” e ad un approccio spirituale al progresso tecnologico. Tra i loro punti di riferimento culturali figurava Nikolai Fedorov (1829-1903), che aveva proposto un modello di “cristianesimo attivo” per cui “il progresso tecnologico avrebbe inaugurato una nuova era in cui l’umanità sarebbe stata capace di regolare il cosmo e realizzare le promesse della Bibbia, compresa la trasformazione della natura umana verso la sua deificazione”. Secondo questa corrente filosofica, concetti biblici come l’estensione della vita, la resurrezione e l’immortalità non dovevano essere intesi metaforicamente, ma potevano e dovevano essere raggiunti attraverso il progresso tecnologico oltre che spirituale.

Leggendo queste idee nel 2025, si possono facilmente tracciare vari collegamenti con i dibattiti contemporanei, dalle fantasie di onniveggenza legate all“intelligenza artificiale” per passare a Vladimir Putin che discute con Xi Jinping di come la tecnologia e il trapianto di organi umani possano portare all’immortalità .

Oggi gli intellettuali russi associati a questo gruppo insistono sul progresso tecnologico e sul cristianesimo ortodosso come concetti centrali per la loro visione, superando la feticizzazione conservatrice stereotipata di un lontano passato rurale. Ed effettivamente, il conservatorismo modernista russo propone un mix assai eclettico di idee e personalità pubbliche che per molto tempo non sono riuscite a superare i loro disaccordi interni, poi però emergendo con “un linguaggio collettivo che collega vari gruppi e generazioni uniti nella comune opposizione alla convergenza della Russia con l’Occidente”.

Accomunati dalla stessa lotta contro i riformisti liberali e favorendo la costruzione di un’identità di gruppo rispetto alla coerenza teorica, si sono uniti ai più giovani sostenitori del “conservatorismo dinamico” per formare una rete organizzativa in grado di raggiungere effettivamente gli ambienti decisionali.

La fusione di questa rete di idee in un’organizzazione formale impegnata attivamente per influenzare la politica statale, Izborskii Klub, fondato nel 2012, ha visto come protagonista e primo presidente lo stesso Alexander Prokhanov, direttore di Zavtra. Prokhanov non solo non è caduto nell’oblio, come da giovane pensavo sarebbe accaduto, ma ormai superati gli ottant’anni, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha ricevuto onorificenze statali e un riconoscimento pubblico da parte di Vladimir Putin , il quale ha dimostrato di avere familiarità con i suoi scritti.

Plasmare le politiche o legittimarle?

Considerando il ruolo preminente dell’ideologia nel discorso ufficiale in Russia e la misura in cui la concezione del mondo espressa dal Cremlino si allinea a quella dei “falchi russi”, si potrebbe essere tentati di concludere che il loro duro lavoro ideologico e organizzativo abbia dato i suoi frutti e che siano finalmente riusciti a influenzare la politica statale. La stessa Zavtra, sul suo sito web ufficiale, si vanta di come “nel corso degli anni, noi di Zavtra abbiamo creato diverse ideologie, diverse tendenze potenti che sono entrate e continuano a entrare a far parte della coscienza pubblica”.

In pratica, però, l’attaccamento della politica del Cremlino alle idee espresse da Zavtra e Izborskii Klub è stato tutt’altro che saldo. Le idee di Zavtra sono state infatti marginalizzate nei primi anni 2000, poi brevemente cooptate nel 2014 per legittimare l’annessione della Crimea e la potenziale espansione degli obiettivi politici verso la "Novorossiya" , ben presto però venendo nuovamente messe da parte quando il Cremlino si è mosso lentamente per trasformare il Donbas in un “conflitto congelato” più tradizionale, anziché in una linea del fronte altamente ideologizzata (già nel 2014 “i falchi russi” stavano spingendo per un intervento militare più espansivo e per una posizione più assertiva nei confronti dell’Ucraina e dell’Occidente).

Come sostiene Faure, quello che il Cremlino cerca di fare è favorire un “pluralismo ideologico gestito”, promuovendo o declassando diverse reti di idee per garantire che “una gamma di linee e narrazioni sia disponibile per giustificare diverse scelte politiche”. Le idee espresse da Prokhanov e dai suoi compagni a volte si sono rivelate utili al Cremlino e sono state scelte, à la carte, tra le opzioni politiche disponibili; altre volte, sono state respinte senza troppe cerimonie.

Quanto conta davvero l’ideologia?

Le considerazioni proposte da Juliette Faure su come le coalizioni di pensiero radicale siano emerse e si siano evolute negli ultimi decenni, compiendo sforzi sempre più mirati per avvicinarsi agli ambienti decisionali politici, sono avvincenti e convincenti. Per Faure “l’ideologia gioca un ruolo fondamentale all’interno del sistema politico russo, plasmando il linguaggio collettivo costitutivo delle élite”; “la competizione tra questi gruppi, a sua volta, plasma l’insieme delle opzioni politiche disponibili”. Questa conclusione è in parte confermata dalla mia stessa ricerca che mostra come alcune delle parole chiave più importanti che hanno accompagnato l’invasione russa dell’Ucraina sono nate negli ambienti culturali e intellettuali descritti nel libro di Faure.

Eppure, pur riconoscendo che hanno ispirato il discorso ufficiale e pubblico, non è scontato che queste idee abbiano effettivamente influenzato le scelte politiche. Se accettiamo l’analisi di Jeremy Morris per cui “qualsiasi ideologia nazionale [in Russia] è superficiale, e certamente le élite politiche, per la maggior parte, sono del tutto ciniche se non addirittura incredule di fronte alle pretese di espansione del ‘mondo russo’”, dobbiamo anche chiederci quanto siano realmente rilevanti questi dibattiti ideologici per comprendere la politica russa contemporanea e, più nello specifico, i motivi che hanno spinto il Cremlino a invadere l’Ucraina.

Certo, il percorso di radicalizzazione di Putin non è avvenuto nel vuoto. Il suo pensiero potrebbe essere stato plasmato più dagli stereotipi sovietici e dalle serie televisive di spionaggio che da elaborate costruzioni ideologiche, ma il ruolo di questi gruppi intellettuali nel costruire le basi ideologiche per trasformare una fantasia tardo-imperiale in una politica di stato non deve essere sottovalutato. Tuttavia, per quanto riguarda le soluzioni politiche relative alla conclusione della guerra e alle dinamiche dei negoziati concreti, è poco verosimile che possano realmente vincolare le scelte del Cremlino.

Gli stessi “falchi”, mentre cercano di stabilire la loro egemonia culturale, capiscono bene che la radicalizzazione del discorso pubblico nella Russia di oggi è un processo dall’alto verso il basso guidato dall’amministrazione presidenziale. Sono stati emarginati per convenienza politica dopo l’annessione della Crimea, e devono essere consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo. Pur essendo entusiasti del crescente allineamento del Cremlino alle loro politiche, “i falchi” esprimono costante preoccupazione per la presenza di cospiratori e traditori, persino ai vertici del potere, pronti a invertire la rotta.

In effetti, ancor più dell’Ucraina e della NATO, sono i cambiamenti in atto all’interno della Russia stessa ad avere maggiore importanza per questi ideologi, che insistono sul risveglio della Russia, sulla riscoperta della sua identità imperiale come civiltà distinta e sulla pulizia interna come principali priorità.

Come ampiamente sostenuto sul sito dell’Izborskii Klub da uno dei suoi esponenti di spicco, “tutte le ragioni che possiamo elencare, come la protezione del Donbas, la questione dell’espansione della NATO […] e quant’altro, nessuna di esse è un fattore decisivo. […] A dirla schietta, il punto non è riportare il popolo ucraino, la nostra nazione fraterna e i nostri cari fratelli, nel mondo russo. Questo è solo un aspetto esterno di quanto sta accadendo. Vi è una tendenza sottostante molto più complessa. Fino al 2022 la Russia è rimasta in una posizione di dipendenza quasi coloniale da un’altra civiltà. […] Per noi, la cosa più importante è che l’epurazione della Russia sia iniziata. […] L’Ucraina è solo un pretesto per un grande evento. […] L’importante in tutta questa storia non è l’andamento dell’operazione militare speciale, seppur certamente cruciale, bensì la tenuta della rivoluzione dall’alto in atto all’interno della Russia stessa”.

Conclusioni

Una migliore comprensione dei dibattiti ideologici alimentati dai “falchi russi” fornisce un contesto importante ai decisori politici che cercano di comprendere i potenziali margini di una soluzione alla guerra in corso.

In primo luogo, emerge chiaramente che non c’è alcuna concessione plausibile che una legittima leadership ucraina possa offrire nel corso dei negoziati che possa placare i “falchi russi”, poiché le loro ambizioni si collocano su un piano totalmente diverso. Il rinnovato impero di civiltà a cui aspirano naturalmente sottometterebbe l’Ucraina e sconvolgerebbe gli accordi di sicurezza in Europa e oltre, ma specifici compromessi territoriali o amministrativi sono irrilevanti per questo scopo, se non come un inevitabile riconoscimento della forza di una Russia imperiale ringiovanita. Un’epurazione interna e un consolidamento ideologico del cuore della Russia sono più fondamentali.

Infine, vale la pena sottolineare che persino “i falchi” ancora considerano la radicalizzazione della società russa come una “rivoluzione dall’alto”. Nonostante le esternazioni intrise di narrazioni iper-patriottiche, è poco probabile che avvenga una spinta dal basso verso l’alto per istanze massimaliste, e non vi è alcun indizio che “i falchi russi” si stiano avvicinando all’egemonia culturale a cui aspirano, né tra le élite né tra l’opinione pubblica in generale.

È ancora l’amministrazione presidenziale a definire i contorni del discorso pubblico e dei dibattiti intellettuali accettabili attraverso meccanismi di pluralismo ideologico controllato, permettendo al Cremlino di scegliere narrazioni legittimanti, come da un buffet di formule ideologiche preconfezionate. È lecito chiedersi quanto sia effettivamente resiliente questa configurazione, però vi è una moltitudine di questioni concrete – tra cui il declino economico, le sfide provenienti dalle regioni e gli sviluppi sulla linea del fronte – che rappresentano vincoli più realistici alle azioni del Cremlino rispetto a subbugli motivati dall’ideologia dei “falchi”.

 

Questo articolo è stato scritto nell’ambito del progetto “Caratterizzazioni dell’invasione dell’Ucraina nel discorso pubblico filo-governativo russo”.

Il progetto è realizzato con il contributo dell’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica – Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ai sensi dell’art. 23 – bis del DPR 18/1967. Le opinioni contenute nella presente pubblicazione sono espressione degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

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Pubblicazione ufficiale: Giorgio Comai (2025): zavtra.ru_ru – Corpus di testo completo basato sul sito web del settimanale russo "Zavtra" (in russo, 1996-2024), v. 1.1, Discuss Data, doi:10.48320/EF3EBDDA-53CC-4078-88D9-BC9F3E7CF970.