Turchia: la femminista e il processo kafkiano

La sociologa e attivista turca Pınar Selek è stata assolta per la terza volta dall’accusa di t[]ismo. Ma per lei è già pronto un nuovo ricorso

22/02/2011, Fazıla Mat -

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Pınar Selek da http://pinarselek.fr

Dopo quasi tredici anni e tre assoluzioni, l’ultima confermata lo scorso 9 febbraio, la vicenda giudiziaria della sociologa Pınar Selek non è ancora conclusa. Il suo è l’ennesimo caso della giurisprudenza turca in cui “Il processo” di Kafka sembra trovare la sua perfetta incarnazione. Prove, fatti concreti e pareri di esperti valgono poco o nulla a dimostrare la sua “innocenza”. Come ha affermato l’avvocato della famiglia Dink Fethiye Çetin, “chi ieri si è mosso ‘per dare una lezione’ a Hrant, oggi sta cercando di fare la stessa cosa con Pınar. Ma oggi c’è una differenza rispetto a ieri. Oggi sappiamo come funziona il gioco, e l’assassino l’abbiamo visto”.

La recente vicenda giudiziaria

Lo scorso 9 febbraio si è tenuta l’ultima udienza del processo cui sono stati presenti amici e sostenitori di Selek, rappresentanti di diverse associazioni, scrittori, accademici, artisti, attivisti per i diritti umani, giuristi della Turchia e giunti da diversi Paesi europei, nonché alcuni rappresentanti del Parlamento europeo. Dopo aver ascoltato i suoi avvocati, la dodicesima sezione del Tribunale penale di Istanbul ha ribadito per la terza volta l’assoluzione di Selek dall’accusa di t[]ismo separatista.

Tuttavia, la gioia suscitata dalla notizia è durata poco, perché due giorni dopo il procuratore della Repubblica Nuri Mehmet Saraç ha presentato un ricorso contro la decisione. Ora la sentenza verrà riesaminata dal Consiglio penale generale della Cassazione, che l’anno scorso aveva chiesto che Pınar Selek venisse processata raccomandando la pena dell’ergastolo. Si tratta di una fase estremamente critica perché se il Consiglio, anziché approvare il giudizio di assoluzione, decidesse per l’avvio di un nuovo processo, il Tribunale penale, questa volta, non avrebbe più la facoltà di ribadire la sentenza di proscioglimento.

Chi è Pınar Selek?

Quando Pınar Selek fu arrestata nel 1998 aveva 27 anni. Nel periodo precedente l’arresto aveva cominciato ad occuparsi della marginalizzazione all’interno della società turca di transessuali, bambini di strada e prostitute mettendo in piedi un laboratorio artistico dove “le persone che la società aveva buttato nella pattumiera, raccoglievano i rifiuti e li trasformavano in creazioni artistiche”. “Stava con loro, spiegava ai bambini che rubavano che quei soldi erano sporchi e consigliava loro di bruciarli” racconta Ali Akay, professore di Selek e presidente del dipartimento di sociologia alla Università Mimar Sinan di Istanbul. “Ritenevo che come i dottori, anche i sociologi dovessero essere in grado di curare le ferite sociali. Dopo aver completato la mia tesi sull’esclusione dei travestiti dalla società”, spiega Selek, raccontando come fosse nata l’idea del laboratorio, “non potevo dire ‘ho preso quello che mi serviva’ e lasciarmi alle spalle quelle persone di cui avevo condiviso i problemi. E non l’ho fatto”.

Ritenevo che come i dottori,

anche i sociologi

dovessero essere in grado

 di curare le ferite sociali

Pınar Selek

La persecuzione

Pınar Selek fu arrestata dalla polizia l’11 luglio del 1998, due giorni dopo l’esplosione del Mercato delle spezie di Istanbul dove morirono 7 persone e ne furono ferite 127. Femminista votata all’antimilitarismo, negli ultimi anni ‘90, in uno dei periodi di scontri più intensi tra il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e le forze armate turche, Selek aveva condotto una ricerca in cui cercava di capire le dinamiche che avevano spinto il PKK ad optare per la violenza nella loro lotta di indipendenza, e per questo aveva intervistato anche diversi membri del partito. Una scelta di gran coraggio, che le valse l’accusa di far parte del PKK.

Dopo l’arresto fu interrogata e sottoposta a pesanti torture per farle firmare una confessione, ma non rivelò nessuno dei nomi dei curdi che avevano parlato con lei. Nel testo di difesa che ha presentato al processo nel 2006 racconta: “Ho presente solo vagamente come mi portarono in carcere, e poi alla procura. Ma ricordo molto bene che volevo liberarmi al più presto di quelle persone. Perché era evidente l’assurdità delle accuse che mi venivano rivolte. Ero sicura che tutto sarebbe venuto alla luce (…). Ma le persone che avevano ordito il complotto erano testarde. Dopo un mese che mi trovavo in carcere, mentre pensavo che presto sarei uscita, ho visto la mia immagine alla televisione. La trama si stava allargando e io ne ero diventata la protagonista. Una bomba aveva causato l’esplosione del Mercato delle spezie. E Pınar era quella che aveva sistemato la bomba”.

Abdülmecit Öztürk, un ragazzo curdo imputato a sua volta per l’esplosione del mercato, aveva infatti dichiarato sotto tortura di aver sistemato assieme a Pınar Selek una bomba che aveva causato l’esplosione. La dichiarazione di Öztürk, che ha successivamente smentito di conoscere Pınar (ed è stato assolto in via definitiva) è stato l’unico elemento utilizzato dai procuratori per collegare Selek all’episodio del mercato, ma considerato sufficiente per unire la precedente accusa (far parte del PKK) con quella nuova dell’attentato. Anche in questo caso però i rapporti di numerosi periti ed esperti hanno stabilito che la dinamica dell’esplosione non era assolutamente collegabile ad una bomba, mentre era molto probabile che si fosse trattato di una fuga di gas. Grazie a tali perizie, dopo due anni e mezzo di detenzione, nel 2000, il tribunale ha deciso di rilasciare Pınar.

Tuttavia a partire dal 2002 è iniziata una nuova fase in cui le decisioni di assoluzione per mancanza di prove prese dal Tribunale penale, sono state più volte contestate dal procuratore della Repubblica Nuri Mehmet Saraç e annullate (nel 2008 e nel 2009) dalla nona sezione penale della Cassazione. Fino ad arrivare all’ultima assoluzione del 9 febbraio scorso, per il quale il procuratore Saraç ha presentato un nuovo ricorso.

“In un processo giuridico nessuno è tenuto a dimostrare che è innocente. Sono il procuratore e il tribunale a dover provare che sei colpevole”, ha commentato l’avvocato della causa Yasemin Öz sul ricorso del procuratore Saraç. “Quando si insiste per infliggere una pena, anche quando si è provata l’innocenza di una persona, è segno che il processo non è più giuridico, ma politico”.

La forza delle donne

Le vicende che Pınar ha dovuto sopportare in questi lunghi anni sono state affrontate da lei con una grande forza e mai vittimismo, con la consapevolezza che in Turchia ci sono molte altre persone come lei, oppressi da“processi kafkiani”, ma privi di mezzi per far sentire la propria voce. E così ha continuato a lavorare per far sentire quelle voci.

Nel 2001, dopo esser uscita dal carcere, assieme ad altre femministe ha fondato l’ “Accademia delle donne Amargi ” (Amargi Kadın Akademisi) una cooperativa dove si organizzano corsi, si lavora per incrementare il livello di consapevolezza tra le donne e per supportare le donne vittime di violenza. Al centro del loro impegno anche la risoluzione del conflitto turco-curdo, dove il tentativo è quello di radicare il pacifismo nel movimento delle donne.

Nel 2009 l’associazione di scrittori PEN Turchia, le ha assegnato una borsa di studio con cui è partita per Berlino per fare delle ricerche e ora si trova lì. Non si sa cosa deciderà il Consiglio generale della Cassazione sul suo caso. Ma come hanno scritto le donne dell’Amargi in sostegno della loro amica, “Pınar Selek dimostrando il miracolo della solidarietà, ci ha fatto scoprire la forza nascosta in una singola persona. Oggi, nel sostenere Pınar scopriamo anche noi la nostra forza di fronte alla disperazione che ci viene imposta”.

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