Parola d’ordine: laicità e unità nazionale

Laicità e democrazia in Turchia, il ruolo dei militari, i rapporti con l’UE, la questione delle minoranze, la libertà di culto, sono solo alcuni dei temi affrontati in questa nostra intervista con la Prof. ssa Nur Serter, candidata alle prossime elezioni per il Partito Repubblicano del Popolo

01/06/2007, Fabio Salomoni - Istanbul

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Nur Serter

La Prof.ssa Nur Serter, economista, è la vice-presidente dell’Associazione per il pensiero di Atatürk (ADD) che ha promosso le manifestazioni delle scorse settimane in difesa della laicità e contro la candidatura alla presidenza della Repubblica del ministro degli Esteri Abdullah Gül

Perché la decisioni di organizzare le manifestazioni in difesa della laicità?

In realtà è stata la gente a sentire l’esigenza di queste manifestazioni, noi l’abbiamo semplicemente sostenuta. E’ la situazione in cui si trova attualmente la Turchia ad aver creato le condizioni per queste manifestazioni, ed in particolare il partito al potere AKP, che minaccia sia la laicità della repubblica che l’egemonia nazionale. Di fronte a queste minacce la gente ha reagito..

E qual è il ruolo delle forze armate in questa crisi?

Le forze armate non hanno avuto nessun ruolo nelle manifestazioni. Per quanto riguarda il comunicato comparso nel loro sito internet io non lo chiamo muhtira (parola che indica il documento che segna la presa dei potere dei militari, nda.) ma avvertimento. Un avvertimento che non rappresenta nessuna minaccia per la democrazia. Al contrario, le forze armate lanciano di tanto in tanto questi avvertimenti per rafforzare la democrazia. Il 27 febbraio 1997 lo hanno fatto per la democrazia (l’avvertimento dei militari provocò le dimissioni del capo del governo Erbakan, leader del partito islamico, nda). Se non l’avessero fatto allora, adesso non vivremmo nello stesso sistema democratico. Quando la laicità o l’unità nazionale sono in pericolo, le forze armate turche di tanto in tanto lanciano avvertimenti. In Turchia non esiste più nessuna possibilità che i militari prendano il potere, non è possibile. Invece di dare ascolto a chi grida alla minaccia per la democrazia, si dovrebbe chiedere conto a chi governa il paese, a chi non ha cercato nessun compromesso. E adesso la gente si è fatta consapevole e quindi non c’è più bisogno dell’intervento dei militari. Per la prima volta si è detto che esiste la società civile.

Secondo lei è realistico il pericolo dell’irtica (la reazione religiosa, nda.)?

Certo bisogna precisare quali sono i confini dell’irtica, discutere cosa s’intende per irtica. In Turchia attualmente irtica è un movimento che vuole portare indietro il paese dal punto di vista della civiltà, dei diritti umani e della democrazia. Ci stiamo avvicinando a questa situazione. Lei mi potrà contestare dicendo che l’AKP ha fatto nuove leggi per i diritti umani, per la democrazia, in accordo con la legislazione dell’Unione Europea. Io le rispondo che il partito AKP non è sincero nell’applicare queste riforme perché il premier Erdoğan ha detto tempo fa che la democrazia non è un fine ma un mezzo per raggiungere i suoi obbiettivi. Questa persona usa la democrazia per distruggere la laicità, per rifondarla utilizzando una società neo-religiosa. Soprattutto l’infiltrazione degli elementi vicini al partito nell’amministrazione pubblica, in particolare nel ministero dell’Educazione Nazionale. Oppure le scuole private che sono nelle mani delle confraternite religiose.

Passo per passo la Turchia utilizzando la democrazia scivola indietro.
Il secondo pericolo è rappresentato dall’egemonia nazionale che, con le leggi fatte firmare dall’Unione Europea, sta scappando dalle mani del paese. In Turchia ci sono due argomenti molto sensibili: la laicità e l’unità nazionale. A questo proposito l’atteggiamento del governo rappresenta una minaccia. Ad esempio lei mi parlerà dei diritti culturali, dei diritti delle minoranze. Bene, le leggi fatte firmare alla Turchia hanno lo scopo di frantumare e smembrare l’unità nazionale. Ad esempio gli aleviti non sono mai stati una minoranza. Io ad esempio ho scoperto che il portiere del mio palazzo e la donna di servizio erano aleviti solamente dopo vent’anni di conoscenza. Noi viviamo come una famiglia. A scuola abbiamo avuto compagni di banco dei quali non conoscevano l’origine etnica o religiosa, tutti quelli che vivono in Turchia, qualunque sia la loro appartenenza etnica, vivono insieme senza discriminazioni.
Adesso si sta costringendo la Turchia, con la scusa dei diritti culturali, attraverso le leggi che ha firmato a riconoscere queste discriminazioni.

Gli aleviti tradizionalmente sono una componente importante dell’elettorato del CHP. Il partito prevede di venire incontro alle loro numerose rivendicazioni?

Certo hanno richieste diverse. Dalla riforma del Direttorato per gli Affari Religiosi al riconoscimento delle cemevi (edificio in cui pregano gli aleviti, nda) come luoghi di culto, rivendicazioni legittime. Il problema della Turchia è che non si riconosce l’Alevismo come una confessione diversa all’interno dell’Islam ma come un gruppo culturale musulmano, questa è la posizione ufficiale del Direttorato. Per risolvere i problemi degli aleviti c’è bisogno di un paese veramente laico, che elimini ogni discriminazione.
Il Direttorato deve rimanere ma deve essere ripensato in modo che rispetti tutte le religioni e le confessioni del paese.

Bisogna ridefinire il concetto di laicità?

Assolutamente no, è chiaro, lo stato deve essere totalmente indipendente dalle religioni.

Ma in Turchia lo stato controlla la religione…

Sì, sì, ma se in Turchia introducete la regola per cui lo stato non si deve immischiare nelle questioni religiose, in breve tempo il paese si trasformerà nell’Iran.

Spesso si porta ad esempio l’Iran, è una possibilità realistica?

Certo, la Turchia è un paese diverso ma l’Iran è un grande paese, con una grande tradizione statuale, una cultura ricca, è uno dei paesi più importanti del Medio Oriente. Cosa è successo all’Iran?
Perché all’improvviso tutto è cambiato ed è venuta alla ribalta la religione?
Per queste ragioni la Turchia non può stare tranquilla. La Turchia, soprattutto negli ultimi quattro anni sta scivolando verso uno stile di vita "islamico illuminato". Guardate i programmi televisivi, i telespettatori chiedono ad un imam se il trapianto di organi o la chirurgia estetica sono ammessi dalla religione, è l’imam che decide.

Ma non è normale che anche la religione sia un riferimento per la vita degli individui?

Ma esiste una cosa chiamata scienza, la ragione, io posso pianificare la mia vita secondo le mie convinzioni ma se, quando mi rivolgo alla società, faccio riferimento alla religione, io rendo di nuovo la società una società religiosa. Esiste la scienza, ci sono professori e scienziati che parlano. Invece è la religione che rappresenta il principale riferimento nella società, ad esempio nel dibattito sui trapianti d’organi. Vent’anni fa non era così. L’Islam è una religione che si mescola alle cose della politica, che fonda il diritto, che si immischia nelle questioni familiari, diversamente da quanto accade nel cristianesimo. In questo paese Atatürk ha fatto una riforma religiosa, ha introdotto leggi moderne al posto di alcuni riferimenti religiosi. Ma il Corano non permette questi cambiamenti. E neanche i fanatici religiosi, questo è il problema della Turchia. Quello che l’Occidente non vuole capire è che in Turchia la laicità è il fondamento della democrazia, senza laicità non c’è democrazia.

E della questione del velo, le studentesse per lei possono entrare all’università velate?

No, non possono. Le donne con il velo non possono lavorare nell’amministrazione pubblica e non possono studiare all’università.

Ci sono delle decisioni della Corte costituzionale a questo proposito. Nel passato c’erano alcune studentesse velate ma con il tempo si sono moltiplicate politicizzando la questione. Abbiamo visto studentesse cominciare l’università a capo scoperto e poi laurearsi con il capo coperto. Il velo è un simbolo dell’Islam politico come in Iran e Algeria.

Alcune ragazze con cui ho parlato mi hanno raccontato che quando hanno deciso di togliersi il velo hanno perso le borse di studio, perché molte studentesse hanno un sostegno economico se si mettono il velo. Ed i politici hanno utilizzato questo simbolo ed anche le ragazze che lo portano.
Credo quindi che non si debbano usare simboli religiosi nelle università ed a questo proposito c’è anche una decisione della Corte Europea per i Diritti Umani.

E la moglie del Presidente della Repubblica può portare il velo?

Dal punto di vista legislativo, la presidenza della repubblica rappresenta la Turchia e la Turchia è una repubblica laica, non un paese della sharia. Non si può rappresentare la donna turca con il velo. I valori moderni, non il velo, sono un simbolo per la donna turca. La Repubblica ha riconosciuto i diritti alle donne e non il velo. Per queste ragioni le persone, comprese i loro coniugi, che rappresentano la Turchia devono avere un’immagine che rappresenti la nostra repubblica. Certo, non esiste una legge che lo imponga, è solo il mio punto di vista.

L’attualità propone l’attentato di Ankara. Nell’ultimo anno sono stati molti gli episodi di violenza, qual è la sua valutazione?

Certo il terrorismo è sempre una minaccia per il paese perché è fomentato dall’esterno. Ci saranno altri episodi simili, non bisogna esagerare, pensare che il paese sia in balia del terrorismo, no. Due-tre persone se vogliono possono compiere azioni simili, succede in tutto il mondo. Ma per poter colpire il terrorismo il paese ha bisogno di seri programmi economici rivolti al Sud-Est del paese per seccare le radici economiche del terrorismo.

Secondo lei esiste una questione curda?

In Turchia non si deve fare la distinzione tra turchi e curdi. Noi non abbiamo mai fatto discriminazioni rispetto alle origini etniche. Siamo tutti turchi, siamo tutti cittadini della repubblica turca. Gli squilibri regionali però fomentano le discriminazioni etniche. Anche nell’Anatolia centrale ci sono persone molto povere ma non ci sono rivendicazioni di tipo etnico mentre nel sud-est sono fomentate dall’esterno. La Turchia deve risolvere questo problema. L’Unione Europea parla di diritti culturali, ma lei ha mai visto un folclore ricco come quello turco?

Le ricchezze culturali finora hanno potuto vivere in Turchia, esistono, e invece si presenta il paese come se queste cose non ci fossero, come se fossero represse. Le persone di là hanno sempre parlato la loro lingua, altrimenti la loro lingua non esisterebbe ora. Se oggi ci sono milioni di persone che parlano curdo significa che non c’è stata questa repressione. Dire il contrario, ingannare le persone e metterle contro lo stato, è la cosa peggiore che si possa fare a questo paese. Turco, curdo, circasso, siamo tutte persone che vivono e hanno vissuto liberamente in questo paese, abbiamo potuto beneficiare dei vantaggi dell’istruzione, siamo arrivati in parlamento.

Se è stato eletto come presidente della Repubblica un curdo (Turgut Özal rivendicava origini curde da parte materna, nda.) di quale discriminazione parliamo? Le persone con l’amore reciproco, sostenendosi a vicenda devono superare queste difficoltà, noi ci vogliamo bene. Hanno introdotto nel paese il terrorismo come elemento di destabilizzazione ma noi lo cacceremo fuori.

Lei è candidata alle prossime elezioni per il Partito Repubblicano del Popolo (CHP). Secondo lei cosa si deve fare per aumentare il ruolo delle donne nella politica?

In realtà io non ho mai guardato alla politica nei termini donne-uomini. Forse le donne me ne vorranno ma secondo me chi è più bravo deve fare politica, uomo o donna che sia. L’importante è non tagliare la strada alle donne, se sono loro ad essere le più brave. Prendo molto sul serio il ruolo della donna in politica ma non credo che abbia un ruolo diverso da quello dell’uomo. Devono partecipare con uguali diritti. Non mi piace per niente l’idea di avere in politica una quota riservata alle donne nelle liste elettorali. Non vorrei che si accettassero donne in politica solo per il fatto che sono donne ma perché possono dare un contributo reale.

Secondo lei il CHP è un partito socialdemocratico?

Sì lo è ma viviamo in un periodo, in Turchia e nel mondo, in cui ogni cosa deve essere ripensata. Socialdemocratico, sinistra, centro. La politica del CHP mira a rigenerare lo stato sociale, la lotta alla povertà, l’eguaglianza nella ridistribuzione della ricchezza, a riformare il sistema scolastico. Sono progetti nell’ottica socialdemocratica e quindi si tratta di un partito socialdemocratico.

Per quanto riguarda il processo di democratizzazione?

Certo, sostiene la democratizzazione ma soprattutto il partito è molto sensibile al tema della laicità e dell’unità nazionale. Personalmente però credo che in Turchia si debba rivedere seriamente la questione della democratizzazione. Che cos’è questa democratizzazione? Dietro questo concetto ci sono altri obbiettivi? È un mezzo per consolidare il liberismo? Uno strumento per diffondere la globalizzazione? Io credo che siano tutte cose da discutere. Secondo me viviamo in un mondo in cui è il capitale globale a trarre i maggiori vantaggi dalla democrazia, dai diritti, dalle libertà.

Quale sarà secondo lei il problema più urgente che dovrà affrontare il nuovo parlamento?

A parte l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, la disoccupazione credo sia molto importante. Potrebbe portare ad una esplosione sociale, e poi ha legami con il terrorismo, la criminalità urbana. Bisogna fare passi concreti contro la disoccupazione.

Possiamo fare previsioni sui risultati delle elezioni?

Ci sono molti sondaggi che danno risultati contrastanti. Personalmente non credo che l’AKP avrà la possibilità di essere di nuovo il solo partito al governo. Credo che avrà il 25% dei voti al massimo. Il CHP-DSP (Partito Democratico di Sinistra, i cui candidati si presenteranno sotto il simbolo del CHP, nda) prenderanno più voti, credo che questa alleanza possa anche superare i voti dell’AKP, arrivare anche al 30%, tutte le sorprese sono possibili. Certo anche in questo caso non potrà essere l’unico partito di governo e penso che sia il MHP (Movimento di Azione Nazionale) il partito con il quale potrebbe più facilmente formare una coalizione.

Il quarto partito che entrerà in parlamento sarà il Partito Democratico (DP) che vedo più disponibile ad un’eventuale coalizione con l’AKP. Saranno quattro i partiti che supereranno lo sbarramento del 10%. Poi c’è l’incognita del Partito Giovane (GP), si dice che ce la farà ma io non ci credo.

Ed i candidati indipendenti del DTP (Partito della Società Democratica, filocurdo, nda)?

Certo, penso che otterranno una ventina di deputati e potranno creare un loro gruppo parlamentare.

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