Tunnel di Sarajevo: l’ambiguità di un simbolo
Sarà tra pochi giorni inaugurato il "Museo del tunnel" che sorgerà ad un’imboccatura di quello che era l’unico passaggio per uscire dall’assedio. Simbolo della resistenza della popolazione di Sarajevo o qualcosa di più?
Nel gennaio del 1993, in un quartiere periferico della città di Sarajevo, vicino all’aeroporto, si iniziò a costruire un tunnel. Partiva dalla cantina della famiglia Kolar. La loro era l’ultima casa del paesino di Dobrinja, a soli 400 metri dal fronte. Servirono quattro mesi per terminare l’opera. A partire dall’estate dello stesso anno il tunnel, lungo 800 metri, era divenuto di cruciale importanza per eludere l’assedio delle milizie serbe e per rifornire la città di tutto quello che serviva: beni alimentari, medicinali, armi. Veniva utilizzato anche nella direzione opposta, spesso per trasportare i feriti.
Se inizialmente tutto veniva trasportato a spalle poi nello stretto passaggio vennero installate anche delle rotaie. Poi si "brevettò" un lungo tubo che collegava le due estremità e grazie al quale si riforniva la città di carburante. Un autobotte pompava da un lato, un’altra riceveva dall’altro. Non senza forti rischi, se uno dei due camion fosse stato colpito da qualche proiettile l’intero tunnel sarebbe saltato in aria.
Con la fine della guerra e la fine del tragico assedio, il tunnel perse naturalmente la sua rilevanza strategica. E cadde in abbandono. In molte parti crollò e ne rimasero percorribili solo 20 metri, proprio all’imboccatura nella cantina della famiglia Kolar che per non "fare dimenticare quest’esempio di tenacia e fantasia della gente di Sarajevo" ha trasformato la propria casa in un piccolo museo. Si possono trovare uniformi, fucili e granate utilizzate negli anni di guerra; vi sono anche alcune foto e persino quei carrettini su rotaie che servivano per facilitare i trasporti nell’angusto passaggio.
Il museo "informalmente" esiste da quattro anni. Ora, tra poco tempo, riceverà anche il riconoscimento da parte delle autorità bosniache.
Nella mente della gente di Sarajevo il tunnel continua ad avere un posto del tutto particolare. Come dimostra il commento del giornalista Liam McDonnel in merito all’importante ruolo psicologico del tunnel durante l’assedio "il tunnel veniva utilizzato principalmente per scopi militari. La maggior parte dei cittadini di Sarajevo non l’ha mai usato e nemmeno visto. Ma nonostante questo dava l’impressione alla gente che non dovessero dipendere completamente dalle Nazioni Unite o dai serbi. Dava a loro un’opzione di scelta che in realtà non avevano".
In merito a questo "mitico" passaggio interessanti anche le parole di Muhidin Hamamdzic, attuale sindaco di Sarajevo: "il tunnel è entrato nell’immaginario collettivo ma non bisogna dimenticare gli interessi anche criminali che vi erano legati. Un uovo che entrava nel tunnel valeva 1 marco, dopo aver percorso quegli 800 metri ne valeva almeno 10".
Claudio Bazzocchi, dell’ICS, a questo proposito ha ricordato come "…il mercato nero è stato uno dei grandi affari dell’assedio di Sarajevo… il tunnel è stato un metodo per spremere quattrini fino all’ultimo centesimo alla popolazione stremata … ci ha ricordato il sindaco Hamamdzic che è stato il primo ad avere avuto il coraggio di raccontare questa cosa sul tunnel, che per anni era stato descritto dalla propaganda del regime bosniaco come uno dei simboli della resistenza di Sarajevo".
Nessuno nega la forte simbologia legata al tunnel. Simbolo della complessità delle "nuove guerre", di cui le tragedie balcaniche fanno parte. Simbolo di un doppio assedio subito dalla popolazione di Sarajevo. Quello delle milizie serbe e quello della propria classe dirigente, legata alle bande mafiose ed ai molti interessi criminali coinvolti in quella guerra.
Ha collaborato Davide Sighele