Sunto dell’intervento alla Conferenza "Di-Segnare l’Europa. I Balcani tra integrazione e disintegrazione", Padova 5 maggio 2001.
"Transizione" è una parola che è tornata in uso dopo la caduta del Muro di Berlino, per caratterizzare la cosiddetta transizione post-comunista. Prima di ciò il termine era stato usato per descrivere le transizioni dalla dittatura alla democrazia. Tale parola risulta comunque non ben definita, e di solito ha in sé una certa dose di trionfalismo per la restaurazione del capitalismo occidentale.
Vorrei parlare più dell’integrazione europea all’interno del contesto della globalizzazione, che della sola transizione post-comunista che è veramente un¹espressione limitativa per varie ragioni. Lo è non solo perché il Muro è caduto da entrambe le parti e non solamente da una, ma anche perché la dicotomia della guerra fredda Est-Ovest, Capitalismo-Comunismo, ha ricevuto un colpo e non si può dire che il Comunismo sia fallito da solo: si è rotto l¹intero equilibrio di vasi comunicanti. Il termine ³¹transizione² è limitativo anche perché l¹integrazione dell¹Europa deve essere vista nel quadro più grande della globalizzazione nel suo insieme, sia quella di Davos, sia quella di Porto Algre nel 2001.
Il mio lavoro sul post-colonialismo in alcuni paesi, sulla divisione del subcontinente indiano e sulle divisioni comprate, mi ha convinto che le transizioni post-coloniali assomigliano alle transizioni post-comuniste, o comunque che le difficoltà di sviluppo del Terzo Mondo assomigliano sempre di più a ciò che noi vediamo in alcuni paesi dei Balcani e dell’Europa dell’Est, se non in tutti i paesi dell¹Europa centro-orientale. Possiamo allora imparare qualcosa da quell’esperienza.
Rada Ivekovic – University of Paris-8;