Turchia e COVID19: si svuotano le carceri, ma non per gli oppositori
Con una contestata riforma giudiziaria la Turchia svuota le carceri durante l’epidemia di COVID19: ma se gli oppositori del presidente Erdoğan restano dietro le sbarre, personaggi legati all’estrema destra come Alaattin Ҫakıcı tornano in libertà
Una controversa riforma, votata d’emergenza per svuotare le carceri sovraffollate: è questo, in Turchia, uno degli effetti della crisi provocata dalla pandemia di coronavirus. Poco dopo la morte per COVID-19 di 3 detenuti su un totale di 17 contagiati – registrata lo scorso 13 aprile – il parlamento di Ankara ha approvato un nuovo regolamento sull’esecuzione penale, proposto dal partito di governo AKP del presidente Erdoğan, che permette a circa 90mila carcerati di uscire di prigione prima dei termini di condanna.
Di questa riduzione possono beneficiare i detenuti che abbiano già scontato almeno metà della pena, mentre chi verrà condannato per reati commessi entro il 30 marzo non finirà in carcere, ma sarà costretto alla libertà vigilata. Non tutti i carcerati possono però avvalersi degli sconti di pena: la riforma esclude infatti i prigionieri in attesa di giudizio e quelli condannati per reati relativi a traffico di droga, omicidi premeditati, abusi sessuali e violenza su donne e bambini.
Resta in carcere anche chi è stato condannato per reati relativi al t[]ismo, ed è su questo punto che le critiche dei partiti di opposizione e delle associazioni per i diritti umani si sono concentrate.
Gli oppositori restano in carcere
Se il provvedimento allevia indubbiamente il dramma del sovraffollamento nelle carceri in Turchia – dove prima delle legge erano recluse quasi 300mila persone in strutture con una capienza nettamente inferiore – la riforma ha ricevuto numerose critiche ed è stata approvata, il 14 aprile, dopo una dura battaglia parlamentare.
Le formazioni politiche contrarie, come anche molte associazioni di avvocati, contestano il fatto che l’ampia definizione di “reati per t[]ismo” costringerà a restare in prigione anche molti giornalisti, intellettuali e politici critici del governo che negli ultimi quattro anni sono stati incarcerati con l’accusa di vicinanza ad organizzazioni t[]istiche.
Si tratta di qualche centinaio di persone, tra cui spiccano nomi noti anche a livello internazionale come quello dello scrittore e giornalista Ahmet Altan, dell’uomo d’affari impegnato politicamente a favore delle minoranze Osman Kavala e dell’ex co-presidente del partito filo curdo HDP – il “Partito Democratico dei Popoli”, la terza forza politica più rappresentata nel Parlamento turco – Selahattin Demirtaş.
Secondo i critici, queste persone sono in realtà in prigione a causa di opinioni politiche critiche nei confronti di Erdoğan e non per i reati di t[]ismo per cui sono stati condannati. Sarà questa una delle motivazioni che il socialdemocratico Partito Repubblicano del Popolo (CHP), principale partito di opposizione, porterà nei prossimi giorni davanti alla Corte Costituzionale nel presentare ricorso contro la riforma.
La controversa scarcerazione di Alaattin Ҫakıcı
Il provvedimento ha lasciato dunque in carcere molti dissidenti, tra cui 101 giornalisti , ma ha riportato in libertà personalità di spicco di diverso orientamento politico come Alaattin Ҫakıcı , nome legato alla criminalità organizzata, già condannato per numerosi omicidi, protagonista di rocambolesche fughe di prigione e autore di azioni criminali che ricordano i film polizieschi italiani anni ‘70, tanto amati da Quentin Tarantino.
La sua vita non è però una pellicola cinematografica e ha drammaticamente scolpito gran parte della politica turca degli ultimi quarant’anni. Ҫakıcı è noto non solo per essere una figura di peso nel crimine organizzato: a partire dal 1987 è stato utilizzato dai servizi segreti turchi per guidare operazioni in incognito contro gruppi armati di sinistra o filo-curdi e il suo nome è fortemente legato all’estrema destra in cui ha militato fin dalla gioventù.
Per questo non stupisce che nel 2018 sia stato visitato in carcere da Devlet Bahçeli , il leader del Partito del Movimento Nazionalista di Turchia (MHP), principale alleato in Parlamento del partito del Presidente Erdoğan AKP. All’epoca Bahçeli si espresse fortemente a favore del rilascio di Ҫakıcı, citando le sue deboli condizioni di salute, ma anche affermando che “la sua lotta per la patria è riconosciuta dallo Stato”.
Il rilascio di personalità come quella di Alaattin Ҫakıcı mostra come la riforma sull’esecuzione penale sia motivata dall’emergenza coronavirus, ma celi anche trame politiche che riguardano gli equilibri del potere in Turchia. La visita che Ҫakıcı ricevette in carcere da parte di Bahçeli nel 2018 arrivò infatti a pochi mesi dalla formazione della Cumhur İttifakı, un’alleanza a scopi elettorali tra il partito di estrema destra nazionalista MHP di Bahçeli e l’AKP di Erdoğan.
Il rilascio del leader della criminalità organizzata era evidentemente una delle richieste che l’estrema destra faceva ad Erdoğan in cambio di un sostegno che c’è stato e si è anche rivelato vincente dal punto di vista elettorale. La scarcerazione di Alaattin Ҫakıcı, e di altri detenuti vicini all’estrema destra del MHP, arriva però soltanto ora, a quasi due anni da quella visita in carcere e dopo essere stata rimandata più volte perché non particolarmente gradita all’elettorato islamista del presidente turco.
Matrimonio a destra per Erdoğan
L’AKP di Erdoğan non è un partito di estrema destra ma una formazione ispirata all’islam politico che per anni ha raccolto ampi consensi anche da parte dell’elettorato liberale e da molti curdi di orientamento conservatore. Un partito politico che per più di un decennio si è opposto al nazionalismo, tipico di formazioni dell’estrema destra come il MHP. Oggi, a quasi 20 anni dalla sua fondazione e dal suo primo successo elettorale, la situazione è radicalmente cambiata.
Molti dei fondatori hanno lasciato per divergenze con Erdoğan. Tra questi, vi sono nomi altisonanti come Abdüllah Gül, ex presidente della Repubblica nominato dall’AKP nel 2007, Ahmet Davutoğlu, lo stratega della politica estera di Erdoğan, che ha formato nel 2019 un nuovo partito politico islamista (Gelecek Partisi, il Partito del Futuro) e Ali Babacan, ex vice primo ministro con delega all’economia negli anni d’oro della crescita economica in Turchia, anch’egli fondatore di un nuovo partito in opposizione a Erdoğan, il DEVA Partisi (Partito della Soluzione) di orientamento liberale.
La forte influenza del partito nazionalista MHP sulla riforma dell’esecuzione penale appena approvata dimostra come il presidente turco abbia oggi un forte bisogno dell’estrema destra per riuscire a governare. Quella tra AKP e MHP è un’alleanza che ha certamente aiutato Erdoğan a vincere nelle consultazioni politiche e presidenziali del 2018. Nello stesso tempo, ha anche contribuito a frantumare il consenso verso il presidente turco da parte dell’elettorato islamista e conservatore, portando alla fuoriuscita di molti membri fondatori dell’AKP e anche probabilmente anche alla sconfitta nelle elezioni municipali del 2019 per i candidati sindaci del partito di Erdoğan ad Ankara e Istanbul.
La mobilitazione internazionale
Per chiedere l’estensione dei benefici ai detenuti politici e ai giornalisti, OBCT ha sottoscritto un appello promosso da Article 19 cui hanno aderito più di 20 ong attive nella difesa dei diritti umani. Ma come è avvenuto in altri casi, non si è registrata alcuna reazione da parte del governo turco.