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Turchia: spegnere WhatsApp
Con la recente modifica delle condizioni d’uso di WhatsApp, in Turchia il governo ha invitato i cittadini a passare ad altre app di messaggistica. Il controverso invito si inserisce in una lunga e conflittuale relazione tra il potere turco e i social media
La Turchia abbandona WhatsApp, o almeno il governo vorrebbe che i turchi lo facessero. Se l’applicazione di messaggistica più diffusa al mondo scomparirà davvero dai telefonini dei cittadini turchi lo sapremo soltanto dopo l’8 febbraio, ovvero la data entro la quale gli utenti dovranno acconsentire al nuovo aggiornamento dell’informativa sulla privacy per continuare a poter utilizzare il servizio, richiesta che ha fatto molto discutere non soltanto in Turchia, ma anche nel resto del mondo.
Nonostante varie smentite da parte della stessa azienda, secondo molti il nuovo regolamento di WhatsApp rappresenterebbe una violazione della privacy degli utenti e già nelle prime settimane di gennaio, quando le nuove condizioni sono state rivelate, si sono sentiti vari appelli al boicottaggio, tra i più noti quello del CEO di Tesla Elon Musk che ha invitato a passare a Signal.
La Turchia contro WhatsApp
In Turchia il dibattito si è infiammato fin da subito e, andando oltre i toni accesi, le autorità turche hanno deciso di passate ai fatti. A pochi giorni dall’annuncio dei nuovi regolamenti, l’antitrust in Turchia ha aperto un’inchiesta su WhatsApp mentre l’ufficio stampa del presidente Recep Tayyip Erdoğan e quello del ministero della Difesa hanno comunicato che presto le loro comunicazioni ufficiali non sarebbero più state condivise con i giornalisti tramite appositi gruppi WhatsApp (al momento in cui scrivo questi gruppi sono già stati disattivati, nda).
La stampa turca filogovernativa ha rilanciato a gran voce le preoccupazioni riguardo ai nuovi regolamenti, lanciandosi anche in spericolati e divertenti neologismi come “WhatsAppocalypse”. Sui social network in Turchia è diventato molto popolare l’hashtag #WhatsAppSiliyoruz (“#CancelliamoWhatsApp) mentre ha trovato grande spazio sui media la notizia di un virus che si diffonde tramite l’utilizzo dell’applicazione.
Gli appelli a cancellare WhatsApp sono stati condivisi da importanti imprenditori turchi influenti anche all’estero, come il produttore di droni Haluk Bayraktar, mentre in Turchia hanno cominciato ad essere scaricate in massa applicazioni di messaggistica alternative. Secondo la compagnia turca di consulenza per le aziende Gemius, 2 milioni e 300mila utenti in Turchia hanno abbandonato WhatsApp nelle prime due settimane di gennaio e questa tendenza sta continuando. Contemporaneamente, circa 10 milioni di persone hanno scelto di passare ad altre app come Telegram, che in gennaio ha avuto una crescita esponenziale superando i 500 milioni di utenti a livello mondiale.
Passare a BiP, la soluzione peggio del problema?
Per la Turchia c’è però anche un’altra soluzione: si tratta di BiP, un software di messaggistica lanciato nel 2013 e che conta oggi oltre 53 milioni di utenti nel mondo. L’applicazione è sviluppata dalla compagnia di telecomunicazioni Turkcell, una società controllata in parte dal Fondo Sovrano di Turchia (Türkiye Varlık Fonu), istituzione legata al governo di Ankara e fondata dieci giorni dopo il tentato golpe del 2016 con l’obiettivo di rafforzare lo sviluppo delle imprese turche.
In circa sette anni BiP era riuscita a raggiungere 4 milioni di utenti in Turchia. Nelle prime due settimane dell’anno, la cifra è quasi raddoppiata ed è oggi utilizzata da 6 milioni e 868mila utenti.
Ma mentre le autorità turche incoraggiano gli utenti a passare a BiP, sui social network in Turchia si sono diffuse voci preoccupate sulla sicurezza del servizio. Secondo un articolo accademico redatto da alcuni ricercatori turchi, BiP non utilizzerebbe infatti la crittografia end-to-end, rendendo così vulnerabile lo scambio di comunicazioni tra gli utenti.
La Turkcell ha ribadito che il servizio è assolutamente affidabile, garantendo che i dati relativi all’utilizzo di BiP sono archiviati in appositi centri in Turchia in linea con le norme sulla sicurezza e che nessun dato sulle comunicazioni può essere condiviso o analizzato da BiP senza il consenso dell’utente. Nonostante le rassicurazioni, molti reporter in Turchia non hanno gradito la decisione delle autorità turche di rimuovere il gruppo WhatsApp dedicato alle comunicazioni ufficiali del governo e hanno scelto di non iscriversi a BiP, dove questa chat è stata attualmente trasferita.
Le tribolazioni dei social media in Turchia
Il recente dibattito su WhatsApp si inserisce nel più ampio contesto relativo all’utilizzo di internet e dei social media in Turchia. Lo scorso anno, Ankara ha adottato una nuova legge che richiede alle compagnie dei social di aprire uffici legali sul territorio turco e nominare dei rappresentanti locali se vogliono continuare ad operare nel paese. In caso contrario sono previste multe salate e forti limitazioni del servizio.
Da ottobre, quando il provvedimento è stato approvato, le maggiori compagnie dei social non si sono subito adeguate ai nuovi regolamenti e in alcuni casi, come Facebook e TikTok, sono state anche multate. Ultimamente, però, molte tra le maggiori aziende di social hanno però deciso di osservare la nuova normativa, nominando quindi rappresentanti locali e aprendo uffici legali in Turchia. Fanno per ora eccezione soltanto Pinterest e Twitter, che da gennaio hanno pagato la loro scelta con un divieto di pubblicare inserzioni pubblicitarie sulle loro piattaforme.
Se continueranno a non adeguarsi, il governo turco ha previsto per Twitter e Pinterest un taglio della banda di diffusione del 50% in aprile, che potrebbe poi arrivare al 90% in maggio: lo ha comunicato il ministro dei Trasporti turco Ömer Fatih Sayan, che ha anche definito la disobbedienza delle due compagnie alla legge turca come forma di “fascismo digitale”.
Se cinguettare è una sfida
Tra Ankara e Twitter esiste da anni una relazione molto stretta ed estremamente complicata. La Turchia è uno dei paesi al mondo dove questo social network è più diffuso e utilizzato – sesta a livello mondiale con più del 13% degli utenti totali – proprio perché permette la diffusione di informazioni che non trovano spazio, o ne hanno pochissimo, sui tradizionali mezzi di informazione, molto spesso colpiti da censura o addirittura chiusi.
In varie occasioni negli ultimi sei anni, l’accesso a Twitter in Turchia è già stato limitato quando non temporaneamente bloccato e, secondo l’annuale rapporto redatto dallo stesso social network, dal 2012 ad oggi Ankara primeggia nelle classifiche degli stati che richiedono informazioni riguardo agli utenti o chiedono di bloccarli.
Nello stesso periodo Twitter non ha mai assecondato le oltre 5000 richieste di informazioni formulate dalle autorità di Ankara rispetto a più di 10mila utenti diversi. Una posizione di fermezza che il social network ha ribadito col recente rifiuto di adeguarsi alla legislazione turca, ma che appare sempre più difficile da mantenere. Twitter si trova infatti sotto pressione non solo dal governo ma anche, seppur in maniera indiretta, dalla concorrenza degli altri giganti social che hanno deciso di adeguarsi ai nuovi regolamenti, sfuggendo così ai provvedimenti punitivi delle autorità turche.