Balcani, Italia | | Unione europea
Il ruolo degli enti locali nella gestione partecipata dei bacini idrici: l’esperienza di Agenda 21
Intervento di Mauro Tesauro, Assessore all’Ambiente del Comune di Modena
Parlerò della mia città, ma, colgo anche l’occasione per illustrare il caso italiano e quello che si sta muovendo anche il qualità di membro del coordinamento nazionale di Agenda 21 locale, cercherò di dare un punto di vista "italiano" sulla situazione italiana, per quello che si muove a livello di enti locali e dando anche un quadro normativo di riferimento. Io vengo da Modena, una città molto antropizzata, altamente produttiva con un PIL, prodotto interno lordo, che tende a crescere e quando questo indicatore, così semplice, dà questi bei segnali, inevitabilmente iniziamo a perdere qualcosa sulle matrici ambientali, c’è un risvolto negativo, questo vuol dire, per noi, che lo sviluppo sostenibile è una sfida giornaliera. Questa è la realtà di Modena.
Modena si trova in una pianura, e sulle colline e a monte, c’è una forte attività zootecnica e quindi succede che nelle nostre acque ogni anno aumenta il livello dei nitrati, e quando questi nitrati si trasformano in nitriti l’acqua non si può più bere. Ecco quindi il tema di fondo: il modello di sviluppo.I fiumi, nella storia, hanno sempre favorito e facilitato il costruirsi di nuclei d’insediamento, ora, con il costruirsi degli stati, questi fiumi, hanno assunto molte volte una funzione separatrice, divaricatrice, il famoso confine naturale. Il fiume, ha due elementi fondamentali, il letto, e l’acqua. Il letto è terra, ed è parte integrante di quello stato di quel territorio in cui si trova, l’acqua, invece, scorre, attraversai territori e quindi è res comunis, cosa comune, da gestire in modo collettivo e solidale. Ciascun intervento, prima ricordavo il caso degli allevamenti della zootecnia sulle nostre alture, a monte, interessa inevitabilmente il corso a valle.
Se noi potessimo ridisegnare in termini di solidarietà i confini degli stati, dovremmo far coincidere i confini politici con quelli ben definiti dal punto di vista geografico, quindi, come ricordava Giorgio Nebbia in un suo libro, non esisterebbero più i popoli della Svizzera, della Germania, della Francia, ma esistono i popoli del Reno, del Rio delle Amazzoni, del Danubio. Il Danubio, che proprio attraverso il percorso di questi giorni, è un simbolo concreto di un’Europa che tutti vogliamo più forte e più unita, soprattutto nella difesa dei diritti sociali e di cittadinanza.
La mia terra è come una terra mesopotamica, perché, si trova tra il Secchia e il Panaro, quindi noi sfruttiamo benevolmente tutto quello che ci danno questi limi e ne subiamo, talvolta, la violenza, che non è mai gratuita.
L’amministrazione del territorio, almeno idealmente, dovrebbe presupporre azioni dal basso, unitarie e solidali, nell’ambito di ciascun bacino idrografico definito come patrimonio comune. Entro quel bacino avviene tutto quanto è importante ai fini della gestione delle acque; la città, le fabbriche, i campi, utilizzano le risorse idriche contenute nel bacino, e al contempo vi immettono delle scorie. Purtroppo, e questo lo vediamo anche dai conflitti armati in corso, non è facile convincere i paesi vicini ad azioni di solidarietà nell’ambito dei bacini comuni, non si riesce neanche a farlo nello steso paese, pensiamo all’Italia, dove c’è il caso del fiume Po, nel periodo più siccitoso i contadini, che erano a ridosso del fiume, attingevano da quelle "pozzanghere", spandevano acqua sui campi, senza nessun tipo di regolamentazione.
Nel mio paese, riguardo all’acqua, sono in vigore una serie dileggi, che vorrei ricordare; la 183 del 1983 sui bacini idrici, è una legge importante perché faceva sui i principi della merli del 1976, abbiamo la 36 del 1994 sulle risorse idriche e la legge quadro 152 del 1999. Vorrei aprire una breve parentesi sulla legge 36 del 1994 più nota come, legge Galli, dal nome di colui che l’ha stesa. Questo impianto disciplina la pianificazione, la gestione integrata e l’utilizzo a partire da un principio assolutamente ben scritto e sacrosanto; l’articolo 1 comma 1 che recita: "tutte le acque superficiali e sotterranee ancorché non estratte dal sottosuolo sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà e pianificazione ecc. ecc.", fin qui ci siamo, poi iniziano i problemi; per la pianificazione e la gestione delle risorse idriche viene vista la suddivisione del territorio nazionale in tanti ambiti, ambiti territoriali ottimali, l’acronimo è ATO. Di solito, ma non sempre, questi ambiti corrispondono a dei bacini idrografici a livello provinciale, all’interno dei quali, un unico soggetto gestore dovrebbe controllare tutto il ciclo integrato dell’acqua, dalla depurazione, all’acqua potabile.
Negli ATO si rende necessario, a questo punto, un ruolo più forte dei comitati consultivi dei cittadini. I cittadini non sono clienti di nessuno, abbiamo visto la differenza tra un diritto e un bisogno, tra qualcosa che si compra e qualcosa che si deve avere, abbiamo bisogno di un ruolo forte dei comitati cittadini, perché la stessa Galli parla anche, di sistemi gestionali imprenditoriali ritenuti più efficaci ed efficienti a scapito delle gestioni comunali, ritenute, erroneamente, fallimentari. Su questo si innesta tutta la deriva su scala globale, che io chiamo deriva europea, abbiamo quindi questo quadro di riferimento insopprimibile. Per quanto riguarda le competenze, c’è una pletora di enti e ministeri, le attività istituzionali sull’acqua sono affidate: alla presidenza del consiglio dei ministri, al comitato interministeriale per la programmazione economica, al comitato di vigilanza sulle risorse idriche, al consiglio superiore dei lavori pubblici, al ministero dei lavori pubblici, al ministero dell’ambiente, al ministero delle politiche agricole e forestali, al ministero della sanità, inoltre, alle regioni, provincie, enti e autorità di bacino.
Nel tema sovranazionale è inquadrata tutta la nostra attività, la nostra filosofia di azione, da qui l’esigenza di un nuovo punto di riflessione a partire da alcuni principi che sono universalmente validi: 1) La proprietà delle risorse idriche deve essere pubblica; 2) L’accesso all’acqua potabile è un diritto inalienabile di ogni essere umano; 3) Una gestione delle risorse idriche che risponda solo a logiche di mercato è socialmente iniqua e dannosa per l’ambiente.
Spetta allo stato e alla collettività garantire la piena coerenza tra specifici modi di gestione e l’interesse generale. Quindi attenzione, agli amici desiderosi di entrare nella comunità europea, a non svendere i propri patrimoni ambientali inseguendo quelle chimere, quelle illusorietà del mercato, che hanno causato tanti guasti in occidente, così illusoriamente ricco, così illusoriamente sviluppato. In Italia stiamo assistendo, con grande preoccupazione, all’ingresso, sempre più massiccio, nella gestione dei servizi idrici, di multinazionali nate dalla fusione di aziende municipalizzate che per legge sono state privatizzate, questo comporta alcuni rischi per le comunità; che si consolidi l’oligopolio, in questo caso un oligopolio di servizi pubblici con il rischio che s’indebolisca il ruolo delle ex aziende municipalizzate, quelle controllate direttamente dalle città e quindi dai cittadini, da sempre più sensibili all’interesse generale di quelle realtà, l’altro rischio è che, di fronte a questa privatizzazione integrale dei servizi idrici, il cui vangelo unico sono le regole del mercato, lo stato diventi un mero controllore, con molti meno poteri, e che sia privato di quel patrimonio preziosissimo, acquisito negli anni, di capacità di investimento. Per la pianificazione sostenibile delle risorse idriche e per dare concretezza al concetto di gestione sostenibile, bisogna lavorare su vari livelli, concretamente, allora bisogna ridurre la domanda d’acqua da una parte e incrementare l’efficienza degli usi e dei ri-usi, accrescere il coinvolgimento degli utenti nei processi decisionali, in un quadro che vede l’Italia in una situazione molto particolare.
A livello europeo, l’Italia, è collocata fra i paesi ricchi di risorse idriche potendo vantare, con i suoi tredicimila acquedotti indipendenti, una disponibilità teorica annua di 155 miliardi di metri cubi pari ad un volume pro capite di 2700 metri cubi. Considerando che la rete di infrastrutture esistenti ha un livello medio di perdite che si aggira intorno al 30% e tenendo conto delle risorse potenzialmente utilizzabili, in realtà, questa disponibilità scende a 42 miliardi di metri cubi cioè 928 metri cubi pro capite. Il settore agricolo assorbe circa il 60% della domanda, va anche detto che l’interazione tra le caratteristiche climatiche, idrologiche ed orografiche degli insediamenti umani ha determinato nel nostro paese una grande variabilità di situazioni; mentre le regioni del nord possono contare su risorse abbondanti, più o meno, regolarmente disponibili; nel sud Italia questa disponibilità è ridotta, questo sia in termini di precipitazioni, Puglia, Sicilia e Sardegna ricevono circa il 40% – 50% in meno delle precipitazioni rispetto alle regioni settentrionali, nei bacini del nord sono utilizzabili circa il 50% delle disponibilità totali, questa percentuale si riduce drammaticamente nel sud con punte del 15% – 20% nelle isole e del 10% in Puglia, questo è un fatto molto strano, perché queste regioni hanno circa il 40% della capacità d’invaso artificiale, ma non si sa bene da chi sono gestiti, qualcuno dice dalla mafia, ma qualcun altro dice chela mafia non esiste. Per quanto riguarda la rete fognaria, i due terzi della nostra rete sono di tipo misto, cioè acque nere e acque bianche e questo rappresenta un problema a proposito dell’uso e del ri-uso. Per il fabbisogno irriguo, circa il 75% è nelle mani dei consorzi di bonifica, negli ultimi decenni si è registrata un’alternanza molto più accentuata di precipitazioni intense e di siccità, il che non aiuta, e questo trend contribuisce all’acuirsi di questo problema, intendo il controllo delle piene e della difesa idrogeologica.
A livello globale assumono un ruolo cruciale le buone pratiche delle Agende 21 locali. Al summit ONU della terra, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, venne ufficialmente sancito il concetto di sviluppo sostenibile, venne sottoscritto un programma di azioni, l’Agenda 21, che come dice lo stesso nome, l’agenda è una cosa che si fa, un piano di azioni, per il XXI secolo, quel 21 sta appunto per ventunesimo secolo. Il piano è articolato in 40 capitoli riguardanti obiettivi da raggiungere, azioni e strumenti da utilizzare, definizione di ruoli e di responsabilità, di mezzi d’attuazione e così via.
Lo slogan di Agenda 21 locale è; "pensare globale e agire locale", oggi il numero di amministrazioni, che volontariamente e ufficialmente, si sono impegnate a tradurre a livello locale i 13 principi della carta di Alborgh, è un numero in costante crescita, in Italia sono 1550 e, nonostante il disinteresse di questo governo, il mio paese rappresenta una delle realtà più dinamiche, a livello europeo, impegnate nella diffusione dell’Agenda 21 locale, quantomeno dal punto di vista formale, con oltre 500 enti che oggi rappresentano più di 11 milioni di cittadini coordinati tra loro. Nonostante Cancun, attraverso un network, un metodo di partecipazione dal basso, stiamo ritarando, o almeno provare a ritarare le politiche ambientali in sinergia con gli aspetti economici e soprattutto con gli aspetti sociali, ricordandoci sempre che non ci sarà mai sviluppo sostenibile senza giustizia sociale.
Vorrei concludere ricordando una frase che scrisse Giorgio Nebbia: "bisognerebbe aiutare i bambini a leggere sulla cartina geografica prima i fiumi poi i confini amministrativi".