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Kosovo, sguardi divisi

Estate 2011. Livio Senigalliesi, uno dei fotografi italiani più impegnati nel raccontare conflitto e ricostruzione nell’ex Jugoslavia, torna in Kosovo. Nei suoi scatti, realtà che restano diverse e lontane. A nord di Mitrovica i serbi ancora sulle barricate contro il tentativo di Thaçi di prendere il controllo delle frontiere. A Pristina e dintorni, intanto, sorgono nuovi simboli e nuove speranze. Il fotoracconto con i testi di Francesco Martino (OBC). Reportage realizzato con il sostegno della Regione autonoma Trentino-Alto Adige

25 luglio 2011. Nella notte, un’operazione della polizia speciale kosovara (ROSU) voluta dal premier Hashim Thaçi tenta di prendere il controllo dei due punti di frontiera (Jarinje e Brnjak) tra Kosovo e Serbia, nel nord a maggioranza serba. L’operazione, culmine della “guerra doganale” tra Pristina e Belgrado, incontra resistenza armata e un poliziotto viene ucciso. I serbi del nord erigono barricate lungo le strade. “Non ci è rimasto altro, difendo questo angolo di Kosovo con le unghie e con i denti. Non voglio vivere in un Kosovo albanese”, racconta una delle donne a presidio della barricata nel villaggio di Rudare, l’ultima ad essere smantellata dopo il raggiungimento di un accordo tra serbi, KFOR ed Eulex.

© Livio Senigalliesi

27 luglio 2011. Nel tardo pomeriggio una cinquantina di giovani incappucciati si avvicinano minacciosi al punto di frontiera di Jarinje. La polizia locale e i reparti Eulex fuggono in tutta fretta. La struttura viene data alle fiamme. Dopo lunghi negoziati, il contingente KFOR americano prende il controllo dell’area. “Dall’arrivo delle truppe USA non ci sono stati particolari incidenti”, racconta Mihajlo, interprete serbo della KFOR. Oggi, nonostante l’incendio, a Jarinje l’atmosfera appare relativamente tranquilla.

© Livio Senigalliesi

Dopo gli incidenti del 25-26 luglio, il punto di frontiera di Brnjak viene affidato a truppe KFOR tedesche e francesi. Qui il clima che si respira è molto più teso rispetto a Jarinje. Dal comando locale ci viene comunicato, in modo cortese ma fermo, che non è possibile fare foto né parlare con i militari presenti. Le truppe sono impegnate a costruire una nuova struttura, e molti nuovi prefabbricati vengono allineati sulla strada a picco sulle acque turchesi del lago di Gazivode. Segno che, con tutta probabilità, il loro stanziamento in quest’area sarà tutt’altro che temporaneo.

© Livio Senigalliesi 

La lotta per i punti di confine (considerati “punti di demarcazione amministrativa” da parte serba) è un tassello centrale nella disputa per il Kosovo settentrionale, oggi il punto più caldo lasciato in eredità dal conflitto del 1999. I serbi di quest’area, nei fatti, non hanno mai sperimentato l’autorità di Pristina e non intendono farlo in futuro. La comunità internazionale ha proposto più volte forme di “larga autonomia” per il nord, respinte però sia dai serbi che dagli albanesi.

© Livio Senigalliesi

I media internazionali descrivono spesso le élite dei serbi del nord (soprattutto nella città divisa di Mitrovica) come ‘criminali’. Molti elementi fanno pensare al coinvolgimento di vari leader nei traffici di contrabbando e altre attività illecite, e nel nord non è difficile ascoltare critiche a mezza voce sul loro operato. Sulla questione del rapporto con Pristina, però, il consenso alla linea dura tra la gente è larghissimo. Nelle strade di Mitrovica nord nessuno vuole vedere il proprio futuro nella giovane Repubblica del Kosovo.

© Livio Senigalliesi

Mitrovica nord, paradossalmente, vive oggi nella speranza che il “conflitto congelato” duri più a lungo possibile. La prospettiva della partizione e della separazione definitiva dal Kosovo appare molto improbabile. Degli altri possibili sbocchi, quello che fa meno paura ai serbi del nord è proprio il perdurare indefinito dello status quo. Soprattutto a Mitrovica, il decennio seguito alla guerra del 1999 ha sviluppato una forte “sindrome da trincea”, che tende a riattivarsi ad ogni crisi o tentativo di normalizzazione.

© Livio Senigalliesi

Il ponte sull’Ibar, a Mitrovica, continua oggi a dividere più che unire le due rive del fiume. La città divisa ha trovato un suo equilibrio instabile col muro invisibile che la separa in due metà distinte. Nei periodi di calma, il muro perde consistenza, attraversarlo diventa più facile, e gli affari nel “quartiere franco” di Bošnjačka mahala fioriscono. Ma basta poco perché il muro torni a materializzarsi, e perché la presenza delle truppe internazionali sul ponte torni a farsi più visibile.

© Livio Senigalliesi

44 chilometri. E’ questa la breve distanza che separa Pristina da Mitrovica nord. Eppure le due realtà sembrano molto più lontane una dall’altra. Oggiil nome di Enver Zymberi, il poliziotto ucciso il 26 luglio, campeggia sui cartelloni all’ingresso di Pristina. Per gli albanesi, Zymberi è un nuovo eroe, caduto per proteggere i confini del Kosovo dalle pulsioni separatiste dei serbi del nord. Presto una strada nel centro della capitale kosovara verrà ribattezzata in suo onore.

© Livio Senigalliesi

La differenza che più impressiona, però, è nell’umore delle due città. Se Mitrovica vive nell’insicurezza, Pristina vive (nonostante i problemi economici irrisolti) una vera esplosione edilizia, tra ottimismo e improvvisazione: abitazioni private, alberghi, ministeri, nuovi simboli del potere. Non lontano dal centro, fervono i lavori per la realizzazione dell’Enk City Centre. Con i suoi 42 piani (e quasi 300mila metri quadri di superficie), tra qualche anno il complesso (commerciale, direzionale, abitativo) svetterà sulla città, diventandone con tutta probabilità il nuovo simbolo.  

© Livio Senigalliesi

Tra i nuovi simboli di Pristina, c’è anche la cattedrale cattolica, dedicata alla Beata Madre Teresa. Consacrata lo scorso settembre, a cento anni dalla nascita della religiosa, la cattedrale è ancora in costruzione. Anche la sede vescovile del Kosovo, nel frattempo, è stata spostata da Prizren alla nuova capitale kosovara. La costruzione è stata soggetta anche a numerose critiche: in un paese a larga maggioranza musulmana, il campanile quadrato della cattedrale dominerà la veduta del centro di Pristina.  

© Livio Senigalliesi

L’attività costruttiva ha allargato i confini di Pristina, estendendo la città in tutte le direzioni. I nuovi palazzi ed edifici amministrativi sono arrivati a lambire l’ormai abbandonato cimitero ortodosso, a pochi metri dalla tangenziale che porta a Mitrovica. Il cimitero (utilizzato anche dalla piccola comunità cattolica albanese si Pristina) è aperto ai visitatori: nessuno però si aggira tra le tombe, che nell’incuria generale sono state ricoperte da erbacce e vegetazione.

© Livio Senigalliesi

Nonostante l’ottimismo, anche a Pristina memorie della guerra continuano ad affiorare. Mentre il nord tornava ad essere segnato dalla violenza, all’Aja si riapriva il processo all’ex leader dellUCK ed ex premier Ramush Haradinaj. Assolto nel 2008, Haradinaj viene nuovamente processato per omicidio, tortura e trattamento disumano di prigionieri. Crimini che sarebbero stati commessi nei confronti di serbi e albanesi “collaborazionisti”. Secondo i giudici dell’Aja, il primo processo è stato condizionato da intimidazioni nei confronti dei testimoni.

© Livio Senigalliesi

La “febbre da costruzione”, non ha contagiato solo Pristina. In tutto il paese soprattutto lungo le principali direttrici stradali, sorgono centinaia di nuove strutture. Spesso, però, gli edifici restano vuoti, in attesa di eventuali attività economiche in grado di acquistarli o prenderli in affitto. In questa istantanea, nuove costruzioni sulla direttrice Pristina-Ferizaj.

© Livio Senigalliesi

Il nuovo stato kosovaro, guidato dall’esecutivo di Hashim Thaçi, ha espresso chiaramente la propria priorità: dotarsi di infrastrutture moderne. E in Kosovo “infrastrutture” significa soprattutto nuove strade. Cantieri segnano tutto il territorio del Kosovo, e una parte preponderante del budget di Pristina viene speso nella realizzazione di nuovi corridoi di comunicazione. Tanto che i non pochi critici parlano apertamente di “governo dell’asfalto”. Anche perché scandali legati agli appalti hanno toccato da vicino i vertici dello stato, soprattutto legati al Partito Democratico del Kosovo dello stesso Thaçi.

© Livio Senigalliesi

Tra i molti cantieri, però, uno ha assunto un significato simbolico e strategico particolare. E’ quello dell’autostrada che, a partire dal confine con l’Albania, dovrebbe attraversare tutto il Kosovo per arrivare al confine con la Serbia. Un progetto che, nelle intenzioni del governo di Pristina, dovrebbe ribaltare la posizione strategica del giovane stato, dando al Kosovo uno sbocco al mare e facendo del Paese uno snodo di importanza regionale. Oggi il fronte del cantiere principale si trova non lontano dalla città di Suhareka, nel sud-ovest del Kosovo.

Foto: © Livio Senigalliesi

Testi: Francesco Martino

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