Jugoslavia-Iraq: violazione dell’embargo
Una ditta serba avrebbe funto da intermediaria tra produttori di armamenti della Republika Srpska ed il regime di Saddam Hussein. "Si sono mantenute per inerzia relazioni create da Milosevic e Seselj", denuncia il vice-Premier serbo Covic.
Lo scandalo delle armi vendute all’Iraq in pieno embargo aveva già toccato la Bosnia Erzegovina. E’ lì infatti, e precisamente nell’Entità della Republika Srpska, che ha sede la Orao (aquila), ditta specializzata nella fabbricazione di componenti per veivoli anche – ma non solo – militari. "Non possiamo garantire che il materiale militare esportato verso la Federazione Jugoslava non sia stato poi direzionato verso paesi terzi", si erano giustificati in quel caso i dirigenti dell’impresa di Bijelina, salvo poi in questi giorni ammettere che erano a conoscenza delle relazioni commerciali con Baghdad.
Lo scandalo si è poi spostato oltre confine ed ha coinvolto la Jugoimport, azienda che avrebbe funto da intermediaria tra la fabbrica serbo-bosniaca e l’Iraq.
L’inchiesta in merito a questa presunta violazione dell’embargo, stabilito dalle Nazioni Unite, si è ampliata in seguito al ritrovamento, durante una perquisizione negli edifici della Orao a Bjielina, compiuta dalle forze internazionali dello SFOR, di documenti che dimostrerebbero la manutenzione e riparazione di motori di Mig-21 e Mig-29 in dotazione alle forze armate irachene e la fornitura non solo di ricambi ma anche di personale specializzato.
La Jugoimport ha comunque smentito coinvolgimenti nella vicenda, affermando di non avere rapporti d’affari con l’Iraq dagli anni ’90 e di avere tenuto aperto il suo ufficio di Baghdad solo per recuperare crediti per 1,3 miliardi di dollari risalenti agli anni ’70-’80.
Secondo informazioni raccolte e pubblicate dal quotidiano Blic, esperti yugoslavi sarebbero tutt’ora in Iraq per installare sistemi antiaerei e, sempre secondo il quotidiano, sarebbero in grado di smantellare queste strutture in dieci giorni nel caso di eventuali ispezioni ONU. E lo stesso quotidiano afferma che anche alti ufficiali della Federazione Jugoslava e della Serbia erano a conoscenza di queste relazioni commerciali. Tra di loro il Presidente Kostunica, il Premier della Serbia Djndjnc, ed il Ministro degli esteri federale Svilanovic.
In seguito alle denunce di Blic il Governo federale si è riunito per fare luce sulla vicenda. Primo risultato il siluramento del direttore della Jugoimport, l’ex-generale Jovan Ceovic; assieme a lui ha poi pagato le conseguenze dello scandalo anche il vice-Ministro della difesa, Ivan Jokic, costretto a dimettersi.
Il Ministro degli interni, Dusan Mihajlovic, che presiede il consiglio d’amministrazione della Jugoimport, ha reso noto in un comunicato stampa che i contenuti dell’articolo di Blic verranno attentamente verificati. Inoltre dal Ministero degli interni è partito un ordine a controllare tutte le aziende che producono armamenti per verificare quali siano le loro relazioni con l’estero, in modo da valutare se siano in atto o si siano verificate violazioni di norme internazionali. "Tutti coloro i quali saranno ritenuti responsabili di eventuali violazioni saranno rapidamente processati", ha reso noto il Ministro, per poi augurarsi che questo incidente non pregiudichi i rapporti tra Federazione Jugoslava e Stati uniti.
Nella vicenda è intervenuto anche il vice-Premier serbo Nebojsa Covic. "Se i fatti vengono confermati dobbiamo essere consapevoli dell’enorme danno che causeranno alla Jugoslavia. Potrebbe rischiare di bloccare persino il ritorno del Paese nelle istituzioni internazionali sino a causare un inserimento della Jugoslavia nella lista nera dei Paesi che sostengono il t[]ismo. Non capisco perché qualcuno abbia mantenuto per inerzia accordi che erano stati presi da Milosevic e Seselj". Era stato lo stesso quotidiano Blic ad aver messo in risalto come, grazie ai guadagni di questa fornitura di armi, con tutta probabilità Seselj fosse riuscito a finanziarsi più d’una campagna elettorale.