Balcani, Italia | | Unione europea
Danubio, l’Europa si incontra
Pubblichiamo il documento introduttivo a cura di Osservatorio sui Balcani sull’iniziativa ‘Danubio, l’Europa si incontra’
Verso l’integrazione dei paesi dell’area balcanica nell’Unione Europea
Nell’aprile 2001, con il Convegno internazionale "Di-Segnare l’Europa: i Balcani tra integrazione e disintegrazione" svolto a Padova, l’Osservatorio sui Balcani assieme ad ICS e ad altri gruppi italiani ha posto il tema dell’integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione Europea per superare frantumazione e marginalità. Si trattava di uno scenario nuovo per il sud est Europa, che ha anticipato i termini di una questione via via sempre più decisiva, tanto per l’area in questione, quanto per l’Europa.
La tesi di fondo era la seguente: non c’è futuro per i Balcani fuori da una prospettiva europea, e serve perciò un’agenda politica in grado di avviare questo processo e di riqualificare al tempo stesso il dibattito politico nell’area.
Abbiamo aggiunto più tardi: non c’è futuro per l’Europa se continuerà ad essere un continente incompleto, con un buco bianco al suo interno. Non c’è futuro perché se non si dimostra capace di dare soluzione alle tensioni che hanno attraversato i Balcani con la "guerra dei dieci anni", non potrà neppure essere quel nuovo polo autorevole nelle relazioni internazionali di cui pure c’è molto bisogno.
Attorno a questi due nodi oggi ci troviamo a ragionare collettivamente, società civile, istituzioni, movimenti, politica.
Un processo dove la politica deve prevalere sulla tecnica
I meccanismi tradizionali posti per l’adesione di nuovi stati alla UE non possono essere trasferiti come delle fotocopie ai paesi dell’area balcanica, in particolare a quelli segnati negli anni ’90 da profonde lacerazioni e guerre. E’ infatti profondamente sbagliato pensare al meccanico trasferimento dei parametri "europei" quale vincolo per l’adesione, perché l’integrazione di questi paesi in un quadro normato è proprio la condizione per raggiungere quegli stessi standard . Al contrario, definire regole astratte senza considerare le reali condizioni di partenza nei paesi dell’area, significa far durare la loro instabilità e precarietà.Come si può chiedere di raggiungere parametri minimi di integrazione a paesi in cui le condizioni di vita delle persone sono molto spesso oltre le soglie minime di povertà, nei quali non sono assicurati i diritti più elementari, primo fra tutti quello di circolazione, dove rischia di prevalere l’assenza di regole e l’economia grigia e nera, dove riscontriamo segnali di un possibile ritorno del nazionalismo (anche come prodotto del fallimento delle ricette proposte dalla comunità internazionale), dove le istituzioni stentano ad acquisire credibilità e la crisi fiscale impedisce nei fatti politiche di rafforzamento delle istanze di autogoverno locale?
In questo senso deve prevalere la politica, ovvero la scelta di "farsi carico" dell’eccezionalità del contesto, anziché il tecnicismo burocratico ed ipocrita. Serve dunque uno scatto di fantasia, analogo a quello che ha portato a concedere uno status innovativo alla Turchia, come paese in "pre-accessione senza negoziati". E’ una necessità per l’UE stessa: siamo nel tempo dell’interdipendenza, infatti, e il permanere di un’area fortemente deregolata nel cuore dell’Europa comporterebbe conseguenze di instabilità anche sui paesi dell’Unione, quali penetrazione dei flussi della criminalità economica, alleanze fra criminalità organizzate, traffici di ogni genere, delocalizzazione delle imprese fuori da ogni standard socio-ambientale europeo, immigrazione clandestina e traffiking…
Su questi temi si è aperto nei mesi scorsi un ampio dibattito, che ci auguriamo prosegua anche dopo che il vertice di Salonicco ha rimandato la definizione di date certe per l’integrazione dei Balcani occidentali nell’UE. Il tempo a disposizione non è infinito.
L’Europa nella politica mondiale
L’Europa unita che si va formando rappresenta un nuovo soggetto politico in grado di riaprire la dialettica nei rapporti internazionali, altrimenti segnati dal prevalere di tentazioni unipolari degli Stati Uniti.Già oggi, pur fra mille contraddizioni e tendenze di alcuni paesi membri a considerare l’Unione come una sorta di parente povero del grande fratello, l’Europa viene chiamata a svolgere questo ruolo di "altro polo" nella dialettica internazionale.
Ne ha l’autorevolezza storico-culturale, come hanno sottolineato nel maggio scorso sette intellettuali europei – tra cui Jurgen Habermas, Umberto Eco e Jacques Darrida – in una serie di interventi coordinati sui principali quotidiani europei. Hanno scritto infatti di un’Europa come luogo della "memoria dello stato di diritto", e "contrappeso alla deriva di potenza armata e di modello sociale individualistico e competitivo d’oltre oceano".
Ma l’UE ha anche le potenzialità economiche per essere attore di primo piano della politica internazionale. Si pensi ad esempio al ruolo crescente dell’Euro, divenuto per un numero sempre maggiore di paesi valuta di riferimento nelle transazioni commerciali e divisa di riserva alternativa al dollaro.
E ne ha infine l’autorevolezza politica, se pensiamo che proprio l’Europa è il riferimento primo nella nascita di nuove alleanze regionali come nel caso del Mercosur in America Latina e della nuova Unione Africana, oppure in Medio Oriente e nell’area Mediterranea dove il vecchio continente è chiamato a svolgere un ruolo essenziale di cerniera e di stabilità.
Da Sarajevo a Belgrado
Questi i nodi che si sono posti all’attenzione con l’appello "L’Europa oltre i confini", intuizione che ha avuto lo scorso anno a Sarajevo un importante riconoscimento con la presenza del presidente della Commissione Europea Romano Prodi. In quell’occasione si è indicato il 2007, nel cinquantenario del Trattato di Roma, come "data utile" per l’avvio formale del processo di integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione, una sorta di "tempo massimo" oltre il quale il processo rischia di impantanarsi nell’instabilità. Grazie alla presidenza greca dell’UE la questione è stata posta formalmente, ma l’esito è risultato contraddittorio e nemmeno il 2010 è stato indicato come soglia di inizio del processo di adesione. Tuttavia l’avvio di tale processo per alcuni paesi (Romania, Bulgaria, Slovenia) sta ad indicare che questa è l’irreversibile direzione di marcia per tutta l’area. La domanda però è la seguente: i Balcani occidentali possono reggere altri sette (o più) anni di instabilità? Come arriveranno al 2010? I processi economici e sociali attualmente in corso avvicinano i Balcani all’Europa o li allontanano?
Sta in queste domande il tema decisivo che vogliamo porre a Belgrado: quali sono le iniziative della società civile, delle comunità locali, delle città, per anticipare le scadenze fissate dall’Unione e avviare percorsi di integrazione dal basso di questi paesi in Europa? E’ possibile definire altri criteri rispetto ai quali consolidare le istituzioni, le politiche di welfare, le economie, lo stato di diritto nei paesi dell’area? Siamo in grado di proporre degli spunti per cominciare a costruire un’agenda politica fatta di relazioni fra città, comunità, istituzioni per praticare l’obiettivo dell’integrazione?
A Sarajevo abbiamo lanciato la proposta che quel momento si sarebbe ripetuto ogni anno fino al 2007 in una diversa capitale balcanica per fare il punto sul processo di integrazione. E a Belgrado l’obiettivo è proprio quello di indicare i temi possibili perché prenda corpo col tempo un’Agenda dell’Europa della società civile. Essa si arricchirà dei contenuti e delle proposte che emergeranno dal percorso di "Danubio: l’Europa si incontra", composto dai convegni previsti a Budapest, Bratislava, Vukovar e Novi Sad e dalle sessioni di lavoro belgradesi. Nei diversi momenti si affronteranno i temi dell’ambiente nel sistema Danubio, dell’informazione, del ruolo delle città nella nuova Europa, del diritto di cittadinanza, dello sviluppo locale e delle reti dell’Europa dei cittadini. Con l’augurio che questo percorso prosegua anche successivamente, verso un’Europa senza più confini.