Nostalgia del futuro

Contro i nuovi muri. Come la guerra nell’ex Jugoslavia, ancora sospesa, ha anticipato l’attuale rappresentazione del "conflitto di civiltà". I contenuti del’incontro tra il sindaco di Sarajevo e l’ambasciatore jugoslavo a Roma pubblicati da Il Manifesto.

07/11/2001, Redazione -

Il Manifesto ha pubblicato lo scorso sabato i contenuti dell’incontro organizzato a Roma nello scorso settembre dall’Osservatorio sui Balcani tra Muhidin Hamamdzic, sindaco di Sarajevo, nella capitale per la presentazione assieme a Veltroni dell’Appello L’Europa oltre i confini, e Miodrag Lekic, ambasciatore jugoslavo in Italia. Riportiamo qui di seguito il testo curato da Tommaso di Francesco.

Tempi di guerra, nei quali accade quel che solo pochi giorni prima non poteva accadere. Anche per le possibilità della pace. Così è stato in questi giorni con un incontro "storico" che si è svolto a Roma e del quale siamo stati testimoni. Il sindaco di Sarajevo Muhidin Hamamdzic, biologo medico, socialdemocratico, in visita a Roma ha voluto incontrare l’ambasciatore della Jugoslavia Miodrag Lekic, ben lieto quest’ultimo di riceverlo nella sede dell’ambasciata jugoslava a Roma. Nei Balcani il clima di guerra è tutt’altro che concluso, la Macedonia è lì a ricordarlo. Per questo è decisiva la presa di parola per il dialogo tra distanze che si sono parlate, anche se indirettamente, con le armi, perdipiù nella nuova fase di guerra duratura. Presenti le realtà italiane che alla pace nei Balcani lavorano da anni: il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), con Giulio Marcon e Claudio Bazzocchi, l’Osservatorio Balcani, con Michele Nardelli, Mauro Cereghini e Nicole Corritore, il reporter Mario Boccia e Tom Benettollo dell’Arci. Tutti impegnati nella campagna L’Europa oltre i confini. Per un’integrazione dei Balcani nell’Unione europea: certa, sostenibile e dal basso, contro i nuovi muri di Shengen.

Ha aperto l’incontro l’ambasciatore Lekic, l’uomo che pur inviso a Milosevic denunciò l’irresponsabilità della "guerra umanitaria" della Nato e che è stato confermato nel suo difficile incarico dal presidente Kostunica: "Siamo stravolti da tutto quello che accade perché – ci dice – noi abbiamo provato sulla nostra pelle sia gli attacchi t[]isti dell’Uck sia i bombardamenti della Nato".

Miodrag Lekic

Ringrazio gli amici italiani che hanno reso possibile l’incontro. Io rappresento la Jugoslavia, quindi Serbia, Montenegro e, secondo la risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu, anche il Kosovo è territorio jugoslavo. Sapete che nella Federazione le cose sono "complicate". Con orgoglio ho anche rappresentato la precedente Jugoslavia del 1990; l’ambasciatore aveva l’obbligo di visitare le repubbliche, così andai dal governo di Bosnia Erzegovina, c’erano già "nuvole nere" all’orizzonte, ma non potevo immaginare che sarebbe stata la mia ultima visita a Sarajevo. Resto convinto che la disintegrazione di quella Jugoslavia non sia stato un passo verso un miglioramento, ma una regressione per i Balcani. Forse ora il peggio è passato, la situazione è non-bellica, ma non dobbiamo illuderci. Certo ci sono fatti positivi, un certo tipo di reintegrazione e pacificazione. Ma, come diceva Bismark, "la costante della storia è la geografia", e ogni nuovo stato che si è creato non è "migrato" in altri luoghi della terra, rimane sempre nello stesso luogo fisico. Rimaniamo uno accanto all’altro ed abbiamo solo due possibilità: o rimetterci di nuovo in conflitto, oppure collaborare. Siamo talmente legati come lingua, culture, tradizioni, parentele che è inevitabile un nuovo processo di riavvicinamento. Il nostro grande scrittore bosniaco jugoslavo Ivo Andric ha scritto un ciclo della nostra storia di intolleranza e guerre, ma anche di convivenza tra i popoli. Ora, da pochi mesi, abbiamo rapporti formali anche come Stati e ci aspettiamo una piena convivenza.

Muhidin Hamamdzic

Tutto è imponderabile. Pensavamo che la stabilità degli Stati uniti fosse una certezza e invece un nuovo atto t[]istico sta facendo tremare questo sistema. Grazie, ambasciatore, per l’impegno che ci avete dedicato, e che è noto fin da tempi che posso dire "bei tempi". Sono d’accordo che se si fosse usata di più l’intelligenza avremmo potuto evitare tante vittime e danni economici. Ora dobbiamo pensare al futuro, alle nuove generazioni, alla collaborazione tra i nostri due Paesi e tra tutti i Paesi dell’area: non c’è alternativa. Oltre alla nostra vicinanza, abbiamo un destino comune che ci spinge alla collaborazione, tra noi e in direzione dell’Europa, tantopiù che gli stati nati dalla disintegrazione della Jugoslavia hanno bisogno di uno spazio economico più vasto per lo sviluppo. Purtroppo sono ancora presenti forze che frappongono barriere. E in Europa c’è un nuovo muro – ne è stato distrutto uno e ne è stato eretto un altro – un blocco tra noi e il resto d’Europa che rischia di riprodurre tanti piccoli muri al nostro interno. Il nostro compito adesso è distruggere questi muri se vogliamo una prospettiva di pace. E’ il segnale che dobbiamo dare con questo nostro incontro. Insisto: "dal basso". Come biologo evoluzionista sostengo che tutto ciò che parte dal basso ha una vera chance di sopravvivere e crescere.

Il manifesto

Ora la guerra sembra lontana dai Balcani ma vicina al resto del mondo che appare balcanizzato. Non ritenete che il modo ambiguo con cui si sono concluse le varie crisi nei Balcani – la pace di Dayton con la divisione della Bosnia, la guerra del ’99 della Nato contro la Jugoslavia, il Kosovo sospeso, la voragine macedone – dimostri come l’Europa e l’Occidente rifiutino una vera integrazione di questa realtà, quasi da delegare alla categoria guerra e la cui integrazione è da rimandare all’infinito?

Muhidin Hamamdzic

Adesso ci chiamano "Sud-est Europa", chissà se per questo ci considerano un po’ più europei? L’Europa sui Balcani ha tardato a capire ed ha sbagliato. L’Unione europea ci considera solo da quando ha intravisto che le nostre diversità possono essere una ricchezza. Ho sempre creduto che non fosse possibile cancellare le interrelazioni tra diversità che esistevano a Sarajevo, perché riuscivano a colmare le mancanze esistenti tra culture, appartenenze e tradizioni. Era un’armonia dal valore enorme. Io non ho mai nemmeno pensato se i miei amici fossero serbi, croati o musulmani. Valeva in ogni parte della ex Jugoslavia, che fosse Macedonia, Serbia o Slovenia. Anche oggi, se ascoltate i nostri cittadini, loro dicono: "Andiamo al nostro mare", anche se devono andarci col passaporto per passare il confine. Se l’Europa avesse per tempo sostenuto questo concetto di vita e di rapporti, alla fine avrebbe fatto scelte diverse. Eppure la pentola chiamata Balcani o Sud-est Europa ancora bolle.

Miodrag Lekic

Sui rapporti tra Europa e Balcani sono ricorrenti due interpretazioni: una sostiene che i Balcani hanno creato problemi all’Europa, l’altra che l’Europa ha trasferito le sue contraddizioni nei Balcani. Non voglio dare ora la mia spiegazione su chi è stato responsabile della disintegrazione della Jugoslavia, ma solo ricordare che quella "responsabilità" è stata davvero difficile, perché quella Jugoslavia in realtà sta morendo da dieci anni, dalla Slovenia del ’91 fino alla Macedonia del 2001. Era dunque un organismo vivo che muore con lunghe sofferenze. E se è stato così difficile disintegrare la ex Jugoslavia forse è più facile lavorare ad una nuova integrazione. Non penso ad una nuova Jugoslavia, perché va rispettata l’esistenza dei nuovi stati. Voglio solo ricordare l’ostacolo rappresentato dalle élite burocratiche che hanno portato a quello che è successo. Oggi sono diverse da quelle degli anni ’90 e l’Europa ha finalmente sviluppato un approccio regionale. E’ possibile l’integrazione con l’Europa se però siamo capaci di tornare ad integrarci noi stessi, direttamente.

Muhidin Hamamdzic

C’è il compito nuovo di rappresentare gli interessi "dal basso" dei cittadini, devono emergere e contare i loro bisogni non solo i livelli delle burocrazie politiche. E resta decisivo per i Balcani che non vengano più modificati i confini. Dovremmo dire basta a questi "appettiti" nazionalisti, se parliamo di globalizzazione.

Claudio Bazzocchi (Ics)

Voglio riproporre il tema dello "spazio jugoslavo", che preesisteva e continua ad esistere, per dire che l’approccio regionale all’integrazione è decisivo per la società civile, italiana ed europea. Quando è scoppiata la guerra noi europei abbiamo pensato che si trattasse del risultato di odi secolari. E che Milosevic, Izetbegovic e Tudjman rappresentassero davvero i serbi, i bosniaci e i croati. Ora sappiamo che non era così, erano solo tre classi dirigenti e vecchie burocrazie che hanno utilizzato la guerra per fini di potere. Anche se ovviamente la guerra è entrata nel corpo della società e ha creato quello che le tre classi dirigenti nazionalistiche volevano creare. Ora che ci sono nuove classi dirigenti, se parliamo di integrazione europea, dobbiamo dare un giudizio molto chiaro sulla guerra: non era una guerra etnica di odi secolari ma una guerra fra tre classi dirigenti che si sono spartite le spoglie di uno stato in dissoluzione. Su questo le nuove classi dirigenti dei Balcani devono essere molto chiare. La sinistra croata al governo deve smettere di parlare di "guerra patriottica". Anche sull’assedio di Sarajevo va fatta finalmente chiarezza. Quanti sono stati gli assedi di Sarajevo? C’era l’assedio eroico, dei resistenti, ma c’era anche l’assedio dei traffici di droga, di armi e malaffare tra serbi e musulmani. Ci siamo mai chiesti perché questo assedio è durato tanto? Perché tutti avevano interesse che durasse tanto da una parte e dall’altra? E così abbiamo scoperto che i famosi comandanti che difendevano la città in realtà erano quelli che si sono arricchiti con il traffico di esseri umani, di armi, di droga. E’ una verità che la classe dirigente bosniaca nuova deve dire.

Tom Benettollo (Arci)

Vorrei chiedere una cosa rivolta al futuro, c’è anche la nostalgia del futuro. Come immaginate i percorsi di collaborazione, i rapporti futuri, il superamento degli ostacoli?

Mauro Cereghini (Osservatorio sui Balcani)

C’è un ragionamento sull’integrazione regionale balcanica che sembra muoversi verso una riedizione confederale del sud-est Europa, l’altra si attiva per una massima apertura del Continente Europa. Come giudicate i due processi, quello regionale-locale e quello continentale? Sono momenti paralleli o conflittuali e reciprocamente escludenti?

Muhidin Hamamdzic

Conosciamo il concetto. Il messaggio è: voi entrerete in Europa quando porterete a conclusione i rapporti tra di voi. Sono quasi delle condizioni. Credo che sia una politica molto chiusa, la vecchia politica dell’Europa: prima trovate la vostra stabilità poi entrate in Europa. Certo, è chiaro che senza cambiamenti in Serbia in direzione democratica così come in Croazia e in Bosnia-Erzegovina non si è potuto fare nulla nel senso di una qualche armonizzazione interna e nei rapporti regionali. Quando parliamo di democratizzazione penso soprattutto al fatto che dalla scena politica devono sparire tutti coloro che hanno partecipato del processo brutale di disintegrazione e che invece hanno ancora una grande influenza, in Bosnia-Erzegovina, in Croazia e in Serbia. Voglio ricordare che quello che ha portato alla guerra non è stata la tutela dell’interesse "nazionale" dei popoli presenti sul territorio della ex Jugoslavia, si è trattato di un conflitto tra sfere di più alto grado. Considero una falsità dire che la guerra è nata per le differenza di trattamento dei diversi popoli della ex Jugoslavia…
In famiglia abbiamo persone con origine etnica diversissima e di diverse confessioni: il mio testimone di matrimonio è di religione ebraica, tra i miei amici più stretti c’è di tutto… A quelli a cui era necessario il caos, era necessario esclusivamente per i propri interessi personali e purtroppo sono riusciti ad uccidere popoli. I media hanno fatto il resto e gli atti violenti sono arrivati a legittimare la separazione tra le persone. Ho due figli che abitano in America e loro mi hanno detto che sono contenti di non arrivare da paesi arabi. Quel che è accaduto è stato vissuto in prima persona dagli americani che si sono sentiti colpiti direttamente: quell’atto violento ha creato un’ulteriore distanza tra le diversità. Come da noi, la violenza è stata la base per legittimare la pulizia etnica e poi la divisione su base etnica. Ora nei Balcani dobbiamo continuare nella direzione della democratizzazione. A Sarajevo le persone rientrano, il rientro di una persona al di là della sua provenienza religiosa o etnica viene vissuta come una festa, persone che non si son viste per 10 anni si incontrano e si abbracciano piangendo. La convivenza che abbiamo praticato da secoli è così forte che è riuscita a sopravvivere anche a quest’ultima esperienza criminale. Bisogna solo darle la libertà di esistere. Bisogna sviluppare l’economia cominciando ad eliminare l’economia nera, l’economia illegale. Perché questo è stato l’obiettivo. Si nascondono dietro i cittadini, dichiarando che le loro azioni vengono fatte nel loro interesse, invece l’interesse è solo un ulteriore arricchimento privato. E’ incredibile come siano riusciti a spremere tutto dai propri cittadini. Se io vi dico che 800 metri di tunnel sotto l’aeroporto di Sarajevo ha significato la possibilità che si pagava da una parte del tunnel, cioè a Butmir, una cosa che veniva rivenduta a 100 volte il suo valore d’acquisto dall’altra parte del tunnell. Se un uovo all’ingresso del tunnel poteva essere comprato a 20, 30 lire al di là del tunnel potevi venderlo per 100 marchi e così avveniva per la carne, per tutti i generi alimentari e per ogni bene. Ecco che cosa è stato anche l’assedio a Sarajevo. Ora è questa speculazione criminale sull’assedio che stanno difendendo. Solo adesso, dopo quasi dieci anni, siamo riusciti a realizzare il controllo del 70% degli ingressi alla frontiera grazie alla Comunità internazionale. E non grazie ai nostri parlamentari.

Miodrag Lekic

Ho un’opinione un po’ diversa dal sindaco. Penso che dobbiamo avviare una reintegrazione a partire da noi stessi, non per accontentare il ministro degli esteri tedesco Joska Fischer che non sono sicuro abbia idee chiarissime su questo. Attenti a non continuare all’infinito il laboratorio Balcani. Se l’obiettivo è quello di avvicinarci ed entrare in Europa non possiamo rimanere immobili. E’ vero insomma che se permettiamo una comunicazione troppo libera tra serbi in Bosnia Erzegovina e serbi in Serbia o croati in Croazia, c’è il rischio di "mangiare" la Bosnia Erzegovina, ma d’altra parte è un pericolo anche mantenere frontiere classiche tra cugini che hanno vissuto per settant’anni insieme: se diventiamo piccole fortezze non vedo stabilità. I nuovi, piccoli, stati vanno rispettati, ma allo stesso tempo relativizzati sui valori dell’Europa che si avvia ad integrare aree e interessi di stati diversi come Svizzera, Austria e Italia. Dobbiamo sviluppare queste forme d’integrazione. Un esempio è il Kosovo che la Serbia non può affrontare se non in collegamento con la Macedonia e viceversa, e vale anche per la Bosnia Erzegovina.

Il manifesto

I Balcani "rogna" per per l’Europa, oppure discarica di problemi interni. Probabilmente c’è anche una terza questione: i Balcani sono stati e sono anche uno scarico di problemi per gli Stati uniti e tra questi e l’Europa…

Miodrag Lekic

I nostri destini erano incrociati proprio in Bosnia Erzegovina ed è stata proprio la Bosnia Erzegovina la vittima tragica della disintegrazione della ex Jugoslavia. Vorrei utilizzare questa occasione per esternare il mio dolore per quello che ha sofferto il popolo bosniaco che ha pagato il prezzo più alto.

Il manifesto

Ora si è scelleratamente accreditata la guerra di civiltà, Occidente contro Islam. Se fosse così la ferita balcanica è destinata a riaprirsi?

Muhidin Hamamdzic

Lo scontro nei Balcani non è stato religioso, sono le diverse strategie politiche che hanno strumentalizzato le ragioni e manipolato la realtà. Noi possiamo essere testimonianza del contrario: il conflitto non era tra civiltà, da noi la convivenza era possibile, la diversità è stata manipolata e piegata alle ragioni della guerra. Troppo facile parlare di scontro di civiltà. Noi eravamo un’avanguardia della commistione possibile, e proprio a Sarajevo questa anima d’avanguardia era più forte e funzionava. Per questo che i gruppi musicali erano migliori, come i film. Anche se poi siamo arrivati dove siamo arrivati. Insomma, abbiamo qualcosa da insegnare proprio ricostruendo la nostra vita. Pochi giorni prima che io venissi a Roma c’è stato un incontro europeo di rappresentati religiosi a Sarajevo con esperti e appartenenti di tutte le confessioni, che ha discusso dei rapporti tra Islam e Cristianesimo in Europa che, come sindaco, ho avuto l’onore di aprire. Proprio pochi giorni prima dell’attentato dell’11 settembre e poi della guerra.

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