Zona di sicurezza
Il Parlamento turco rinnova l’autorizzazione all’esercito per compiere operazioni nell’Iraq del Nord. La lotta di Ankara contro il Pkk, il bilancio di un anno di interventi nella regione governata da Massoud Barzani
Dopo un anno non è cambiato nulla. Giovedì 9 ottobre il Parlamento turco ha deciso di approvare, a grandissima maggioranza e fra le polemiche, il prolungamento del nulla osta all’esercito per compiere operazioni oltre confine. Lo aveva già fatto il 17 ottobre del 2007 e, per il governo di Recep Tayyip Erdoğan, da sempre contrario all’intervento armato, si trattò dell’extrema ratio, l’ultima spiaggia per impedire il degenerare della situazione. Ma a distanza di un anno, il problema curdo continua a essere una delle spine nel fianco più dolorose per la Turchia, tornato violentemente alla ribalta dopo gli attentati del 3 ottobre a Aktütün e del 9 ottobre a Diyarbakir, nell’Est del Paese a maggioranza curda, dove hanno perso la vita 17 soldati e 6 poliziotti.
È in questa zona che si concentra la guerriglia del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che lotta per la creazione di uno stato indipendente curdo in territorio turco. Le azioni del Pkk non si sono fermate davanti all’impegno del premier turco Recep Tayyip Erdoğan di riconoscere, con la nuova Costituzione, maggiori diritti alla minoranza.
Dopo mesi di mediazione e richiami al buon senso alla fine, nell’ottobre dello scorso anno, anche il premier è stato costretto a cedere e a far votare dal parlamento l’autorizzazione per l’esercito a compiere operazioni militari in territorio nord-iracheno. L’assemblea approvò con 507 voti a favore e appena 19 contrari. Tutti pensavano che, con l’intervento delle forze armate, sarebbe stato possibile colpire le cellule più pericolose del Pkk, circa 4.500 membri, che trovano rifugio nella Regione Autonoma curda del Nord Iraq, guidata da Massoud Barzani, accusato più volte da Ankara di coprire i guerriglieri e dare loro protezione soprattutto nella zona delle alture di Kandil.
Da tempo lo Stato Maggiore chiedeva l’autorizzazione per intervenire via aria e via terra. La votazione creò non pochi problemi con Washington, in un periodo in cui le relazioni con l’alleato americano erano offuscate anche dagli accordi energetici fra Turchia e Iran.
Dopo un anno, la conta dei risultati lascia qualche dubbio. In 12 mesi l’esercito turco è entrato via aerea in territorio nord iracheno decine di volte. Il momento in cui l’azione armata turca si è fatta più sentire è stato nel febbraio scorso, quando 11.000 uomini, fra cui 3.000 dei reparti scelti, hanno fatto irruzione oltre confine per circa 20 chilometri e rastrellato la zona fra i confini iracheno, turco e iraniano. I guerriglieri uccisi furono circa 230.
Da parte turca le vittime si contano a decine. Lo Stato maggiore ha reso noto che, solo nei 38 attacchi più sanguinosi, hanno perso la vita 366 militari della Mezzaluna. Per questo settimana scorsa la Grande Assemblea Nazionale turca ha deciso di rinnovare all’esercito l’autorizzazione ad agire oltre confine. La votazione è passata con la cifra record di 511 voti su 549 deputati, lasciando fuori in pratica solo i parlamentari del Dtp, il Partito curdo per la Società democratica, e alcuni indipendenti.
Un successo quasi insperato per il premier Recep Tayyip Erdoğan. Fino alla settimana prima del voto infatti alcuni quotidiani avevano riportato la notizia che il suo esito era a rischio. I due partiti dell’opposizione, il Chp e l’Mhp (rispettivamente il Partito repubblicano del Popolo e il Partito Nazionalista), avevano fatto sapere che stavano considerando di affossare la votazione, visti gli scarsi risultati ottenuti. I media avevano anche ipotizzato che potesse trattarsi di una sorta di rivalsa nei confronti dell’esecutivo islamico-moderato e della sua politica estera considerata troppo filo-americana.
Se Erdoğan ha evitato di iniziare l’anno parlamentare con un imbarazzante scivolone e con l’incubo di vedere ancora i militari concentrati solo sulle vicende interne del Paese, deve dire grazie alle bombe di Aktütün.
Il clima nel Paese è tornato a farsi rovente e in molte città i cortei funebri dei soldati uccisi si sono trasformati in manifestazioni contro una situazione che il popolo turco non è più disposto a tollerare. E, dall’altra parte, in molti sono preoccupati per la minoranza curda che vive in maniera pacifica e che rischia di essere la prima a pagare per questa nuova ondata di violenza. Non a caso molti politici e intellettuali curdi nel Paese hanno firmato un documento mandato al presidente della Tbmm, il Parlamento turco, Koksal Toptan, nel quale hanno chiesto che non si fermi il processo di democratizzazione del Paese e che soprattutto non si torni indietro sui diritti concessi alle minoranze.
Nei giorni successivi all’attentato di Aktütün l’esercito ha bombardato i territori oltre confine e il premier Erdoğan ha detto senza mezzi termini che la Turchia è pronta a fare una nuova incursione militare di terra nella regione autonoma curda del Nord Iraq, se la situazione lo dovesse rendere necessario.
Secondo gli analisti locali è difficile che questa volta gli Stati Uniti manifestino la propria opposizione alle strategie di Ankara, come fecero un anno fa. Il presidente della Repubblica, Abdullah Gül, si è appena recato a Washington dove, oltre ad aver parlato con George Bush della mediazione che il Paese sta conducendo in Caucaso e Medio Oriente, avrà sicuramente anche toccato il tasto sicurezza interna, soprattutto alla luce dei risultati negativi di questo primo anno di operazioni militari.
Intanto la Turchia potenzia l’industria militare. Lo dimostrano alcuni contratti firmati tanto con la Russia quanto con gli Stati Uniti. L’ultimo in ordine di tempo lo ha siglato con Washington e riguarda l’acquisto di 107 missili a media gittata, che verranno montati sugli F16 turchi, gli aerei utilizzati per i bombardamenti effettuati sul territorio nord iracheno.
Se l’esercito ha ottenuto nuovamente l’autorizzazione a procedere, è ormai chiaro che gli interventi oltre confine da soli non bastano più né a rimuovere né a limitare un problema che ormai è emergenza sociale. In questi giorni l’esecutivo incontrerà lo Stato Maggiore dell’Esercito. Nei corridoi del potere ad Ankara prende sempre più piede l’ipotesi di una zona di sicurezza fra Turchia e Nord Iraq, presidiata militarmente.