Le migrazioni in Bosnia Erzegovina
Analisi dei flussi migratori e delle problematiche ad essi connesse in Bosnia Erzegovina. Tra vecchi rifugiati e nuovi migranti.
La situazione
L’eredità della guerra in Bosnia Erzegovina si manifesta in forme drammatiche: la garnde maggioranza degli sfollati interni e dei profughi ancora non sono rientrati nei propri luoghi d’origine. Le politiche di rientro ripetutamente annunciate dalle varie voci della comunità internazionale in Bosnia non hanno per ora sortito l’effetto di ricostituire la composizione demografica né tanto meno il tessuto sociale precedente il conflitto.
Per quanto riguarda le migrazioni, la Bosnia è diventata, dalla fine della guerra e dalla riapertura dell’aeroporto di Sarajevo nel 1996, un luogo di transito privilegiato per migranti soprattutto irregolari, provenienti da Turchia, Iran, Cina, Bangladesh e India, a causa dei confini permeabili, delle carenze della legislazione e dei controlli e della scarsa attenzione al fenomeno. L’emigrazione di cittadini bosniaci è, come in altri casi nei Balcani, caratterizzata da un’alta scolarità e preparazione professionale della popolazione e causata dalle scarse prospettive di sviluppo economico del dopoguerra, e si associa quindi a dinamiche pesanti di brain e skill drain.
Le difficoltà che incontrano i cittadini bosniaci a entrare legalmente nei paesi dell’Unione europea sono spesso indicate come l’ostacolo principale allo sviluppo di dinamiche migratorie circolari, e dunque alla programmazione dell’emigrazione come tappa di un percorso professionale, culturale o di studio.
Vedi anche:
UNHCR, Return Statistics for BiH, April 2002
Stability Pact, Agenda For Regional Action(AREA)-Regional Return Initiatives for Refugees and Displaced Persons, 20 June 2001
Stability Pact, AREA Update, 26 October 2001
Global Internally Displaced People Project, Bosnia and Herzegovina Profile, December 2001
Ministry for Human Rights and Refugees, BiH, Information-Implementation Of Annex VII-General Framework For Agreement On Peace In B and H, May 2001
Drazen Simic, How Many Inhabitants Does Bosnia Have? The Only Country Without a Population Census, AIM-Sarajevo, 4 May 2001
International Crisis Group, Bosnia’s Refugee Logjam Breaks, 31 May 2000
Ricerche e progetti
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) gestisce in Bosnia numerosi progetti di assistenza al rimpatrio, sostegno ai ricongiungimenti familiari, protezione e rimpatrio delle vittime del traffico di esseri umani, analisi delle migrazioni irregolari e ritorno dei migranti nei paesi d’origine, ritorno di professionisti qualificati.
La Regional Return Iniziative (RRI) del Patto di stabilità rappresenta un tentativo di coordinare gli sforzi della comunità internazionale in materia di ritorni, su base regionale e secondo un’agenda precisa che definisce le azioni necessarie.
L’Agenzia svedese per la cooperazione (SIDA) sostiene la creazione di una polizia di frontiera unitaria. Finora le due entità hanno condiviso la responsabilità del controllo delle frontiere, ma hanno di fatto dato luogo a due sistemi di controllo separati. Le carenze nei controlli sono, secondo la SIDA, all’origine della proliferazione dei traffici in Bosnia e hanno inoltre conseguenze importanti per l’economia del paese, data l’evasione dei dazi doganali per l’importazione e l’esportazione di merci. L’obiettivo del programma è di raggiungere la capacità di controllo del 100% delle frontiere del paese, rispetto all’attuale 50%.
Il progetto Prijedor, nato su iniziativa della società civile trentina e sviluppatosi come un partenariato anche istituzionale tra le comunità trentine e la municipalità di Prijedor, nella Republika Srpska, rappresenta un esempio di come la cooperazione decentrata possa svolgere un ruolo fondamentale di "diplomazia popolare", e di come il rapporto diretto tra comunità e territori possa sortire, in campi estremamente delicati come i ritorni e la riconciliazione tra comunità in contesti post-conflitto, risultati migliori delle politiche delle grandi agenzie internazionali. L’Associazione Progetto Prijedor, che riunisce numerosi enti locali e associazioni del territorio trentino e ne gestisce i rapporti con gli attori bosniaci, ha realizzato, dal 1996, iniziative in diversi ambiti: dalle adozioni a distanza, ai gemellaggi tra scuole dei due territori, all’apertura di linee di microcredito e al sostegno a percorsi di sviluppo economico basate sulle risorse del territorio, quindi sperimentazioni di vivai frutticoli, valorizzazione del legno e di tutte le attività legate ai saperi e alle tradizioni locali, dal turismo locale, all’artigianato, alla produzione di miele.
La continuità della presenza e la ricerca di un dialogo continuo e effettivo con la realtà locale, in un contesto di estrema difficoltà – nel 1997 le Nazioni Unite avevano raccomandato a tutto il proprio personale di abbandonare l’area di Prijedor per motivi di sicurezza: i rapporti dell’OSCE segnalavano la presenza di numerosi ricercati per crimini di guerra nel territorio e documentavano l’esistenza, durante il conflitto, di ben tre campi di concentramento – hanno permesso ai volontari trentini di costruire un rapporto di fiducia con la popolazione e le autorità locali, e di affrontare tematiche difficili, come, ad esempio, il rientro nell’area della comunità musulmana espulsa durante il conflitto.
Oggi Prijedor è una delle città della Bosnia dove più elevato è il numero dei ritorni dei cittadini che dovettero abbandonare le proprie abitazioni durante la guerra (secondo le organizzazioni dei rientranti, 20.000 persone su una popolazione di circa 100.000 abitanti). I dati del rientro a Prijedor sono impressionanti se confrontati ai deludenti esiti delle politiche della comunità internazionale in materia, che solo nel 1999, con l’istituzione della Reconstruction and Return Task Force e l’adozione da parte di questa di un piano d’azione articolato, riconosceva la complessità della questione e i limiti dell’approccio dall’alto, puramente tecnico e basato più sulla ricostruzione delle abitazioni che sulla riconciliazione e ricostruzione del tessuto sociale. Ma è soprattutto la qualità dei rientri a Prijedor a colpire, poiché l’azione di ricostruzione delle abitazioni si è accompagnata alla realizzazione e al sostegno a servizi e strutture sociali, al dialogo e alla riconciliazione, e alla società civile locale, in altre parole alla costruzione di un contesto tale da rendere i ritorni sostenibili.