Serbia, 30mila richieste d’asilo nel 2015

35.712. Questo è il numero – fornito dal ministro degli Interni Nebojša Stefanović – delle persone che hanno richiesto asilo in Serbia nei primi sei mesi del 2015. Principali paesi di origine la Siria, l’Afghanistan, la Somalia e l’Iraq. Sono invece più di 20mila i migranti e richiedenti asilo fermati alle frontiere e rispediti indietro.

Numeri che confermano, se ce ne fosse bisogno, quanto la Serbia e i Balcani in generale siano diventati una delle strade più praticate da chi cerca di raggiungere i paesi ricchi d’Europa in cerca di una nuova opportunità di vita.

La Serbia rappresenta soprattutto un paese di transito. Sempre più spesso i richiedenti asilo arrivano dopo aver attraversato Grecia e Macedonia, un percorso pieno di insidie e di pericoli. L’obiettivo immediato è passare il confine con l’Ungheria, primo paese del’UE e (possibile) porta verso Austria, Germania e Svezia. Una strada tentata nei mesi passati anche da decine di migliaia di cittadini kosovari, in fuga non dalla guerra, ma dalla mancanza di prospettive e speranze per il futuro.

Una situazione a cui il governo di Budapest ha reagito annunciando la costruzione dell’ennesimo muro nella regione sulla strada dei migranti, dopo quelli già innalzati da Grecia e Bulgaria. Una decisione che ha sollevato e continua a sollevare polemiche.

Per la Serbia l’arrivo massiccio di migranti è una questione relativamente recente: fino al 2009 gli arrivi erano sporadici, mentre oggi si parla di decine di migliaia di persone. Una sfida sicuramente non facile, anche se il paese inizia a prendere atto che non si tratta di una crisi passeggera, ma di un fenomeno di lungo periodo.

Proprio nei giorni scorsi, per voce dei ministri del Lavoro Aleksandar Vulin e della Difesa Bratislav Gašić, il governo di Belgrado ha annunciato la realizzazione di un centro di accoglienza nella città di Preševo, al confine con la Macedonia.

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Brevi

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    27/08/2024, Redazione -

  • Lo sport è spesso un grande generatore di storie di riscatto individuale e sociale, e le Olimpiadi di Parigi non hanno fatto eccezione. Tra le tante storie, quella di Božidar Andreev però si fa notare. 

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