Slovenia: restituire umanità a Gaza
Matic Zorman espone le sue fotografie scattate a Gaza tra il 2010 e il 2014, vere e proprie lettere d’amore inviate dalla Slovenia alla Palestina. Lontano dalle immagini di violenza, il fotografo sloveno cerca di restituire un volto umano ai palestinesi raccontando le istantanee di vita

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Gaza 2014 © mehmet ali poyraz/Shutterstock
(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans , il 21 settembre)
Nel suo lavoro, il fotografo sloveno Matic Zorman cerca di “riumanizzare” le persone, in particolare gli abitanti di Gaza, intrappolati nella loro striscia di terra, dimenticati dal mondo. Nell’ambito del Kranj Foto Fest 2025, che si svolge a Kranj, una cittadina della regione della Gorenjska in Slovenia, Zorman presenta la sua mostra “Lettere da Gaza”, aperta fino al 27 settembre.
Di fronte al Teatro Prešeren, trentaquattro fotografie esposte all’aperto, scattate tra il 2010 e il 2014 durante i suoi sei viaggi a Gaza, sono suddivise in tre sezioni: Lettere d’amore, Mondi che avrebbero potuto essere e Specchi del genocidio.
Lettere da Gaza: uno sguardo oltre la politica
“Ogni capitolo testimonia la resilienza, la perdita e l’indistruttibile umanità del popolo palestinese. Le fotografie esposte non riporteranno in vita i civili di Gaza uccisi da colpi d’arma da fuoco, granate, incendi o bombe. La disumanizzazione è un metodo per preparare il terreno creando le condizioni per un massacro. A differenza degli animali ingrassati prima della macellazione, i palestinesi di Gaza, compresi i neonati, muoiono di fame. Né la nostra pietà effimera né la nostra compassione li nutriranno. Questo non è l’obiettivo dell’esposizione”, spiega Matic Zorman nel catalogo della mostra.
Lo scopo è ricordare che – al di là delle statistiche e dei numeri riportati dai media, al di là delle immagini di macerie che si sgretolano nell’aria – a Gaza muoiono persone, ognuna con una propria storia.
A differenza delle scene di orrore – sangue, bombe, rovine – che, riprendendo le parole di Donald Trump, avrebbero dovuto contribuire a trasformare Gaza in una “Riviera mediorientale”, le fotografie di Zorman catturano momenti di vita, intrisi di bellezza. Rappresentano una Gaza che ormai quasi non esiste più.
Come spiega il fotografo, queste immagini sono “lettere d’amore” inviate dalla Slovenia a Gaza, e viceversa, “scritte non con il sangue, ma con la speranza”. Evitando il sensazionalismo, cercano di restituire umanità a ciò che è stato ridotto in rovina, offrendo un antidoto all’apatia di fronte alla tragedia.
La sezione Mondi che avrebbero potuto essere rende omaggio ai nove figli dei medici Alaa e Hamdija Al-Najjar, dipendenti del Complesso medico Nasser. Il 23 maggio 2024, una bomba ha ucciso nove dei loro dieci figli: Yahya, Rakan, Ruslan, Jubran, Eve, Revan, Sayden, Luqman e Sidra, di età compresa tra i 6 mesi e i 12 anni. Al momento della tragedia, Alaa stava curando i bambini nel reparto pediatrico. Hamdija, marito di Alaa, è morto a seguito delle ferite riportate.
La sezione Specchi del genocidio è invece dedicata a tre palestinesi – Wafe Tabash, Amne Naji e Fadija Abushahme – evacuati in Egitto, poi a Lubiana, in Slovenia, per la riabilitazione medica presso l’Istituto di Riabilitazione dell’Università dell’Isonzo. Questi ritratti, scattati nel 2024 al Cairo in attesa del trasferimento, incarnano la resilienza di chi non si arrende di fronte alle avversità della vita.
Ad ottobre Zorman tornerà in Egitto per condurre un workshop di fotografia per i palestinesi feriti, proseguendo così il suo impegno umanitario.
Alzare la voce contro l’ipocrisia onnipresente
La mostra “Lettere da Gaza” si rivolge ad un pubblico molto attento, che rifiuta l’ipocrisia soffocante di un mondo, UE compresa, pronto a sostenere senza riserve l’Ucraina, evitando però di confrontarsi con Israele. Zorman osserva l’essere umano con tutte le sue aspirazioni, la sua storia e la dignità che merita.
Eppure, come scrive il giornalista Erik Valenčič, che ha accompagnato Zorman a Gaza diverse volte, è impossibile ignorare la politica. “L’arrivo degli ebrei in Palestina – denuncia il giornalista – respinti da un’Europa post-bellica che non li voleva più se non nei musei dell’Olocausto, e la creazione di Israele nel maggio 1948 hanno aperto la strada alla pulizia etnica ai danni del popolo palestinese”.
Questo articolo è stato ripubblicato nell’ambito di uno scambio di contenuti promosso da MOST – Media Organisations for Stronger Transnational Journalism, un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea, che sostiene media indipendenti specializzati nella copertura di tematiche internazionali. Qui la sezione dedicata al progetto su OBCT











