ICS ha aggiornato il proprio dossier sulla ricostruzione nei Balcani
Oggi ad Ancona ICS presenterà l’aggiornamento al proprio dossier sulla ricostruzione nei Balcani. Lo farà in un incontro di riflessione sull’intervento solidale nell’area balcanica, a partire in particolare dalle esperienze degli enti locali marchigiani.
L’Osservatorio sui Balcani in questi primi 18 mesi di attività è stato particolarmente attento alle questioni riguardanti la ricostruzione ed i progetti di cooperazione nel sud est Europa, nella convinzione che fosse più che necessario avviare una profonda riflessione su di un mondo spesso "schiacciato" da logiche emergenziali. Sguardo critico importante non solo nei confronti della cosiddetta "cooperazione governativa" ma anche nei confronti di quella non-governativa dove spesso le necessità di immagine legate ai finanziamenti hanno castrato una vera e propria capacità di analizzare ed autocriticare il proprio lavoro.
L’Osservatorio sui Balcani ha sviluppato questo percorso attraverso il convegno Dieci anni di cooperazione con il sud est Europa: bilancio, critiche, prospettive realizzato a Trento lo scorso novembre, attraverso la promozione continua sul proprio sito del dibattito su questi argomenti ed attraverso la creazione di un data base sui progetti e le organizzazioni italiane attive nell’area balcanica. Inoltre è in cantiere in collaborazione con lo stesso ICS e con il CESPI, un progetto di ricerca finanziato dal MAE che si propone di analizzare in modo approfondito una serie di interventi italiani nei Balcani in modo da costituire una serie di "lessons learned" capaci di indirizzare l’attività futura nell’area.
Pubblichiamo qui di seguito l’introduzione al dossier sulla ricostruzione redatta dall’ICS.
Introduzione e sintesi
Questo dossier è un sintetico rapporto della ricostruzione dei Balcani dopo le guerre che li hanno sconvolti negli anni ’90. Si tratta della terza edizione (luglio 2002), aggiornata e ulteriormente sviluppata, del dossier già presentato a Roma nel febbraio 2001 e poi a Perugia nell’ottobre del 2002 nell’ambito dell’Assemblea dell’Onu dei popoli. In questa occasione viene presentato ad Ancona, in un’iniziativa promossa congiuntamente con il Consiglio Regionale delle Marche.
Il punto di vista di chi lo ha preparato e redatto, è quello di chi è stato impegnato nelle organizzazioni umanitarie, di volontariato, dell’associazionismo, negli enti locali che negli anni ’90 sono state in prima fila nella mobilitazione contro la guerra e la pulizia etnica, a fianco delle vittime e dei rifugiati; organizzazioni impegnate concretamente con l’invio di aiuti e con la realizzazione di progetti di solidarietà, di cooperazione, di sviluppo. L’esperienza del volontariato e delle organizzazioni umanitarie italiane nei Balcani è stata straordinaria: oltre 20.000 volontari che si sono recati nelle aree di conflitto, 1.200 gruppi coinvolti, migliaia di progetti realizzati e centinaia di miliardi di lire di aiuti raccolti e di risorse materiali ed umane mobilitate.
Durante questa esperienza tali organizzazioni – e l’ICS è una rete che ne raccoglie una parte significativa- hanno sedimentato competenze, saperi, esperienze sulle strade più opportune per promuovere la pacificazione e la convivenza e avviare una ricostruzione non solo materiale, ma anche sociale e civile dell’area. Non si tratta ovviamente di un rapporto completo e definitivo; è una sorta di lavoro "in progress", in continuo aggiornamento. Sono benvenuti suggerimenti, osservazioni critiche, puntualizzazioni, integrazioni. Vi è stata una selezione delle informazioni e delle iniziative che abbiamo ritenuto più importanti, significative e funzionali al senso complessivo di questo lavoro. La scelta è stata quella di approfondire maggiormente i casi di alcuni paesi (i paesi nati dalle ceneri della Federazione Jugoslava e l’Albania) in relazione alle scelte fatte dalla comunità internazionale e dal nostro paese. Abbiamo utilizzato numerose fonti: libri, ricerche siti web, statistiche, ecc. Ci scusiamo se non abbiamo potuto citarle tutte.
Questo dossier cerca di fornire -insieme a valutazioni e riflessioni di carattere generale- dati e cifre, provando a districarsi tra le informazioni fornite dalle istituzioni che sono qualche volta poco trasparenti e altre volte in contrapposizione le une con le altre. Speriamo anche in questo modo (oltre che con il lavoro umanitario e di cooperazione sul campo) di contribuire ad una maggiore conoscenza di quello che si sta facendo e anche -speriamo- ad una maggiore spinta a fare di più e meglio per la pacificazione, l’integrazione e la ricostruzione dei Balcani.
Hanno collaborato alla realizzazione del dossier: Federico Fossi, Annalisa Lelli (stesura e coordinamento), Giulio Marcon, Maria Silvia Olivieri, Barbara Slamic. Un ringraziamento agli enti che hanno reso possibile la realizzazione di questo dossier: oltre al Consiglio Regionale delle Marche, il Comune di Ancona, la Provincia di Ancona, l’ANCI, l’UPI, l’AICCRE, la Lega delle Autonomie Locali, l’UNCEM.
Sintesi
L’idea di fondo del rapporto è che la ricostruzione può essere per i Balcani un’occasione di pacificazione e di sviluppo, a patto che abbia al suo centro oltre che gli aspetti economici e sociali, anche quelli della ricostruzione democratica, locale, sociale e civile. Le guerre nei Balcani hanno distrutto la convivenza e le comunità. Servono scelte mirate che favoriscano lo sviluppo locale e sociale, le risorse umane, l’educazione e l’istruzione, i servizi sociali e pubblici, un’economia sana e plurale. Serve un’idea di ricostruzione e cooperazione che sia legata ad un processo di integrazione transbalcanica ed europea. Serve un più coraggioso orientamento dell’Unione Europea verso rapporti più stretti -ed in definitiva l’integrazione- con gli Stati della regione: il problema dei Balcani non potrà che ingrandirsi se il progetto di allargamento della Comunità Europea non procederà e se l’ Europa rimarrà per i popoli dei Balcani solo una promessa non mantenuta. Come ricorda l’appello L’Europa oltre i confini, promosso da ICS e Osservatorio sui Balcani: "A dieci anni dall’inizio della tragedia balcanica è ormai tempo di dare concretezza all’idea di un’Europa davvero unita, senza più muri e frontiere. Di avviare cioè un processo di integrazione certa, sostenibile e dal basso dei Balcani nell’Unione Europea". Concetti che sono stati riproposti lo scorso 6 aprile del 2002 a Sarajevo in un’iniziativa -per l’Europa dal basso- che ha visto la partecipazione del Presidente della Commissione Europea, Prof. Romano Prodi.
L’Italia -nonostante l’importanza del suo ruolo nell’area- non ha ancora avviato un unitario e organico disegno nella sua partecipazione alla ricostruzione e alla cooperazione nei Balcani: i soggetti che intervengono non sono coordinati, manca un’idea armonica degli interventi sociali, economici e istituzionali. La crisi strutturale della Cooperazione allo sviluppo, il ritardo dell’attuazione di una legge (n.84) sulla ricostruzione approvata in extremis il 21 marzo 2001, alla fine della scorsa legislatura (e ora all’inizio della sua attuazione) la frammentazione degli interventi istituzionali producono -nonostante significativi stanziamenti per i progetti del Patto di Stabilità- effetti contraddittori e alcune volte negativi. L’Italia rischia di perdere un’occasione importante per giocare un ruolo di pacificazione e di cooperazione nei Balcani.
Passiamo in rassegna i capitoli del dossier.
Nel primo capitolo c’è la "fotografia" dei Balcani dopo dieci anni di guerre e dopo una lunga transizione avviata con l’89 e che non si è ancora conclusa: sono prese in esame le tendenze economiche e sociali in atto, le conseguenze (materiali, economiche e sociali: tra tutte il dramma dei profughi) della guerra del 1999 con le devastazioni ambientali e la recente vicenda dell’ Uranio impoverito. Il bilancio è evidente: molti dei paesi dell’Europa centrale, orientale e balcanica hanno indici di povertà economica e sociale piu’ alti di quelli del 1989. I massicci aiuti internazionali dei paesi occidentali e delle istituzioni internazionali negli anni ’90 hanno consentito a molti di questi paesi di sopravvivere, più che di svilupparsi. Oltre il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà in Croazia, Bulgaria, Bosnia, Macedonia, Repubblica Federale di Jugoslavia. In questi ultimi tre paesi la disoccupazione supera il 30% della popolazione attiva. L’integrazione europea sembra ancora una prospettiva non troppo vicina.
Nel secondo capitolo si analizzano le politiche (e le strategie di fondo) economiche e finanziarie seguite, dagli anni ’90 fino ad oggi, dalle grandi istituzioni economiche e finanziarie internazionali (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale) verso i paesi dell’Europa centrale, orientale e balcanica: compressione dell’intervento pubblico e politiche di sostegno all’apertura dei mercati e delle privatizzazioni. In particolare si analizza il ruolo e le iniziative dell’Unione Europea (in dieci anni l’Unione Europea ha investito in questi paesi ben 21,5 miliardi di Euro, con quali risultati è difficile dirlo) e il processo di integrazione e allargamento europeo verso Est, con tutte le sue lentezze, i suoi limiti, le sue contraddizioni. Vengono individuate le tappe fin qui percorse e indicate le incertezze su quelle ancora da raggiungere per un’ integrazione effettiva dei Balcani in Unione Europea.
Nel terzo capitolo si affrontano e si spiegano le politiche fin qui portate avanti dal Patto di Stabilità: linee di indirizzo, risorse destinate, progetti finora finanziati e realmente iniziati, ruolo dell’Italia e prospettive di un’iniziativa che ha mosso i primi passi con grande difficoltà. Si evidenziano, oltre che il relativo successo della raccolta delle risorse da parte dei donatori, i ritardi dell’avvio del Patto, la difficoltà di coordinamento e le sovrapposizioni tra attori. Dei progetti finanziati oltre il 75% riguardano il tavolo II (ricostruzione economica). Dei 35 Quick Start Project del tavolo II ne sono partiti solamente 11; per gran parte degli altri si prevede l’inizio della realizzazione nel 2002. Che siano dei "quick start" (cioè, di rapido avvio), progetti che partano due anni dopo la guerra del 1999 è abbastanza discutibile. La lentezza della spesa effettiva è evidente. Inoltre gli interventi su democratizzazione e diritti umani (tavolo I) è ancora assai limitata (20% circa).
Nel quarto capitolo si parla dell’Italia, di quello che ha fatto fino ad oggi per la ricostruzione nei Balcani. Si parla delle attività dell’emergenza e della missione arcobaleno, di quanto si è speso per la guerra e di quanto si sta spendendo per la pace, di quello che stanno facendo le imprese, dei progetti finora portati avanti. L’Italia sta facendo la sua parte per i progetti del Patto di Stabilità: sono stati individuati progetti per 304 miliardi di lire, ma molti sono vecchi progetti posti nella cornice nel Patto, altri devono ancora essere esaminati e solo pochi sono effettivamente partito. E le imprese ? Qui si sottolinea inoltre l’importanza della legge (n. 84 del 21 marzo 2001) per la stabilizzazione , la ricostruzione e lo sviluppo dei Paesi dell’area balcanica : una legge che è stata approvata in extremis dalla scorsa legislatura e che stanzia più di 180 milioni di euro finalizzati principalmente al sostegno delle imprese, in attesa di un effettivo (imminente) funzionamento della legge.
Nelle conclusioni si ripercorrono le proposte per una ricostruzione sociale, civile e democratica dei Balcani, fondata sul ruolo della società civile, delle comunità locali, di un’economia sociale e solidale che contribuisca alla pacificazione, alla convivenza, all’integrazione: quello che si prospetta è la costruzione di un vero e proprio "piano del contributo italiano alla ricostruzione dei Balcani" (una sorta di "master plan") e di una sede di coordinamento che non separi gli interventi e gli attori economici da quelli sociali e civili, le istituzioni centrali e locali dal volontario e dalle associazioni. Si propone anche di fare un bilancio dell’intervento italiano nei Balcani, attraverso una conferenza nazionale che coinvolga tutti i soggetti coinvolti. E si rilancia la prospettiva di un’integrazione certa dei Balcani nell’Unione Europea. Il Patto di Stabilità è ormai una per certi versi una "scatola vuota": solo politiche che coinvolgano i livelli politici, istituzionali, economici e sociali possono produrre un "salto di qualità per consentire l’abbattimento dei tanti "muri" che ancora dividono l’Europa e costruire le condizioni della pacificazione e dello sviluppo dei Balcani. E della loro integrazione in Europa.
>>> Vai ad ARCO, il database sui progetti nei Balcani
>>> Vai alla pagina del convegno "Dieci anni di cooperazione con il sud est Europa: bilancio, critiche, prospettive " organizzato a Trento nel novembre del 2001