La Turchia verde, giusta e pacifica: scorci da Bozcaada
A Bozcaada ormai da nove anni, in autunno, si tiene un festival del documentario ecologista. Un’iniziativa culturale che crea comunità e che è di importanza cruciale nel clima repressivo della Turchia di oggi. Vi siamo stati dal 12 al 16 ottobre scorsi
“Bozcaada”, in turco, significa “isola non coltivabile”. In greco, quest’isola si chiama Tenedos. Arrivare a Bozcaada è una piccola esperienza. Siamo un gruppo di amici, turchi e italiani, e sulla strada da Istanbul a Bozcaada parliamo del Mar Egeo. Qualcuno di noi non c’è mai stato; qualcun altro sì, ma solo sulla costa continentale, senza mai spingersi verso le (poche) isole turche rimaste in mano alle Repubblica Kemalista dopo il Trattato di Losanna.
“Facciamo una pausa a Susurluk”, consiglia Begüm; a chi di noi conosce un po’ la storia turca recente, Susurluk ricorda inevitabilmente il noto incidente che svelò rapporti inaspettati tra mafia, estrema destra e stato turco, negli anni ’90. Scopro oggi però che Susurluk è ancor più celebre per i suoi toast; e così ci fermiamo da un tostçu, famoso per la sua salsa di pomodoro in cottura sul pane caldo.
Quando arriviamo a Geykli, dove si prende un breve tratto di traghetto di un’ora per l’isola di Bozcaada, il sole è gentile: togliamo le scarpe e infiliamo i piedi nella sabbia, accanto ad una rete da pallavolo rimasta dall’estate.
Mentre siamo sul battello, ci viene chiesto il passaporto: la polizia di frontiera, in questo ponte tra Turchia ed Europa, sta svolgendo ciò che chiama “operazioni per la pace interna”. Commentiamo l’episodio con Aslı e Annie, che scopriremo nei giorni successivi essere due attiviste per i diritti dei lavoratori, in contesti in cui il lavoro incontra la devastazione ambientale. Cantieri navali ed edili, agricoltura intensiva, miniere. L’incontro “tra scioperi verdi e rossi”, lo definirà Aslı presentando uno dei tanti documentari proiettati al film festival ecologista BIFED . Questo incontro sul battello è un primo assaggio dello spirito del festival di film e documentari a tema ecologista, giunto alla sua nona edizione , per cui siamo qui: decine di persone di ritrovano in questa piccola isola, provenienti da molti luoghi diversi e accomunati dall’impegno e dall’interesse per le dinamiche ambientali e sociali in atto nel mondo.
BIFED offre a tutti noi un’opportunità unica: ritrovarci in un luogo tranquillo, e dedicare del tempo per condividere la nostra storia, ed incontrarne altre. Ciò che sta negli interstizi, nelle pause di BIFED, è di pari importanza rispetto alle proiezioni. I film vengono proiettati in due sale d’eccezione: la casa del popolo (halk eğitim), dove il sindaco dell’isola chiuderà il festival con un discorso di commossa riconoscenza; e salhane, un affaccio sul mare con una straordinaria vista sul grande castello che svetta sul porto dell’isola. Tra una proiezione e l’altra, pieni di nuove informazioni, voci e immagini da tutto il mondo, si passeggia nel centro storico dal sapore greco di Bozcaada; ci si siede a bere un çay nella piazza centrale; si mangiano meze sorseggiando rakı in una delle tante meyhane nei vicoli bianchi e azzurri. E soprattutto, si incontrano gli altri: le altre persone che, come noi, hanno preso svariati mezzi di trasporto per raggiungere Bozcaada, incuriositi da un festival “slow”, “small” and “local”, come recita il motto di BIFED; o di ritorno dalle scorse edizioni e orgogliosi di coinvolgere nuove persone in questa esperienza.
Inerpicandoci sulle stradine dell’isola, abbiamo appuntamento per colazione nel giardino di Ethem e Petra, i fondatori del Festival. Ci rivediamo dopo i mesi di studio alla Bilgi, università istanbuliota in cui ci siamo incontrati. E sembra che la discussione ricominci da dove l’avevamo lasciata. Commentiamo il loro film, “4857”, che la sera prima ha stimolato un intenso dibattito circa le politiche del lavoro per i manovali dell’industria navale in Turchia. Deniz, l’amica turca che ci accompagna, ha lavorato nella zona di Tuzla come impiegata: “Quando aprivamo le finestre degli uffici per il caldo estivo, la sera mi sciacquavo di dosso la polvere nera del cantiere. Ho sentito i miei datori di lavoro mercanteggiare sui risarcimenti alle famiglie dei morti sul lavoro per evitare di essere denunciati”.
Assaggiamo l’olio delle olive che Petra ed Ethem hanno raccolto nel loro campo, nella zona di Geykli. Immaginiamo possibilità di future collaborazioni con associazioni in Italia.
“L’importanza dei documentari a tema sociale e ambientale non è solo la sensibilizzazione a chi ne fruisce nell’immediato, ma sta anche nella potenza di questo mezzo per mantenere memoria delle lotte a contrasto dei fenomeni di devastazione ambientale”, commenta Süleyman, uno dei volontari che contribuiscono alla realizzazione del festival, mentre chiacchieriamo nel giardino della sala stampa e ufficio di BIFED. “I documentaristi, insieme ai giornalisti, sono tra gli attori fondamentali per le nostre lotte: oltre a loro, ci sono le vittime, ad esempio chi subisce in prima persona l’effetto del lavoro a contatto con sostanze tossiche, o chi vive in aree al centro dello sfruttamento estrattivo e non ha più accesso all’acqua; poi ci sono gli scienziati che validano le conseguenze nocive di certe azioni, e gli avvocati che sollecitano la giustizia perché non rimangano impunite”, spiega Annie.
È un’esperienza speciale camminare per le vie di una piccola cittadina e cogliere stralci di conversazioni dai tavolini, dalle panchine, di chi si confronta su temi cruciali, stimolato da ciò che ha visto e ascoltato nel corso di una fitta programmazione . Tutto ciò risulta ancora più prezioso quando accostato ai durissimi tentativi di silenziare la società civile turca.
È impossibile lasciare l’isola senza un velo di malinconia: dopo cinque giorni BIFED ha creato una comunità. Non ce ne andiamo come spettatori, ma come amici e compagni di un festival di straordinaria bellezza.
Galleria fotografica
Le foto di Mattia de Virgiliis al Festival internazionale del documentario ecologista di Bozcaada