CRONOLOGIA DELLA CRISI ALBANO-MACEDONE (gennaio-ottobre 2001)

Dall’inizio dell’anno sino ad ora le vicende in Macedonia si sono evolute con una certa continuità e rapidità. Al fine di rendere più chiara ed agevole la comprensione di ciò che è accaduto, presentiamo un riepilogo cronologico degli eventi principali.

30/10/2001, Luka Zanoni -

22 gennaio nel villaggio di Tearce, nei pressi di Tetovo un poliziotto viene ucciso e altri due rimangono feriti durante un attacco eseguito con lanciamissimili, si tratta del primo attacco rivendicato dal neo Esercito di Liberazione Nazionale (UCK), che adotta la stessa sigla dell’UCK kosovaro.
12 febbraio scoppiano combattimenti tra le forze di sicurezza macedoni e i guerriglieri dell’UCK nella regione montagnosa del nord-ovest della Macedonia, nei presi del villaggio di Tanusevci dove vi è una forte presenza della popolazione albanese.

5 marzo, Skopje annuncia la mobilitazione dei riservisti dell’esercito e della polizia. Il segretario generale della NATO George Robertson manda un inviato speciale a Skopje. Si parla di una cifra che oscilla tra i cento e i trecento combattenti albanesi presenti nell’aerea.
8 marzo la NATO autorizza le forze jugoslave ad entrare nell’estremità meridionale della zona di sicurezza creata attorno al Kosovo nel giugno 1999.

18 marzo a Tetovo viene dichiarato il coprifuoco, mentre Skopje accusa l’Occidente di non intervenire contro i guerriglieri dell’UCK. Verso la fine del mese le forze macedoni iniziano ad utilizzare elicotteri e aerei da combattimento, nel frattempo acquistati dall’Ucraina, contro le postazioni dei ribelli albanesi. Si inizia a fare la conta dei morti anche tra la popolazione civile. Il confine col Kosovo viene chiuso e riaperto più volte per impedire il passaggio dei guerriglieri albanesi tra i due paesi.
9 aprile l’ex repubblica jugoslava di Macedonia è il primo paese balcanico a sottoscrivere un accordo di stabilità e associazione con l’Unione europea. Ciò consente a Skopje di considerarsi una potenziale candidata all’Unione europea, il che potrebbe accadere nell’arco dei prossimi dieci anni, e di ricevere pieno appoggio politico e finanziario per quanto riguarda la crisi con la guerriglia albanese. La firma dell’accordo, nel contesto di una solenne cerimonia, viene apposta dai ministri degli esteri della Ue e dal premier macedone Georgjevski. Il partito albanese PDP decide di non partecipare alla cerimonia, mentre l’atro partito albanese il PDA sceglie di essere presente con i rappresentanti delle altre minoranze presenti in Macedonia.

28 aprile otto soldati e poliziotti vengono uccisi nei pressi di Tetovo in un’imboscata rivendicata dai guerriglieri albanesi, i quali affermano invece di aver agito per autodifesa. Alcuni dei soldati uccisi provenivano da Bitola, una città al sud della Macedonia. Il 1 maggio scoppia una violenta protesta a causa della morte dei soldati macedoni proprio nella città di Bitola.
8 maggio il portavoce del governo, Milososki, annuncia la formazione del governo di unità nazionale. L’UNHCR fornisce i primi dati sull’esodo dei rifugiati verso il Kosovo.

22 maggio a Prizren viene sottoscritta una dichiarazione unitaria dai partiti albanesi e dall’UCK macedone. Ali Ahmeti, capo politico dell’UCK, Imer Imeri, leader del PDP e Arben Xhaferi, leader del PDA, firmatari della dichiarazione, convengono sulle riforme costituzionali su base etnica, maggiori diritti alla minoranza albanese, supervisione dell’OSCE e degli USA, reintegrazione politica dei ribelli dell’UCK.
30 maggio viene proposta dall’Accademia delle scienze e delle arti macedone (MANU) una proposta di spartizione della Macedonia. Il progetto, che suscita un certo scandalo anche tra i rappresentati occidentali, riguarderebbe uno scambio di territori e popolazione tra l’Albania e la Macedonia, in modo che vengano cedute all’Albania alcune aeree della Macedonia abitate dalla popolazione albanese e viceversa.

6 giugno alla conclusione die lavori del vertice di Salonicco, che vede riuniti i ministri della difesa dei paesi del sud est europeo (Albania, Bulgaria, Croazia, Grecia, Macedonia, Romania, Slovenia e Turchia), viene ribadito il pieno appoggio al governo di unità politica dell’ex repubblica jugoslava di Macedonia e una ferma condanna delle continue attività t[]istiche ad opera degli elementi estremisti presenti nel paese.
7 giugno si ripetono gli incidenti nella città di Bitola dopo l’uccisione di altri militari provenienti dalla medesima città. Vengono incendiati negozi ed esercizi di albanesi. I nazionalisti macedoni, tra cui il capo del governo Georgijevski, premono per la dichiarazione dello stato di guerra, che viene respinta dai supervisori occidentali.

Proseguono nei giorni successivi intensi e violenti combattimenti soprattutto nel villaggio di Aracinovo, congiunti ai tentativi di cessare il fuoco e ultimatum non rispettati. La situazione dei civili si fa sempre più grave, in particolare nella zona di Kumanovo, dove gli abitanti affrontano per diversi giorni una pesante restrizione delle forniture idriche, dopo che i guerriglieri dell’UCK hanno preso possesso della diga di Lipkovo che approvvigiona la città. Il 9 giugno un capo militare dell’Esercito di Liberazione Nazionale (UCK) lancia un ultimatum al governo di Skopje, dichiarando di poter colpire la capitale macedone con dei missili, se non verranno fermati i bombardamenti nei villaggi del nord abitati dalla popolazione albanese. Ciò dà luogo all’innescarsi della psicosi da guerra tra la popolazione civile che si affretta a fare rifornimenti di scorte alimentari prevedendo un conflitto di lunga durata.
12 giugno il presidente macedone Boris Trajkovski presenta un piano di soluzione della crisi che viene accettato dal parlamento. La proposta di Trajkovski, accolta anche dai rappresentanti occidentali, riguarda l’unione delle forze di polizia e dell’esercito sotto un unico comando al fine di combattere la guerriglia albanese, ma prevede anche l’amnistia per quei guerriglieri che volontariamente deporranno le armi. Il piano ricalca a grandi line quello presentato dal capo missione OSCE Robert Frowick, poi fallito e ufficialmente concluso il 3 giungo, ma senza vere concessioni agli albanesi.

15 giugno il leader politico dell’UCK, Ali Ahmeti rende noto mediante un comunicato stampa che l’Esercito di Liberazione Nazionale rispetterà una tregua unilaterale fino al 27 giugno. L’UCK presenta inoltre un proprio piano di soluzione alla crisi, respinto immediatamente dal governo di Skopje, nel quale si chiede la partecipazione della NATO nel ruolo di mediatore, il riconoscimento politico dell’UCK e quindi la sua presenza ai tavoli delle trattative per la pace.
Si inizia a parlare di un intervento della NATO anche tra i vertici politici europei ed alcuni ambienti americani. Nel frattempo i maggiori partiti albanesi e macedoni si riuniscono a Skopje per i negoziati di pace che dureranno per quasi una settimana. Il 20 di giugno il ministro dell’Interno Ljube Boskovski si dimette dall’organo di sicurezza inter-partitico riunito a Skopje, accusandolo di capitolazione, per le troppe concessioni offerte agli albanesi. Il giorno stesso delle dimissioni di Boskovski circolano alcuni volantini che annunciano la presenza di una formazione paramilitare macedone, denominata "Paraesercito 2000", la quale intima a tutti gli albanesi che hanno avuto la cittadinanza macedone dal 1994 devono lasciare il paese entro il 25 giugno, pena la "pulizia" delle loro abitazioni e dei loro villaggi. L’invito è rivolto anche a quei macedoni che collaborano con gli albanesi. Le trattative tra i rappresentanti albanesi e quelli macedoni si concludono dopo sei giorni con un nulla di fatto. L’intervento di Javier Solana il giorno successivo eserciterà un’ulteriore pressione sui partiti riuniti e li riporterà alle trattative. La NATO si dichiara pronta ad un intervento con una forza ridotta di uomini, senza il mandato dell’ONU perché entrambe le fazioni in campo richiederebbero il suo intervento.
22 giugno una pesante azione delle forze di sicurezza macedoni si scaglia sul villaggio di Aracinovo, da giorni in mano ai ribelli albanesi e dichiarato "territorio liberato", con carri armati, elicotteri e per la prima volta dall’inizio del conflitto viene impiegata l’aviazione che bombarda duramente il villaggio. L’esercito e la polizia macedone dei nuclei antisommossa agiscono insieme grazie ad una decisione dei vertici militari. L’offensiva dura l’intero week-end provocando numerose perdite da entrambe le parti. Viene proposta una nuova tregua, accettata con favore anche dal rappresentate per la politica estera dell’UE, Javier Solana. I ribelli dell’UCK iniziano il ritiro dalle loro postazioni. Mentre i rappresentanti dell’OSCE, della NATO e della Croce Rossa Internazionale fanno ingresso nel villaggio di Aracinovo.

25 giugno Durante il vertice dell’Unione Europea a Lussemburgo viene discussa la situazione in Macedonia, ma senza che ne esca una accettabile soluzione. In serata viene assaltato il Parlamento di Skopje. La notizia risveglia l’attenzione dei media internazionali. Un folto numero di riservisti e agenti delle forze di polizia, armati e in uniforme, ai quali si sono uniti in seguito i civili, assalta la sede del parlamento. La protesta, iniziata durante la prima seduta degli incontri tra partiti albanesi e macedoni riuniti nel tentativo di trovare un’intesa politica che ponesse fine alla crisi in corso, sfocia in atti di violenza da parte dei manifestanti. Divelte le transenne la folla fa irruzione nell’edificio del parlamento e grazie alla pressoché assenza del servizio d’ordine, i dimostranti iniziano a saccheggiare alcuni uffici dell’edificio, quando i politici presenti se ne erano ormai andati dalla porta di servizio. Human Rights Watch denuncia la presenza di forze paramilitari macedoni e di azioni di pulizia etnica. Il governo inglese e quello statunitense autorizzano il personale non essenziale ad abbandonare le ambasciate, a causa delle proteste antioccidentali dei manifestanti.
Nei giorni successivi Francois Leotard, ex ministro degli esteri francese, viene nominato inviato ufficiale per l’Unione Europea in Macedonia, che insieme con l’inviato americano James Pardew hanno il compito di gestire la crisi del paese. L’UNHCR denuncia circa 80.000 rifugiati.
Nei primi giorni di luglio il ministro della difesa Vlado Buckovski si incontra con una delegazione ucraina al fine di agevolare i contatti tra i due paesi nel quadro dell’accordo di cooperazione tecnico-militare. Proseguono le trattative di pace e la definizione di una missione NATO. Dalla mezzanotte del 5 luglio entra in vigore una tregua bilaterale che però viene violata il giorno successivo. Le trattative proseguono ad oltranza, sull’esile filo della tregua che nonostante tutto rimane in vigore. Viene presentato un documento redatto dagli esperti internazionali, sulla base di quello scritto dal costituzionalista francese Banditer il 28 giugno. Nel testo mancano ancora gli annessi riguardanti gli emendamenti costituzionali e la modifica della legislazione, punti che sono attualmente ancora oggetto di dibattito. Si accende il dibattito sulla lingua ufficiale. Secondo la bozza di accordo occidentale la lingua ufficiale è il macedone, ma qualsiasi altra lingua parlata da almeno il 20% della popolazione diventerà ufficiale. Ciò significa che questa regola verrà applicata alla sola lingua albanese, essendo la popolazione che soddisfa il criterio del 20 per cento.

23 luglio violazione della tregua in vigore dall’inizio del mese. Una bambina albanese viene uccisa, fonti macedoni riportano dell’uccisione di 22 civili macedoni da parte dell’UCK, ma la notizia non trova conferma. Si tratta comunque della più intensa violazione della tregua, che lascia sul campo numerosi feriti e vittime civili e militari. Le responsabilità della violazione della tregua vengono fatte rimbalzare tra le due fazioni in campo. Nel frattempo le autorità, macedoni chiudono le frontiere con il Kosovo impedendone il transito anche ai mezzi della NATO e delle organizzazioni internazionali. Il governo macedone rivolge all’Occidente pesanti accuse di complicità con la guerriglia albanese. L’inviato della NATO Peter Feith strappa una promessa di tregua e di ritiro delle truppe al leader politico dell’UCK Ali Ahmeti.
26 luglio inizia la ritirata dell’UCK dalle alture sopra Tetovo. I rappresentati occidentali giunti a Skopje per fare il punto sulla crisi si dichiarano speranzosi.

27 luglio iniziano i colloqui di pace ad Ohrid ai quali partecipano i leader dei partiti politici e i rappresentati occidentali. Le discussioni riguardano principalmente l’accettazione della lingua albanese accanto al macedone (che diverrebbe la parlata ufficiale solo nelle zone dove la popolazione albanese raggiunge almeno il 20%), la composizione multietnica delle forze di polizia e gli emendamenti costituzionali.
13 agosto viene finalmente sottoscritto dai partiti macedoni e dai rappresentati albanesi un accordo di pace, nel quale le parti si impegnano per la cessione delle ostilità e al completo disarmo volontario dei guerriglieri albanesi. L’accordo riconosce apertamente l’esistenza di una situazione discriminatoria nei confronti della popolazione albanese e, per porvi rimedio, invoca l’adozione di azioni positive mirate a riequilibrare la presenza di rappresentanti albanesi in tutte le amministrazioni pubbliche, nelle scuole e nelle Università, e la loro partecipazione all’elezione dei giudici e degli organi di una repubblica democratica.

25 agosto prende il via la missione della NATO denominata "Essential Harvest" che ha il compito di raccogliere le armi dei guerriglieri dell’UCK. La missione si protrarrà fino al 26 di settembre quando oltre tremila pezzi di arma da fuoco verranno consegnati dai guerriglieri albanesi ai sodati della NATO. Nell’arco di questo periodo, che intercorre tra la metà di agosto e la fine di settembre, proseguono con alcune interruzioni ed intoppi le discussioni riguardanti le modifiche da apportare alla costituzione, di modo che la minoranza albanese possa godere di maggiori diritti. Si preannuncia nel frattempo la possibilità di lanciare una nuova missione NATO denominata "Amber Fox", che impegna un numero minore di uomini, circa un migliaio, con comando a guida tedesca. Il compito della missione è quello favorire la protezione degli osservatori occidentali nel paese, coadiuvandosi con le forze di sicurezza macedoni. Viene ufficialmente disciolto l’Esercito di Liberazione Nazionale.

La crisi in Macedonia, scoppiata all’inizio dell’anno, lungi dal godere di una soluzione stabile e definitiva, versa piuttosto in una piena situazione di stallo. Il periodo che intercorre tra la fine della missione NATO, "Essential Harvest", che ha avuto il compito di raccogliere le armi dei guerriglieri albanesi, sino alla data di pubblicazione di questa cronologia, segna una netta impasse politica, causata dalla difficoltà nell’accettare le modifiche costituzionali, concordate durante gli accordi di Ohrid tra partiti albanesi e macedoni con i rappresentati occidentali. I rallentamenti dei lavori, relativi alla votazione degli emendamenti della costituzione, sono dovuti sia alla riluttanza da parte dei partiti macedoni nell’accettare, quella che da molti viene ancora considerata come una sorta di capitolazione, sia dai partiti albanesi che il 22 ottobre scorso hanno fatto saltare la seduta parlamentare, che avrebbe dovuto dare il via libera alla votazione dei 15 emendamenti. I partiti albanesi, favorevoli alla votazione in blocco di tutti e 15 gli emendamenti, si scontrano infatti con la volontà dei partiti macedoni consistente nel votare uno ad uno gli emendamenti in questione.
Da parte internazionale, la fine della missione sopra indicata, ha coinciso con l’approvazione di un’altra missione (Amber Fox) con finalità differenti, ma che ancora attende la luce verde per poter iniziare i lavori sul campo. L’avvio della nuova missione è infatti subordinato alla votazione parlamentare delle modifiche costituzionali.
Nel frattempo la Macedonia scivola sempre più verso una grave crisi economica. La conferenza dei donatori, prevista per il 15 ottobre, è stata infine prorogata a data da definirsi. Il tasso di disoccupazione ufficialmente è salito al 32 per cento, anche se quello reale dovrebbe essere almeno del 45 per cento. Gli stipendi precipitano, ma le spese militari aumentano, provocando un deficit che raggiunge il 9,2 per cento del PIL. Nonostante ciò il governo macedone continua a prendere accordi con altri paesi, come la Turchia, l’Ucraina, la Jugoslavia e anche la Croazia, per nuove forniture di armi e materiale bellico. Il 28 ottobre il presidente macedone ha incontrato il presidente dell’Ucraina Leonid Kucma, preannunciando che il 30 ottobre il presidente Trajkovski si incontrerà con Putin in Russia. Oggetto dei dialoghi i rapporti di collaborazione in campo tecnico e militare e la lotta all’estremismo albanese.

– Fonti consultate: oltre alle varie agenzie di stampa, quotidiani e settimanali, si è fatto particolare riferimento all’archivio dell’Osservatorio sui Balcani e all’Archivio di Notizie Est.

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