Incendi estremi: dall’ossessione del controllo alla gestione

In tempi in cui il fuoco raggiunge intensità finora sconosciute, combatterlo con la forza non basta: servono conoscenze scientifiche e collaborazione per mettere in discussione le vecchie strategie ed elaborarne di nuove

04/06/2025, Marco Ranocchiari -

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© Alexandros Michailidis/Shutterstock

Come ci si può difendere da incendi che – per definizione –  non si possono spegnere neanche con i più potenti Canadair, né prevedere con esattezza? Per affrontare la minaccia degli incendi estremi è difficile resistere alla tentazione di uno sforzo puramente muscolare per combattere e spegnere il fuoco a ogni costo. È solo con una comprensione più profonda di questi fenomeni, delle nuove condizioni climatiche che li rendono possibili e della loro interazione con le foreste – comprese le attività di chi ci vive –  che è possibile affrontare questa nuova minaccia, realizzando una prevenzione efficace, sistemi di allerta tempestivi e strategie utili ad “addomesticare il fuoco” durante le emergenze.

Perché non riusciamo a spegnere gli incendi estremi

Nell’ultimo secolo gli umani si sono abituati a considerare i fenomeni naturali, fuoco compreso, nel loro pieno controllo. I nuovi incendi estremi, però, non sono solo quantitativamente più frequenti di quelli del passato ma qualitativamente diversi. I moti convettivi generati dal calore, ad esempio, generano turbolenze nell’atmosfera fino a quote superiori a quelle di sicurezza operativa di volo dei velivoli antincendio come i Canadair  “Gli aerei devono volare così in alto che l’acqua prima di arrivare alle fiamme si vaporizza”, spiega Sergio Pirone  dell’organizzazione TIEMS, partner di Fire-Res.

Vedere questi velivoli come una panacea maschera il fatto che, anche in incendi “normali”, il contributo decisivo viene poi dalle squadre a terra. “Gli aerei sono utilizzati per abbassare la potenza delle fiamme, così da poter arrivare poi con le squadre a terra, che operano con fiamme alte fino a 2 metri. In certi casi però è impossibile operare in sicurezza". Che serva un approccio diverso  – spiega Pirone – è condiviso dalla letteratura scientifica. “In molti paesi però ci si ostina a puntare solo su questi mezzi. Non hanno capito che sono cambiate le regole del gioco”. 

Nel nuovo contesto, anche i sistemi per arrestare l’estensione degli incendi, come le barriere tagliafuoco (fasce disboscate larghe qualche centinaio di metri) diventano inutili. “Se l’incendio è convettivo, o con intensità elevate a causa dei venti, lo spotting (il propagarsi a distanza delle fiamme) le supera senza problemi”. 

Anticipare e prevenire

Una sfida cruciale posta dagli incendi estremi è la loro imprevedibilità. Con le conoscenze attuali è difficile sia capire quando e se un fuoco assumerà un comportamento estremo, convettivo, che dove si dirigerà una volta partito. Oggi in Europa si utilizzano indici di pericolosità basati soprattutto sulle condizioni meteorologiche (il più diffuso è il Fire Weather Index, di origine canadese). Per anticipare il comportamento di un incendio è diventato più urgente integrare dati e modelli meteo sempre più accurati con una conoscenza profonda del territorio.

Ricerca e tecnologia (compresa l’intelligenza artificiale) possono fare la differenza. Andrés Weintraub dell’Università del Cile, partner di Fire-Res, è tra gli studiosi che lavorano a una conoscenza dettagliata del sottobosco (e quindi del combustibile). Tra i metodi più promettenti, il confronto tra immagini satellitari, che vedono il bosco “dall’alto”,  e i modelli dettagliati del terreno ottenuti con il rilevamento laser dagli aerei (LiDAR) permette una mappatura del sottobosco e quindi del combustibile prima impensabile. “Una volta che il fuoco si è impossessato delle chiome è praticamente impossibile fermarlo. Per sapere quando avverrà bisogna conoscere la vegetazione sotto le chiome, ma finora è stato difficilissimo su vasta scala”, spiega. Unendo gli indici meteorologici con la mappatura del terreno, Fire-Res sta sperimentando nuovi modelli di previsione fino a 9 giorni con risultati incoraggianti. 

Una previsione efficace, aggiunge Pirone, può non solo limitare i danni, ma a volte impedire che gli incendi estremi si verifichino. “Gli incendi estremi, come tutti gli altri, hanno quasi sempre origine antropica. In certe circostanze si potrebbe avviare un controllo intensificato in determinate zone o impedire l’accesso ai boschi, fermando gli incendi sul nascere”.

Gestire il fuoco

Quando si manifesta un incendio estremo, uno degli errori peggiori è pensare di spegnerlo come un fuoco qualsiasi. “Bisogna avere sempre presente la differenza tra la strategia, cioè la definizione degli obiettivi, e le tattiche, ovvero il modo di portarli a casa. Entrambe cambiano durante gli incendi estremi. Non è detto, per esempio, che l’obiettivo coincida con uno spegnimento totale secondo le tecniche classiche e conosciute, ma la sua gestione”, spiega Pirone. 

Gestire un incendio estremo significa guidarne l’evoluzione in modo da ridurre al minimo danni e rischi per le vite umane, e farlo tornare il prima possibile a intensità più adatte a essere affrontate dai vigili del fuoco, dal personale incaricato.

Per farlo è necessario agire sia in fase di prevenzione  – con foreste e paesaggi agricoli pianificati anche in base alla loro resilienza –  che durante le emergenze.

I moderni piani di gestione possono suddividere il territorio in aree (poligoni) che hanno un comportamento specifico del fuoco. “Una pineta o una faggeta, per esempio, bruciano in modo differente rispetto a un vigneto – spiega Pirone – ma influiscono anche  i fattori topografici”. Gli interventi devono essere pensati per impedire che il fuoco arrivi alle classi di territorio con trasmissione più alta. “Lavoriamo a mappature sempre più dettagliate per individuare punti critici – i cosiddetti tactical points – cruciali per l’evoluzione di un incendio. Possiamo realizzarli anche ricorrendo al fuoco prescritto per ridurre il combustibile. Anche le tradizionali barriere possono essere ripensate: non più tagliafuoco, ma parafuoco verdi attivi, fatti di boschi meno densi, arbusti, pascoli: il fuoco le sorpassa, ma perdendo di intensità”. 

Gli operatori, prosegue Pirone, devono saper sfruttare i momenti e i luoghi in cui è possibile un intervento. “Le finestre operative possono essere territoriali, come una valle, un pascolo in cui è possibile applicare un fuoco tattico, o meteorologiche: durante un fuoco convettivo, ad esempio, ci sono momenti in cui a terra l’incendio rallenta”. 

Parlare la stessa lingua

Per intervenire nell’epoca degli incendi estremi il tempismo è tutto. “Tutti i fuochi nascono piccoli. A fare la differenza sono i cosiddetti golden 20, i primi venti minuti, dopo i quali lo scenario cambia continuamente”. Da quel momento la tempestività è ancora più essenziale, ma difficile da raggiungere: servono mezzi imponenti e un team numeroso e coordinato.

La cooperazione tra i diversi Stati sarà sempre più importante: “Per sfruttare le finestre operative bisogna essere in tanti e quindi pronti a intervenire anche dall’estero”. L’Unione europea ha già recepito la necessità di rafforzare la collaborazione nelle emergenze con il Meccanismo europeo di protezione civile, che coinvolge anche i paesi non membri. Applicarlo agli incendi estremi, però, richiede sfide che vanno ben oltre il ricorso massiccio a mezzi pesanti come la flotta europea di 24 aerei e 4 elicotteri antincendio prevista da rescEU, nuova riserva strategica europea di risorse pensata dall’Unione. 

“Sussiste un enorme problema di interoperabilità e di scarsa comunicazione”, spiega Pirone. “Ogni paese ha le proprie velocità di avanzamento, la sua specializzazione. Si rischia di fare doppioni e di non sfruttare le soluzioni che già ci sono”. Le differenze a volte sono banali: manichette con raccordi differenti tra Paese e Paese o che funzionano a pressioni diverse, comunicazioni sintonizzate su frequenze differenti. “Non è facile pretendere che milioni di idranti siano uniformati, ma a volte basta un semplice raccordo che rende le attrezzature interoperabili”.

Le esercitazioni congiunte europee (Modex) non mancano, ma per Pirone non sono sufficienti perché si basano su scenari troppo standardizzati e che non sempre rispecchiano le reali caratteristiche degli incendi estremi. Fire-Res sta lavorando a strumenti per valutare il grado di interoperabilità tra i soccorritori di diversi paesi, organizzando training per gli addetti ai lavori e incontri con i diversi attori nei living lab . Più che uniformare completamente i sistemi, l’obiettivo è avere un sistema di gestione chiaro ed efficace.

In Fire Res sono state identificate alcune figure chiave come il “Fire Analyst”, che analizza la situazione nel suo complesso per supportare il processo decisionale, e altre che rispondano alle necessità di base per gestire l’emergenza, e che sono riconoscibili al di là  degli inquadramenti e dei ruoli definiti all’interno dei propri confini. Ma per questo “serve parlare la stessa lingua, non in senso di idioma, ma in senso più ampio”.  Quello di un  approccio integrato che vuole comprendere il fuoco prima di combatterlo.

 

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Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto FIRE-RES cofinanziato dall’Unione europea. L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina FIRE-RES

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