La maggiori religioni tradizionali dei Balcani, il cattolicesimo, l’ortodossia e l’islam hanno avuto e continuano ad avere una parte importante nelle tormentate vicende politiche della regione. I corrispondenti dell’Osservatorio ci descrivono qual è stata negli ultimi dieci anni la percezione della religione e delle istituzioni religiose nella sfera pubblica dei vari paesi.
Il tema ricorrente negli approfondimenti che l’Osservatorio presenta è quello del legame tra politica e religione. Somiglianze molto forti si trovano nell’atteggiamento delle elite politiche della ex Jugoslavia dove immancabilmente i simboli religiosi sono diventati fondamentali per la definizione delle diverse identità dei nuovi stati. In particolare durante la guerra, la complicità o il tacito assenso delle gerarchie religiose è servito alle classi dirigenti di Serbia, Croazia e Bosnia per creare consenso e unità nazionale.
Nell’ intervista di Ada Sostaric a Cedomir Cupic, professore di antropologia politica e sociologia dell’università di Belgrado, si mette in luce come all’inizio degli anni ’90 la chiesa ortodossa serba avesse ampio spazio sui media e nella vita pubblica in generale dopo anni di marginalità. Fiancheggiando Milosevic parte della gerarchia ecclesiastica conquista un ruolo centrale e spera di ottenere la restituzione delle proprietà sottratte dal regime di Tito. Diventata invece strumento del potere politico, la chiesa ortodossa cambia atteggiamento solo verso il 1996-97, come spiega Mihailo Antovic, quando si avvicina all’opposizione seguendo quindi il percorso fatto dal resto della società serba.
Nel caso della Bosnia-Erzegovina la guerra ha reso la religione un elemento imprescindibile per definire l’identità delle parti. Dario Terzic ci descrive come sono cambiati, ad esempio, i comportamenti della popolazione musulmana di Bosnia nel corso del conflitto quando la tradizione laica dell’islam bosniaco subisce forti influenze dalle alleanze internazionali stabilite da Izebegovic. Accanto a questa trasformazione della componente mussulmana, Terzic mette in luce come le gerarchie cattoliche ed ortodosse abbiano fiancheggiato le scelte delle rispettive classi politiche e non abbiano mai denunciato i crimini commessi. Tuttavia, secondo il corrispondente da Banja Luka, in Bosnia non sono stati solo i rappresentati politici ad utilizzare la religione ma le stesse autorità religiose hanno trovato modo di affermarsi come protagonisti della vita pubblica grazie al conflitto. Oggi a sei anni dalla fine della guerra, la religione non è più strumento di divisione e potrebbe invece contribuire al consolidamento della pace. Manca, però, da parte dei vertici religiosi la volontà di adoperarsi, al di là delle dichiarazione di intenti, affinché i diritti delle minoranze siano rispettati.
Lino Veljak analizza il caso della Croazia dove, dopo il sodalizio con Tudjman, la chiesa cattolica ha ribaltato i rapporti di forza rispetto al nuovo governo. Oggi il peso acquisito dalle gerarchie ecclesiastiche è tale per cui il concordato con la Santa Sede grava economicamente sulle casse delle stato. D’altra parte la chiesa, che per la gran parte non ha abbandonato le simpatie nazionaliste, si adopera per discreditare il governo socialdemocratico criticando vivacemente i tagli alla spesa pubblica come segno del disinteresse politico verso le necessità della gente.
Nel caso della Macedonia, spiega Dejan Georgievski, con l’indipendenza la chiesa ortodossa ha guadagnato un ruolo centrale mai avuto in precedenza ed oggi gode di una posizione privilegiata rispetto alle altre confessioni. Anche qui la chiesa è schierata con le forze politiche nazionaliste del VMRO e nel paese non mancano le critiche di chi osserva l’alto tenore di vita dei prelati rispetto alla gente comune. Il conflitto militare con la minoranza albanese scoppiato nel 2001 ha visto di nuovo la religione diventare strumento per la politica. Anche in Macedonia non sono stati risparmiati numerosi luoghi di culto perché, come spiega Georgievski, demolire una chiesa o una moschea serve a chiarire che la comunità colpita non è più benvenuta nella zona. L’allarme per il pericolo di t[]ismo islamico che investirebbe il paese è servito alla causa macedone nonostante il nazionalismo albanese sia stato sempre considerato di matrice etnica e non religiosa.
L’area a popolazione albanese dei Balcani fa eccezione rispetto alla regola del legame identità religiosa ed identità etnica. In Macedonia, così come in Kosovo, benché la maggioranza degli albanesi sia musulmana e mostri attaccamento alle istituzioni religiose, le lotte politiche di questi anni lasciando sempre al margine il fattore religioso. Infine, nel caso dell’Albania, analizzato da Llazar Semini, la popolazione non è omogenea a livello religioso e vi sono comunità cattoliche, ortodosse e protestanti anche se prevale numericamente la componente musulmana. Anche qui la classe politica ha dato prova di saper utilizzare la religione a fini politici. Se in passato il presidente Berisha aveva aderito alla Conferenza Islamica, oggi la nuova guida socialista getta discredito sul rivale politico utilizzando la congiuntura internazionale della guerra al t[]ismo per mostrarsi alleata fedele dei governi occidentali.
Vedi anche:
Religione e politica in Bosnia-Erzegovina
Religione, fede, nazione… conflitto