Dove va il Montenegro? Un’intervista
Tanja Boskovic, corrispondente da Podgorica dell’Osservatorio sui Balcani, ha intervistato Srdja Darmanovic, presidente del Centro per la Democrazia ed i Diritti Umani.
Srdja Darmanovic è presidente del CEDEM, Centro per la Democrazia ed i diritti umani, fondato nel luglio del 1997. Il CEDEM e un’organizzazione nongovernativa e no-profit istituita con lo scopo principale d’aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sull’importanza di una transizione appropriata e ben riuscita; si propone inoltre di promuovere e realizzare in prima persona attività di ricerca e di analisi in modo da influenzare, con le sue attività, il processo di transizione in Montenegro; in particolare si propone di contribuire al rafforzamento della società civile e dell’intero processo democratico. Tanja Boskovic, nostra corrispondente da Podgorica, lo ha intervistato.
Quali sono, entrando nello specifico, le attività del CEDEM?
Il CEDEM rappresenta una sorta di think-thank che fa analisi, commenti, che monitora i processi democratici, che compie indagini sull’opinione pubblica. Organizziamo inoltre tavole rotonde ed eventi simili dai quali spesso escono proposte per leggi che devono essere approvate.
Abbiamo poi un settore specifico che si occupa di diritti umani. In questo contesto ci occupiamo per la maggior parte di formazione. Negli ultimi tre anni abbiamo organizzato 14 seminari che riguardavano esclusivamente la Convenzione Europea per i diritti umani. Ad ogni seminario a cui partecipavano avvocati e procuratori della repubblica, si prendevano in esame uno o due articoli della Convenzione. Gli insegnanti sono sia montenegrini che provenienti dall’estero. Questo progetto lo abbiamo realizzato in collaborazione con il Consiglio d’Europa e con l’AIRE (Advice for the Individual Rights) un centro con sede a Londra.
Questi seminari hanno ricevuto un encomio dallo stesso State Department americano.
Collaboriamo regolarmente anche con il Tribunale dell’Aja, con il suo programma per favorire il chiarimento all’opinione pubblica delle attività del Tribunale stesso. Fino ad ora abbiamo realizzato due grandi conferenze. L’obiettivo della prima conferenza era di presentare il ruolo del Tribunale, mentre la seconda riguardava in modo più specifico il ruolo della difesa presso il Tribunale dell’Aja: a quest’ultimo hanno partecipato molti avvocati già impegnati a difendere un proprio cliente all’Aja.
Ed infine, nella cornice del programma per i diritti umani, siamo membri della Rete Europea per i diritti umani, che raccoglie tante ONG della regione. Questa rete e’ stata fondata a Copenhagen ed ha ora sede a Sarajevo.
Nel campo del monitoraggio dei processi democratici, facciamo parte inoltre della rete globale del Movimento Mondiale per la Democrazia (WMD). In questo campo CEDEM prepara la pubblicazione di "Transition in Montenegro" che esce ogni tre mesi e riguarda le leggi, i media, le privatizzazioni ed in generale cosa avviene in parlamento. Sino a poco tempo fa usciva anche un’altra pubblicazione titolata "La questione statale, la politica estera e i diritti umani" ma ora abbiamo interrotto con quest’ultima.
Alla fine dell’anno scorso ed all’inizio di quest’anno abbiamo promosso un progetto volto ad analizzare la situazione delle istituzioni democratiche nel Paese. Ci siamo anche concentrati sulle riforme attuate in questi anni e sulle possibilità di nuove riforme. Da questo lavoro di ricerca è uscita una pubblicazione titolata "Reformator".
Quali sono i punti salienti messi in rilievo da questa pubblicazione?
La pubblicazione e’ stata preparata nel marzo di quest’anno, prima che si concludesse l’Accordo di Belgrado. Allora abbiamo constatato che secondo la maggior parte dei parametri il Montenegro si può affermare abbia fatto notevoli progressi nel processo democratico. Dopo il periodo del governo del DPS, il Paese nella sostanza funziona come "una democrazia elettorale": esistono elezioni periodiche, la autorità dello Stato cambiano alle elezioni ecc. Rimangono tuttavia ancora molti nodi irrisolti legati in particolare a riforme e diritti.
Nelle nostre conclusioni si affermava come la non-risolta questione statale caricava negativamente il processo democratico. L’Accordo di Belgrado, firmato subito dopo, ha tagliato dall’agenda questo problema, aprendone però altri.
Si sta preparando il Documento Costituzionale, i ministri delle Finanze hanno raggiunto un certo accordo, però negli altri campi non si va così veloce. Come valuta l’intero processo?
Secondo me il progresso che hanno fatto i Ministri delle Finanze, Ivanisevic e Djelic introduce un certo ordine. Hanno definito l’agenda ed e’ ovvio che tutti e due non avevano nessun pretesa ad assicurarsi più potere per uno dei due Stati. Se le altri parti del documento andranno in quella direzione non ci saranno problemi.
Secondo me il processo di creazione del Documento costituzionale potrà essere concluso solo attraverso una forte mediazione da parte dell’Unione Europea semplicemente perché vi sono alcune questioni sulle quali le parti è improbabile riescano a trovare un accordo. Magari verrà nuovamente inclusa nelle trattative la Commissione di Venezia. E’ possibile poi che la versione definitiva torni ai firmatari, Kostunica, Djundjic, Djukanovic, Vujanovic e Solana che approveranno il documento al posto dei parlamenti. Tutto dipende anche da quando la bozza di documento sarà pronta. Si dovrebbe firmare alla fine d’agosto ma non è certo. Inoltre in Montenegro e Serbia e’ già cominciata la campagna elettorale e questo certamente influirà negativamente sulla preparazione del documento e non sono sicuro che si potrà terminarlo in quest’atmosfera troppo influenzata dalle scadenze elettorali.
Consideriamo invece la situazione pre-elettorale in Montenegro. Secondo Lei quali sono le condizioni che permetterebbero una competizione politica corretta, e come vengono usati i media nella propaganda politica?
Nel corso degli ultimi cinque anni, fino agli ultimi cambiamenti introdotti dalla nuova maggioranza parlamentare nel Montenegro, le elezioni si sono generalmente svolte in modo regolare, per lo meno dal punto di vista legislativo. Utilizzando la terminologia dell’OSCE, si potrebbe dire che le elezioni degli ultimi cinque anni sono state complessivamente accettabili. Si sono venuti a creare due schieramenti contrapposti, in grado di controllarsi a vicenda. Questo è il modo in cui dovrebbe funzionare la democrazia: con il confronto, con due schieramenti in grado di pretendere l’uno dall’altro, e con la stessa forza, l’impegno per il raggiungimento di un compromesso.
Per quanto riguarda i media, posso affermare che complessivamente in questi anni i media statali sono stati in grado di garantire un certo spazio a tutti gli schieramenti, anche se le redazioni tendono ancora ad orientarsi in senso filo-governativo, oltrepassando gli standard accettabili.
Penso che le critiche rivolte ai media siano esagerate; i media privati nel Montenegro sono sempre stati accusati di faziosità, di sostenere i vari partiti politici. Credo invece che in Montenegro siano stati pochi i media apertamente schierati. Più semplicemente, è accaduto che si siano divisi sulla questione dell’indipendenza: chi a favore e chi contro. Per questo motivo si è avuta l’impressione che fossero schierati, ma credo che in realtà non sia stato così.
Mi sento invece di dire che la legge introdotta dalla nuova maggioranza parlamentare (Alleanza Liberale del Montenegro e "Insieme per la Iugoslavia") interferisce con il lavoro dei media privati, imponendo loro specifici comportamenti nei periodi di campagna elettorale, e violando in tal modo due articoli costituzionali: quello a tutela della libertà di stampa e quello a tutela della proprietà privata.
I media privati hanno elaborato un ottimo slogan a difesa della propria posizione: "Se volete controllarci comprateci o fondate i vostri media presso i quali potrete avere voce in capitolo".
Qual è attualmente la situazione, dopo la formazione della nuova coalizione? Esistono ancora due schieramenti di uguale peso politico?
Secondo me questa nuova maggioranza parlamentare, formata dalla coalizione tra i liberali e il gruppo "Insieme per la Iugoslavia", costituisce un passo indietro, con l’aggravante della violazione della regola secondo cui per l’approvazione di leggi particolarmente importanti non è sufficiente la maggioranze dei voti, ma occorrono anche il consenso e la partecipazione dell’OSCE e del Consiglio Europeo.
Quasi tutti i controlli elettorali degli ultimi anni, ad esempio, sono stati proposti dall’opposizione, e approvati in seguito alle consultazioni con l’OSCE.
Adesso invece importanti regole relative ai media e alle elezioni sono state approvate senza alcuna ricerca di un compromesso, senza consultazioni, e, cosa ancor più grave, con la maggioranza di un solo voto.
La maggioranza sostiene che si tratta soltanto di modifiche blande; in realtà anche l’aggiunta di una piccola clausola, se cruciale, è in grado di trasformare la sostanza di una legge.
Secondo me la legge elettorale ha introdotto cambiamenti molto consistenti. Le vere intenzioni di chi ha proposto queste modifiche traspaiono dall’articolo presentato al pubblico. L’articolo prevede infatti che i partiti che nelle ultime due elezioni non abbiano raggiunto una determinata soglia non possano partecipare alle elezioni successive; allo stesso modo risultano esclusi i partiti sciolti da più di un anno. In questo modo si sono voluti colpire i partiti minori, ma in una democrazia esistono altri metodi, come ad esempio innalzare la soglia minima per l’ingresso in Parlamento, aumentare la somma di denaro necessaria per poter partecipare alle elezioni, oppure modificare il sistema elettorale.
Alcuni dei cambiamenti introdotti rivelano le vere intenzioni della nuova maggioranza parlamentare: provocare conflitti durante le elezioni, irregolarità, interruzioni nei diversi seggi elettorali, o addirittura situazioni estreme, come quella realmente verificatasi a Belgrado prima del 5 ottobre, quando entrambe le parti proclamarono vittoria senza sapere chi avesse veramente vinto.
L’abolizione della regola che prevede che gli elettori siano iscritti alle liste elettorali, ad esempio, fa sì che la firma sia l’unica garanzia che qualcuno non voti più di una volta, e solo sulla base della firma si può procedere ad una denuncia.
Un altro cambiamento pericoloso è quello di aver attribuito eccessive competenze al presidente dei comitati elettorali per i seggi elettorali. Ciò è avvenuto perché l’attuale maggioranza parlamentare detiene la maggioranza in 15 municipi su 21, ed è ai parlamenti locali che spetta la scelta dei presidenti dei comitati elettorali.
Le nuove regole prevedono che il presidente dei Comitati elettorali possa interrompere le elezioni qualora qualcuno introduca nei seggi volantini di qualche partito o armi, (situazioni peraltro facilmente inscenabili); il Presidente può altresì espellere gli osservatori, qualora ritenga che essi non si stiano comportando conformemente alle regole. Chi ha proposto tali modifiche sostiene di aver voluto colpire il sistema del "voto sicuro"; tutto ciò, però, non si verifica in nessun paese democratico.
Come influisce questa situazione sulle istituzioni elettorali? Si è parlato ad esempio di cambiare la composizione della Commissione Elettorale…
Sì, esiste una tendenza che mira a bloccare il lavoro delle istituzioni chiave del processo elettorale, come ad esempio il progetto di cambiare la composizione della Commissione Elettorale, essendo di quest’ultima la competenza di proclamare i risultati elettorali.
Ma c’è anche l’intenzione di bloccare il funzionamento della Corte Costituzionale, l’ultima istituzione di ricorso nel processo elettorale. In teoria, senza la Corte Costituzionale non si potrebbero nemmeno svolgere le elezioni, perché verrebbe a mancare il luogo presso cui presentare ricorso. Inoltre, come Lei saprà dalla stampa, il Presidente della Repubblica aveva proposto i nomi dei nuovi giudici della Corte – essendo scaduto il mandato dei precedenti – ma sono stati respinti dalla maggioranza parlamentare che vuole avere voce in capitolo anche su questo. Secondo la legge, solo la Corte Costituzionale ha il potere di rimuovere il Presidente, qualora venga giudicato colpevole di aver violato la Costituzione; proprio per questo, secondo le regole, spetta al Presidente proporre i giudici della Corte: qualora questi ultimi, da lui stesso scelti, lo dichiarassero colpevole, si avrebbe la garanzia circa il giudizio di colpevolezza del Presidente.
E’ evidente che obiettivo della nuova maggioranza è che i giudici sostituiscano il Presidente prima delle prossime elezioni, per impedirgli di candidarsi nuovamente. Oltretutto, se i giudici della Corte non fossero nominati dalla maggioranza, la Corte potrebbe decretare l’invalidità di queste nuove leggi, dal momento che sono state approvate dopo l’indizione delle elezioni (le nuove leggi non sono ancora state approvate definitivamente, perché necessitano dell’approvazione del Presidente, ma nel frattempo le elezioni sono già state indette).
Le elezioni potrebbero dunque essere bloccate nel caso in cui la Commissione Elettorale fosse modificata e i giudici della Corte Costituzionale non venissero nominati.
Temo che se l’OSCE e il Consiglio d’Europa non sapranno offrire una mediazione significativa, senza limitarsi alle sole parole, la situazione non potrà risolversi. In questo momento il Parlamento è sciolto, ma governa con la maggioranza di un voto, il Governo è dimissionario e la Corte Costituzionale non è funnzionante.
In che modo secondo Lei si risolverà questa situazione?
E’ difficile prevederlo! Se le elezioni si svolgeranno in modo almeno in parte regolare, saranno i risultati elettorali, i cittadini, a dare la sentenza.
Come ho già detto all’inizio, si può sì dire che siamo una democrazia elettorale, ma nulla di più. Quello che sta accadendo attualmente è che dopo dodici anni di sistema multipartitico, siamo nuovamente giunti al punto in cui si cambiano le regole del gioco immediatamente prima delle elezioni. Le regole avrebbero dovuto essere definite molto tempo prima, oppure cambiate con un ampio consenso. Inoltre la maggioranza ha convocato l’Assemblea con il compito di approvare definitivamente le leggi (che il Presidente non voleva firmare ma che non può rivedere più di una volta) per lunedì, prima cioè dell’arrivo dei rappresentanti dell’OSCE e del Consiglio d’Europa, previsto per mercoledì, per monitorare il processo elettorale.
Conclusione: Si approfondisce il divario nella società, e le elezioni si trasformano in una lotta per la vita o la morte.