Turchia, bombe e censura
Il recente attentato nel cuore di Istanbul ha riportato alla ribalta la questione della violenza politica in Turchia, ma anche riproposto in modo drammatico le limitazioni all’accesso ad un’informazione libera nel paese causate dalla nuova "legge sulla disinformazione"
Nel pomeriggio di domenica 13 novembre, una bomba è esplosa in un affollato viale pedonale nello storico quartiere Taksim di Istanbul, provocando sei vittime e ferendo più di 80 persone. Mentre la Turchia vacillava alla notizia, i cittadini faticavano anche a trovare informazioni attendibili sull’accaduto.
In Turchia le persone si rivolgono spesso ai social media per informazioni rapide e dal campo in situazioni di crisi. Tuttavia, l’accesso a piattaforme come Twitter, Instagram e Facebook è stato temporaneamente limitato con una tecnica nota come "throttling" che fa sì che questi siti si carichino lentamente o non si carichino affatto. Non andava meglio a chi sperava di saperne di più dai principali canali televisivi, poiché l’organo di monitoraggio dei media turchi, noto come RTUK, ha emesso un divieto temporaneo di trasmissione sull’argomento dell’attentato. Tutto ciò avviene dopo che la Turchia ha approvato una controversa legge nota colloquialmente come "legge sulla censura", descritta dal governo come una legge contro la disinformazione.
Il post-attentato offre uno squarcio su come sarà la libertà di stampa, parola e informazione in questa nuova atmosfera normativa mentre la Turchia va nuovamente verso le elezioni.
“Tutti pensano la stessa cosa ma nessuno può scriverla”
Una frase inquietante è diventata virale sui social media sulla scia dell’esplosione a Taksim: "Tutti pensano la stessa cosa ma nessuno può scriverla".
Fresco nella memoria di molte persone è il sanguinoso periodo di attacchi t[]istici ed esplosioni che la Turchia ha vissuto nel 2015-2016, ma soprattutto nel periodo tra le politiche del giugno 2015 e il novembre 2015. Questo periodo ha visto uomini con armi automatiche attaccare l’aeroporto Ataturk di Istanbul e bombe esplodere in tutta Istanbul e Ankara.
Alcuni di questi attacchi erano compiuti da militanti dello Stato islamico e altri dal fuorilegge Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Tuttavia, per troppi in Turchia gli attacchi t[]istici sono ormai saldamente associati alla stagione elettorale. Questo è probabilmente ciò che molti pensavano, ma non potevano dire poiché il paese è stato nuovamente colpito dal t[]ismo dopo che per sei anni non ci sono stati attacchi così gravi ai civili.
Ma perché così tante persone esitavano ad affermarlo ad alta voce? Secondo l’ultimo rapporto di Freedom House sulla libertà di parola nel mondo, la Turchia rientra nella categoria dei "non liberi". Lo scorso anno si è anche classificata al 153esimo posto su 180 nel World Press Freedom Index di Reporters Without Borders.
Dopo la “legge sulla disinformazione” e con le elezioni fissate per il 2023, la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente, come sostiene Lisel Hintz, Assistant Professor in Relazioni internazionali presso la Johns Hopkins University.
"Possiamo vedere la legge sulla disinformazione nel contesto della corsa alle elezioni come uno sforzo del governo per criminalizzare i resoconti critici, per criminalizzare le persone che condividono post sui social media, che si lamentano dell’inflazione, che si lamentano delle politiche del governo", ha affermato Hintz in una recente intervista .
“Diffusione pubblica di informazioni false”
Il disegno di legge sulla disinformazione, ratificato dal parlamento turco il 18 ottobre, codifica un nuovo reato: “Diffusione pubblica di informazioni false”. Coloro che commettono questo reato possono essere incarcerati fino a tre anni, o anche di più se le "false informazioni" sono condivise da un account di social media anonimo. Non solo i giornalisti, ma qualsiasi utente di social media può essere accusato di questo crimine.
Uno dei maggiori problemi sottolineati dai critici della legge è che manca una precisa definizione di "disinformazione" o "falsa informazione", quindi spetta ai tribunali decidere cosa sia vero e cosa no. Ciò avviene nel paese classificato dal World Justice Project al 116° posto su 140 in tutto il mondo in termini di stato di diritto e indipendenza della magistratura.
Le organizzazioni dei media sia in Turchia che all’estero hanno avvertito che questa nuova legge amplierà la censura, avrà un effetto paralizzante sul dibattito pubblico e criminalizzerà ulteriormente il giornalismo, proprio quando la Turchia si avvia verso elezioni storiche.
Come spiega lo studioso di diritto Kerem Altiparmak , ai sensi di questa legge affermare che l’inflazione in Turchia è ad un tasso più elevato rispetto alle statistiche statali può essere motivo di per arresto, ad esempio. Oppure, se qualcuno dichiara pubblicamente di aver subito violenze da parte della polizia, ma i tribunali dichiarano che ciò non è vero, può andare in prigione.
Dopo l’attentato di Taksim, questi scenari non sono ipotetici, ma reali. 25 utenti di social media sono stati identificati per post “mirati a diffondere paura e panico tra i nostri cittadini” secondo una dichiarazione del 13 novembre del Dipartimento per la lotta ai crimini informatici sotto la Direzione generale della sicurezza.
Nessun accesso a informazioni vitali
Il divieto di trasmissione e la limitazione di Internet hanno fatto sì che dopo i bombardamenti le persone in Turchia, comprese quelle nell’area direttamente colpita, non fossero in grado di accedere a informazioni vitali. Se è vero che le informazioni false possono mettere i cittadini in ulteriore pericolo, alcuni sostengono che questi divieti mettono le persone in balìa di fonti di informazioni ancora meno attendibili.
Un riferimento per cercare di prevedere come andrà a finire la "legge sulla disinformazione" sono gli effetti della precedente legge sui social media approvata nel 2020. Questa richiedeva ad aziende come Facebook e Twitter di aprire uffici locali e soddisfare le richieste del governo pena l’esclusione dal mercato turco. Secondo l’Associazione indipendente per la ricerca sui media (Medya Araştırmaları Derneği), nei primi sette mesi dopo l’approvazione della legge, la Turchia ha ordinato la rimozione di 658 post o notizie. La maggior parte riguardava corruzione o irregolarità tra uomini d’affari, ministri o burocrati di alto livello.
Resta da vedere se la nuova legge sulla disinformazione funzionerà in modo simile alla legge sui social media del 2020. Tuttavia, svolgerà la sua vera funzione solo se perseguirà le informazioni pericolosamente false, sia nei media indipendenti che nei canali filo-governativi, senza mostrare pregiudizi.
Fino ad allora, le restrizioni in Turchia continueranno a limitare la possibilità dei cittadini di accedere alle informazioni nei momenti critici. Tuttavia, le persone trovano sempre un modo per comunicare, anche se attraverso sussurri o cose non dette.