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Albania, transizione e commercio di persone
Secondo lo IOM il traffico di persone è in crescita e l’Albania rimane sia paese d’origine che di transito. Un contributo al Dossier trafficking del nostro corrispondente da Tirana, Artan Puto.
L’Albania, dopo il cambiamento del sistema politico avvenuto nel 1990, è entrata nella fase di transizione post-comunista e si è trovata a dover affrontare fenomi sociali che prima le erano sconosciuti. Tra questi forse il più drammatico è quello del traffico di esseri umani in particolare a scopo di avviamento alla prostituzione.
Quando le mutate condizioni politiche lo resero possibile migliaia di albanesi si riversarono nei paesi dell’Europa occidentale alla ricerca di migliori condizioni di vita. Fino al 1992 l’Italia e la Grecia furono tra le mete più frequenti di queste vere e proprie fughe dal caos e dalla miseria. Da quel momento in poi le nuove restrizioni imposte dai paesi occidentali all’ingresso degli stranieri sul proprio territorio hanno costretto i migranti a ricorrere alle organizzazioni criminali che, in collaborazione con reti dei paesi limitrofi, gestivano il traffico illegale di persone.
Secondo dati ufficiali, nel periodo 1993-2001, circa 400.000 albanesi hanno seguito il canale del traffico per approdare in Occidente. La posizione geografica dell’Albania ha favorito questo esodo e ha fatto sì che diventasse, oltre che paese d’origine, anche paese di transito della migrazione.
Il traffico di donne a scopo di prostituzione ha avuto inizio dopo il 1992 quando organizzazioni criminali albanesi, a seguito di contatti con reti criminali estere, hanno compreso quanto potesse essere redditizia questa attività. Gli anni dal 1992 al 1998 hanno rappresentato il periodo di massima espansione del fenomeno e di maggiore difficoltà nel combatterlo. Diverse cause hanno contribuito a tale rapido sviluppo: la fragilità delle strutture statali che ha di fatto impedito un’efficace prevenzione e repressione, la connivenza tra istituzioni pubbliche e reti criminali, l’alto livello di corruzione diffuso ovunque, la mancanza di esperienza nella lotta a questo tipo di crimine. In particolare nel triennio 1996-1998 il fenomeno si è acutizzato a seguito della caduta degli schemi finanziari piramidali e della crisi sociale e dell’ordine pubblico che ne sono conseguite.
I distretti più interessati dal traffico di donne sono quelle di Berat, Fier, Shijaku, Laçi, Valona e si trovano tutte nella parte occidentale del paese, più favorevole per il trasferimento di persone verso l’Italia. Queste sono anche le zone nelle quali sono più diffuse altre attività illegali quali lo spaccio di droga, di armi e il traffico dei clandestini in generale.
Secondo informazioni diffuse dal Ministero dell’Interno albanese il traffico di donne in questo secondo periodo ha comportato ulteriori forme di violenza: la spietata concorrenza fra diversi gruppi di trafficanti si conclude spesso con scontri a fuoco ed eliminazioni di gruppi rivali; la popolazione in possesso delle armi rubate nel caos del 1997 ha iniziato a difendere le ragazze dalla minaccia del traffico e a vendicarsi in modo diretto; la crescente difficoltà nel reclutamento delle donne albanesi ha spostato l’attenzione dei trafficanti alle donne straniere, in particolare dei paesi dell’Est europeo quali Russia, Moldavia, Ucraina, Romania, Bulgaria, rendendo l’Albania non più solo un paese di origine ma anche di transito del traffico di esseri umani.
Secondo dati forniti dal capo dell’Ufficio Antitraffico del Ministero dell’Interno Avni Jasharllari sono ufficialmente 5.192 le donne albanesi che si prostituiscono nei paesi occidentali, senza contare tutte quelle non comprese nelle statistiche ufficiali. Le modalità più utilizzate nel "reclutamento" delle donne sono la promessa di matrimonio o di un lavoro nel paese di destinazione, l’uso della violenza o delle minacce (rapimento, stupro, ritorsioni sui familiari), l’acquisto dalla famiglia della ragazza.
Tra il 1992 ed il 1995 non vi era legislazione che riguardasse il traffico delle persone e anche il nuovo Codice Penale entrato in vigore nel 1995 non comprendeva il reato. E’ solamente nel gennaio 2001 che viene approvata una legge che considera reato penale il traffico di persone, tra cui quello delle donne a scopo di prostituzione, e quello dei bambini. Oggi, secondo questa nuova legislazione, i trafficanti sono passibili di pene da 5 a 20 anni di carcere ed anche con l’ergastolo nel caso la loro attività criminale causi la morte della persona trafficata.
A metà del 2001 il governo albanese ha formulato la "Strategia nazionale per la lotta ai traffici illeciti di persone" in collaborazione con il Ministero della Giustizia, il Procuratore della Repubblica, Il Ministero del Lavoro, il Ministero degli Esteri ed il Servizio Informativo dello Stato (Servizi Segreti). I partner stranieri di questa iniziativa sono OSCE, UNHCR, IOM, Save the Children, Terres des Hommes, La Casa della Donna Valonese ed altre organizzazioni non governative. L’obiettivo di tale strategia è la messa in atto di forme di prevenzione e blocco del traffico di persone, di protezione e assistenza alle sue vittime di creazione delle condizioni per una loro reintegrazione nella società.
I dati forniti dal Ministero dell’Interno indicano che dopo la messa in atto di questa strategia le forze di polizia albanesi hanno sottratto a questo traffico 41 donne, 19 delle quali straniere e 11 minorenni, ed hanno arrestato 85 persone coinvolte. Nel 2002 il numero delle donne interessate è salito a 142, 10 delle quali straniere, mentre i trafficanti arrestati sono stati 46.
Anche se la legislazione albanese è più adeguata di qualche anno fa non esiste ancora una legge che ponga sotto protezione le ragazze che denunciano i loro sfruttatori. L’anno scorso la Polizia albanese, in collaborazione con l’ambasciata USA e l’OSCE, ha dato vita a un’iniziativa per incoraggiare le vittime a denunciare i loro "protettori" inserendole in un programma di protezione e reinserimento sociale.
Secondo le statistiche ufficiali del Ministero dell’Interno negli anni 1998-2001 sono state rimandate in Albania circa 870 donne. Ad un’intervista compiuta su 437 di esse il 10% ha affermato di fare la prostituta di propria volontà, il 40% ha detto di essere stata obbligata, il 50% non ha voluto rispondere.
L’opinione delle organizzazioni che si occupano del reinserimento nel paese delle ragazze vittime delle tratta è che il governo sia ancora troppo debole nell’affrontare il fenomeno. E’ vero che il Ministero ha costituito le Unità Antitraffico ma esse non coprono comunque tutto il paese, sono efficaci solo in pochi casi e per lo più nei centri maggiori.
Una delle più importanti istituzioni che operano nel campo del sostegno alle vittime del traffico è l’agenzia delle Nazioni Unite. L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) è l’unica organizzazione dotata di personale specializzato, in grado di operare su tutto il territorio nazionale. L’Albania è divenuta membro dello IOM nel 1993. Il primo programma antitraffico messo in atto dallo IOM in Albania ha preso avvio nel 2000 e si è concentrato sulle donne straniere che vi transitavano verso altre destinazioni. Nel dicembre 2001 ha preso avvio un programma di riabilitazione per le donne albanesi e fino ad oggi ne sono state assistite circa 100. Il piano di reintegrazione delle donne inizia con un check-up medico e prosegue con una consulenza di tipo psicologico e la frequentazione di corsi di avviamento professionale. La seconda fase prevede il trasferimento delle donne in abitazioni protette messe a disposizione dallo IOM o in famiglie disponibili ad accogliere le ragazze minorenni. Secondo dati forniti dal capo dell’Ufficio Antitraffico Jasharllari nel 2002 sono state rimpatriate 486 donne che sono poi state ospitate nei centri dello IOM a Tirana e a Valona.
Tra le organizzazioni non-governative straniere che lavorano sul tema c’è Save the Children impegnata in un progetto congiunto con il Centro di assistenza per ragazze trafficate di Valona. Le donne ospitate in questo centro seguono un programma di 5 mesi che fornisce loro un diploma di sartoria e gli strumenti materiali per poter svolgere in futuro tale professione. L’obbiettivo del progetto è quello di fornire alle ragazze non solo una possibilità di sistemazione temporanea ma anche un’effettiva occasione di riabilitazione e reintegrazione nella società. Durante i primi tre mesi di vita il centro ha offerto aiuto a 56 ragazze ed è stato successivamente visitato da operatori che gestiscono centri simili in varie città del Kossovo.
La tipologia di donna albanese più facilmente vittima del traffico è quella della ragazza proveniente da zone rurali molto povere o da piccoli centri urbani, che ha avuto un’infanzia dura e difficile e non di rado ha subito violenze fisiche o abusi sessuali da parte di membri della famiglia. Gli specialisti albanesi che si occupano della tratta ritengono che la cultura patriarcale del paese, che non nutre alcun rispetto per i diritti della donna, rappresenti il substrato di questo tipo di traffico. D’altro canto la famiglia ‘tradizionale’ albanese è stata colpita duramente da 50 anni di socialismo ortodosso oltre che dai successivi 12 anni di drammatiche trasformazioni politiche e sociali che hanno contribuito ad un generale impoverimento e generato una profonda insicurezza verso il futuro. Secondo lo IOM nessuna delle ragazze prese in carico ha scelto volontariamente la prostituzione ed anche quando affermano il contrario il vero motivo sembra essere la paura degli aguzzini o la volontà di sfuggire al controllo della polizia.
Oggi la rotta del traffico delle donne, a causa delle crescenti difficoltà nell’ingresso dei clandestini in Italia, per lo più segue nuovi tragitti. Jasharllari afferma che la collaborazione tra polizia italiana ed albanese sta spingendo i trafficanti a scegliere come destinazione i paesi del Nord Europa, quali Belgio, Olanda, Inghilterra, Norvegia, fino ad oggi solo marginalmente interessati dal fenomeno del traffico.
Ciò nonostante secondo l’IOM il traffico di donne è in crescita e l’Albania resti sia un paese di origine che di paese di transito. Il quotidiano Korrieri (22.03.2003) riporta i dati di varie ONG dei Balcani secondo cui più di 200 mila donne passano dalla regione per andare a prostituirsi in Occidente. Infine tra le ragioni del fiorente traffico di donne c’è da annoverare la presenza di oltre 60 mila soldati della NATO di stanza nei Balcani che da soli costituiscono un buon mercato per i trafficanti del sesso. Se tutti i paesi della regione sono toccati dal fenomeno, Romania, Bulgaria, Moldavia e Albania sono i paesi più interessati dalla tratta. Il Patto di Stabilità ha da poco istituito una Commissione contro il traffico di persone indicando nella cooperazione dei paesi balcanici alla lotta contro i traffici una delle condizioni indispensabili per l’integrazione europea.