Grecia e Turchia: machismo nel Mediterraneo orientale

Uno scontro dalle radici antiche, riattizzato dalla scoperta di ingenti risorse energetiche sui fondali marini: durante tutta l’estate Turchia e Grecia hanno mostrato i muscoli nel Mediterraneo orientale. Ma è davvero concreto il rischio di un conflitto aperto? Un’analisi

09/09/2020, Filippo Cicciù - Istanbul

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Navi da guerra turche nello stretto dei Dardanelli (© thomas koch/Shutterstock)

“Ci stavano mandando in missione a Megisti, un’isola sperduta nell’Egeo. La più piccola, la più lontana. Importanza strategica: zero”. È il giugno del 1941 e con questo stato d’animo il tenente Raffaele Montini è alla guida un plotone sgangherato di otto soldati italiani che presto verranno dimenticati in una piccola isoletta abitata da greci distante solo un paio di chilometri dalla costa turca.

Megisti, la piccola isola conosciuta anche con il nome di Kastellorizo o Castelrosso, all’epoca era un possedimento italiano. Dagli anni ’20, l’Italia controllava infatti tutte le isole dell’arcipelago del Dodecaneso, di cui Megisti rappresenta l’estensione più orientale. Sarebbe stato interessante sapere che emozioni avrebbe provato il tenente Montini ricordando la sua avventura qualche anno più tardi, nel 1947 quando, con il trattato di Pace firmato a Parigi, Megisti e tutte le altre isole del Dodecaneso furono cedute dall’Italia alla Grecia.

Montini non è però mai esistito nella realtà. È un personaggio di fantasia interpretato da Claudio Bigagli in “Mediterraneo”, il film di Gabriele Salvatores del 1991 che fu premiato negli Usa con l’Oscar per il miglior film straniero.

Mentre proprio nella zona di mare in cui si trova Megisti si sta alzando in queste settimane la tensione tra Grecia e Turchia, fa un certo effetto pensare a quello che diceva il tenente Montini guardando sconsolato l’isola semideserta all’inizio del film: “Importanza strategica: zero”.

Megisti rappresenta oggi uno dei nodi principali su cui Ankara e Atene si stanno scontrando furiosamente per il controllo strategico del Mediterraneo orientale. A parte una leggera collisione tra una nave da guerra turca e una greca, per ora il conflitto si è consumato soltanto a parole, sebbene i toni utilizzati in Turchia siano incandescenti, come il caso di un consigliere sulla politica estera di Erdoğan che, in diretta TV, ha menzionato esplicitamente la possibilità della guerra sostenendo che lui stesso avrebbe sparato a un pilota greco se la Turchia avesse subito attacchi.

Eventualità che per ora pare improbabile anche se durante l’estate la presenza militare nelle acque mediterranee si è sicuramente irrobustita e sia Grecia che Turchia hanno condotto esercitazioni navali.

L’isoletta greca di Megisti permette legalmente ad Atene di rivendicare il controllo delle acque circostanti in base alla legislazione marittima ONU del 1982, documento firmato da quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo con l’eccezione della Turchia, oltre che Siria e Libano.

Ankara guarda invece alla ridotta distanza, poco più di 2 chilometri, che separa Megisti dalla costa turca e al fatto che quell’isola si trovi geograficamente dominata dal territorio anatolico. Per quanto sia piccola e vicinissima alla Turchia, Megisti è dal 1947 territorio greco e la sua presenza impedisce ad Ankara il pieno controllo sul mare che si estende dalla punta sud occidentale del territorio turco. Una situazione percepita come inaccettabile da parte dei turchi.

Madrepatria Azzurra

Non la pensano così solo i sostenitori del presidente Erdoğan, che durante l’estate è tornato a minacciare interventi militari per il controllo delle aree marittime disputate con la Grecia. Anche la parte più nazionalista della popolazione turca, che generalmente non vota per Erdoğan e si sente legata al fondatore della Repubblica secolare di Turchia Atatürk, è su questo punto schierata totalmente dalla parte del presidente.

Erdoğan ha infatti giurato di voler difendere ad ogni costo la “Madrepatria Azzurra”, un’area marittima di 462mila km quadrati che rappresenta l’ambizione di espansione marittima della Turchia ed è stata immaginata nel 2006 – con il nome di Mavi Vatan -dall’ammiraglio turco Cem Gürdeniz, un militare che non ha mai nascosto la sua ostilità all’Islam politico incarnato oggi dal presidente turco.

La teoria Mavi Vatan si basa sull’assunto che la Turchia di oggi è un paese diverso da quello che era nel 1923, quando con il trattato di Losanna vennero definiti gli attuali confini turchi e greci, e nel 1947, quando la Grecia prese possesso del Dodecaneso. Chi crede nella Madrepatria azzurra guarda allo sviluppo, innegabile, che ha avuto la Turchia negli ultimi 20 anni e ritiene che le condizioni economiche di oggi debbano giustificare un ben più ampio controllo marittimo da parte di Ankara.

Questa concezione ignora però i trattati che hanno definito gli attuali confini di Grecia e Turchia e anche la legge del mare ONU del ’82, comunque già non riconosciuta da Ankara. Nonostante gli oggettivi impedimenti a livello legale e le accuse di invasione della Grecia, Erdoğan ha continuato ad insistere sulla Madrepatria azzurra per tutta l’estate, come dimostrato dalle sue recenti affermazioni: “La Turchia si prenderà la sua parte nel Mediterraneo ma anche nell’Egeo e nel mar Nero. Quando diciamo che vogliamo fare qualcosa significa che lo faremo davvero, siamo pronti a pagare il prezzo delle nostre azioni”.

Provocazioni

Già in luglio la Turchia aveva dimostrato chiaramente la propria determinazione mandando un suo vascello in esplorazione energetica nelle acque disputate con la Grecia, a largo di Megisti. La missione turca ha riacceso in un istante tutti i vari conflitti con i greci, che in larga parte hanno radici storiche molto robuste riguardanti l’esistenza stessa dei due stati.

Più che un atto di forza all’improvviso, la Grecia ha guardato all’episodio come alla goccia che ha fatto traboccare il vaso. La missione turca è arrivata infatti mentre si stava ancora consumando una dura polemica da parte di Atene per l’improvvisa decisione di Erdoğan di riconvertire Santa Sofia in moschea e la situazione era già viziata da un altro problema: l’accordo marittimo che la Turchia ha siglato con il GNA di Tripoli a novembre 2019 e che era stato immediatamente definito illegale da parte della Grecia.

In seguito ad un’azione mediatrice da parte della Germania, Erdoğan ha inaspettatamente ritirato il vascello turco dalle acque disputate. Il gesto è stato subito interpretato come un’apertura verso Atene ma la tensione si è riaccesa solo pochi giorni dopo, quando la Grecia ha firmato un accordo marittimo nel Mediterraneo con l’Egitto, un piano che la Turchia respinge perché andrebbe ad interessare aree del mare su cui Ankara ritiene di avere diritti. In breve tempo la nave per l’esplorazione energetica turca è tornata nelle acque disputate e il Mediterraneo ha cominciato ad essere sempre più militarizzato.

E Cipro?

Per comprendere come le questioni tra Ankara e Atene riguardino in realtà anche molti altri paesi e in generale l’Unione Europea, dobbiamo però guardare ad un’altra isola nel Mediterraneo orientale, molto più grande di Megisti. Divisa dal 1974 in seguito a un’invasione militare turca, l’isola di Cipro ospita una delle missioni ONU più antiche e la sua parte settentrionale è un territorio riconosciuto unicamente dalla Turchia mentre il sud dell’isola è uno stato che dal 2004 fa parte dell’UE.

La scoperta negli ultimi 10 anni di risorse energetiche in varie zone al largo della sua costa ha inasprito la precaria condizione amministrativa dell’isola trasformando la dimensione “etnica” del confitto in una corsa alle risorse energetiche che mette la Turchia in competizione con molti stati dell’UE, tra cui l’Italia.

A febbraio 2018, un vascello utilizzato dall’ENI per perforazioni a scopo energetico nelle acque attorno a Cipro è stato bloccato da navi da guerra turche e costretto a invertire la rotta . Anche nel caso di Cipro, la Turchia ritiene di non avere ciò che le spetterebbe e lo sfruttamento a livello energetico dell’area resta interdetto proprio a causa del fatto che le altre forze coinvolte faticano a trovare compromessi con Ankara.

Le tensioni del Mediterraneo orientale iniziate in luglio nei pressi dell’isola di Megisti ora convergono nelle acque disputate a largo di Cipro dove da qualche giorno la Turchia ha iniziato un’esercitazione militare congiunta con le forze turco-cipriote.

Se mettessimo a confronto la potenza militare turca con quella greca – paragone invocato quasi quotidianamente nel dibattito pubblico oggi in Turchia – Ankara risulterebbe molto più forte di Atene. La questione del Mediterraneo orientale riguarda però una molteplicità di attori e per questo motivo il confronto militare tra le sole forze greche e turche non rappresenta un’opzione credibile.

Sarebbe davvero conveniente per la Turchia muoversi da sola in un conflitto con la Grecia? Probabilmente no, considerando soprattutto che Atene è parte dell’Unione Europea e sebbene non esista un esercito comune nell’UE sicuramente Bruxelles prenderebbe una posizione netta nel caso il suo confine orientale venisse attaccato dall’estero.

Una guerra tra Turchia e Grecia porrebbe serie questioni anche riguardo alla Nato. Un conflitto di questa portata tra due membri della Nato metterebbe potenzialmente fine alla stessa Alleanza atlantica costringendo la Turchia a sbilanciarsi totalmente verso la Russia, diventandone probabilmente succube, o a restare isolata.

Per il momento l’UE non ha gradito né l’atteggiamento turco né quello greco accusando entrambe le parti di sostenere una “politica machista”. Con Ankara però Bruxelles ha deciso di utilizzare la politica del “bastone e la carota”, come ha affermato il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel che, dopo le possibili sanzioni verso la Turchia menzionate dall’Alto Rappresentante della politica estera UE Josep Borrell, ha annunciato una “conferenza multilaterale” che prossimamente coinvolgerà tutti i paesi che hanno sbocchi sul Mediterraneo.

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