Croazia, media e cultura contro il nazionalismo

Negli ultimi mesi la Croazia sembra essere entrata in un tunnel di revival nazionalistico, costellato di attacchi al mondo della cultura. Ne abbiamo parlato con Domagoj Novokmet, uno dei volti più noti del giornalismo croato

17/10/2025, Giovanni Vale - Zagabria
Il Tunnel Grič, rifugio antiaereo della Seconda guerra mondiale, a Zagabria. © Alexanderstock23/Shutterstock

Il Tunnel Grič, rifugio antiaereo della Seconda guerra mondiale, a Zagabria. © Alexanderstock23/Shutterstock

Il Tunnel Grič, rifugio antiaereo della Seconda guerra mondiale, a Zagabria. © Alexanderstock23/Shutterstock

Negli ultimi mesi hai cambiato diverse redazioni. A inizio 2025 hai dato le dimissioni dalla Tv N1 dopo il licenziamento di 25 colleghi. A luglio hai invece dovuto lasciare Al Jazeera Balkans quando quest’ultima ha chiuso i battenti. Puoi raccontarci brevemente cosa è successo e cosa ci dice tutto ciò sullo stato dei media in Croazia?

Le ragioni del ridimensionamento di N1 e della chiusura di Al Jazeera purtroppo non sono ancora del tutto chiare. Possiamo solo speculare, ma le conseguenze sono evidenti: un drastico restringimento di uno spazio già esiguo per il lavoro di giornalisti professionali e coraggiosi, disposti a opporsi alle narrazioni propagandistiche e alla diffusa tendenza a relativizzare tutti i problemi che corrodono la società croata — che si tratti di diritti umani, dello stato di diritto o della corruzione dilagante.

Domagoj Novokmet © NSZ

Domagoj Novokmet © NSZ

Quale dovrebbe essere, secondo te, il ruolo del governo croato e dell’Unione Europea in questo periodo difficile per il giornalismo e, indirettamente, per la democrazia?

Sia gli Stati membri che l’Unione dovrebbero dimostrare una volta per tutte e con azioni pratiche di essere consapevoli che i media liberi sono uno dei pilastri fondamentali della democrazia liberale. Il lavoro dei media e dei giornalisti è sempre più difficile nell’epoca dei social network: viene svalutato e relativizzato, diventando spesso invisibile in mezzo a un mare di disinformazione. Allo stesso tempo, la sopravvivenza economica dei giornalisti è sempre più precaria. Ci sono sempre meno redazioni in cui vive un giornalismo di qualità.
L’UE, tempo fa, ha deciso di proteggere gli agricoltori dal fallimento. Oggi i giornalisti si trovano in una situazione simile. I giovani vedono il giornalismo come un lavoro precario, che può solo farli soffrire con una vita difficile e insicura, senza vere opportunità di crescita professionale. Se questo non cambia — se il mestiere del giornalista non torna ad essere attraente per i giovani, ridiventando una professione che consente una vita dignitosa — i media crolleranno semplicemente per ragioni biologiche.

Oggi lavori nella redazione del portale Ideje.hr, finanziato dal Sindacato Indipendente della Scienza e dell’Istruzione Superiore (NSZVO), che cerca di analizzare più a fondo i temi sociali chiave. Ti occupi del canale YouTube, dove avete lanciato un videopodcast in formato intervista. Qual è l’idea di base del canale e a chi vi rivolgete?

L’ambiente mediatico sta cambiando radicalmente: i canali lineari interessano sempre meno persone, e una ricerca di Reuters ha mostrato che quest’anno, negli Stati Uniti, i cosiddetti “news podcast” hanno superato la stampa e la radio come fonte d’informazione. Per questo anche Ideje.hr ha deciso di fare questo passo, affrontando le sfide dei social network e di YouTube. Gli algoritmi non amano i nostri temi, ma siamo convinti di poter raggiungere il pubblico: dalle reazioni degli spettatori vediamo che la gente continua a cercare contenuti socialmente rilevanti.
Tutte le interviste hanno sottotitoli in croato e in inglese, per facilitarne la fruizione. Gli ospiti del canale Ideje.hr sono e saranno scienziati, politici, analisti, artisti… Tutti coloro le cui opinioni e argomentazioni è importante ascoltare.

In una delle vostre recenti interviste hai parlato con il regista Hrvoje Hribar dell’iniziativa di quasi duecento organizzazioni della società civile e di oltre tremila artisti e altri individui che hanno firmato l’appello al governo croato intitolato “Za Hrvatsku slobode” (Per una Croazia delle libertà). Puoi spiegarci di cosa si tratta?

Quest’estate la Croazia è rimasta scioccata da alcuni attacchi contro la cultura: una combinazione di pressioni e paura ha portato alla cancellazione del festival Nosi se a Benkovacdella proiezione del film Mirotvorac a Zara e del festival Oglede a Velika Gorica. La cultura è stata identificata come un bersaglio indifeso, e in tutti e tre i casi — a differenza del tentativo fallito di pressione sul festival Fališ a Sebenico — si è distinta la mancanza di reazione e il silenzio delle autorità locali.
Diversamente, per esempio, dal sindaco di Benkovac, il sindaco di Sebenico e il capo della polizia locale hanno chiaramente dichiarato dove sta il confine tra la protesta e il tentativo di censura violenta. Per questo centinaia di organizzazioni della società civile e migliaia di persone del mondo pubblico hanno firmato l’appello al governo chiedendo di proteggere le libertà in Croazia — la libertà di parola, la libertà artistica, la libertà di espressione.
Ciò che mi preoccupa è che, dopo questi attacchi ai festival, lo Stato ha inizialmente cercato di relativizzare il problema e, dopo l’appello, è seguito solo un assordante silenzio da parte del governo. È preoccupante il fatto che per film e spettacoli croati premiati non ci sia spazio in alcune parti di questo Paese.

Prima degli incidenti di quest’estate, quasi mezzo milione di cittadini aveva assistito a un concerto del cantante nazionalista Thompson a Zagabria, dove non è mancato il saluto ustascia “Za dom spremni”. Come si dovrebbe interpretare questo fenomeno nella società croata di oggi? Quanto è presente il nazionalismo nel Paese?

Il problema è complesso. Esiste una minoranza revisionista nella società croata che tenta costantemente di relativizzare gli orrori del regime ustascia. Purtroppo i giovani non studiano e non sanno abbastanza sull’argomento, e non sono pienamente consapevoli di ciò che viene loro proposto. Invece di essere orgogliosi del fatto che la Croazia, nella Seconda guerra mondiale, ha sconfitto il fascismo e i suoi collaborazionisti, a volte cadono nelle menzogne.
Molti non sanno abbastanza neppure sulla Guerra d’indipendenza e per questo non sono in grado di opporsi alla narrazione secondo cui solo una singola formazione paramilitare di partito avrebbe difeso il Paese [il riferimento è alle Hrvatske odbrambene snage – HOS, ndr.]. La Croazia fu difesa dai suoi cittadini e dai membri dell’esercito croato. Il problema è anche nei trend globali di radicalizzazione e di populismo alimentati dai social network, ma un problema particolare sono i politici che, invece di essere responsabili e coraggiosi, cercano di sfruttare tutto ciò per obiettivi a breve termine e miopi. Questo riguarda soprattutto chi è al potere.

In questo contesto politico e sociale, piuttosto conservatore, la città di Zagabria — amministrata dal 2021 da una coalizione rosso-verde — sembra essere un’eccezione. Perché? E come vedi il futuro politico della Croazia a livello nazionale?

Descriverei la situazione come una combinazione di torpore e apatia, che alcuni attori al potere sfruttano abilmente. I cittadini pensano che si possa cambiare ben poco, convinti che le varie tendenze negative non li riguardino… In uno scenario negativo, saranno risvegliati da qualche crisi che li minaccerà direttamente; in uno più positivo, cresceranno in tempo la consapevolezza e la conoscenza dei valori oggi a rischio — valori che, purtroppo, non sono garantiti per sempre. In alcune località il contesto è stato sufficientemente negativo e per un periodo abbastanza lungo, da spingere le persone a partecipare e, per cominciare, a votare.

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