Cinema curdo, ciak sul presente
Dodici film e proiezioni affollate per il Festival del cinema curdo a Roma. Una terza edizione nel segno dei diritti umani violati in Turchia. Ma anche di denuncia della stessa società patriarcale curda. Mentre nelle sale europee esce I fiori di Kirkuk, ecco i giovani talenti della rassegna, con produzioni in concorso nei festival europei
“Il cinema curdo è come una donna incinta, bisogna aiutarla a partorire”. La capacità di visione della giovane generazione di registi visti al Terzo Festival del cinema curdo a Roma (9-11 dicembre) dà argomenti nuovi alla battuta di Bahman Ghobadi, oggi tra i loro capofila a livello internazionale.
Filo rosso di quest’edizione, i diritti umani. Così le 12 pellicole in calendario, in prima assoluta e in lingua originale, con sottotitoli in italiano, tra lungometraggi, corti e documentari, si sono alternate a due convegni sul tema. Ad organizzare la rassegna l’associazione Europa Levante, in collaborazione con Roma Lazio Film Commission, Nuovo Cinema Aquila, Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma, Consiglio Regionale del Lazio, Anci, Arci, Uiki onlus, Progetto Diritti onlus e Un Ponte per.
“Abbiamo voluto che la rassegna coincidesse con la Giornata mondiale Onu dei diritti umani del 10 dicembre – spiega a OBC la direttrice di Europa Levante, Hevi Dilara – oggi non c’è Stato europeo in cui non si tenga almeno un festival di film curdi. Ed è importante perché il cinema può avvicinare più di libri, giornali e tv alla realtà quotidiana dei curdi e alla loro storia”.
Nella selezione dei film di quest’anno pellicole accreditate nei festival europei. “I migliori mercati per il cinema curdo oggi sono Gran Bretagna e Germania, sia per trovare pubblico che produttori – spiega Dilara – ma la sfida a breve è poter filmare in Turchia e in lingua curda, come ancora è ancora difficile fare, perché ai cineasti vengono frapposti ostacoli. Le riforme avviate dal governo Erdoğan in questo senso restano ancora sulla carta”.
Tre giorni, due convegni e 12 film
Oggi i film vengono per lo più girati in Kurdistan iracheno, meno in Siria e Turchia, dove pure qualche regista ha realizzato opere portate a Roma. Non mancano titoli premiati anche da festival turchi. Per questo il "diritto di ciak" è stato al centro della prima tavola rotonda (tra gli altri, con Ayten Mutlu, regista curda della diaspora, residente in Svizzera; Bulent Gunduz regista curdo-francese; Viyan May regista arrivata da Erbil, nel Kurdistan iracheno; Luca Lo Bianco presidente Film Commission di Roma; Fabrizia Falzetti produttrice de “I fiori di Kirkuk”, successo internazionale in queste settimane anche in Italia, col regista del film, Fariborz Kamkari; l’attore Massimo Ghini, segretario generale del Sindacato Attori Italiani-CGIL; Sandro Portelli docente all’Università La Sapienza di Roma e Fabio Meloni direttore del Nuovo Cinema Aquila, sede del festival).
Oltre alla libertà espressiva, ad introdurre le proiezioni anche un convegno sui diritti umani, con interventi – tra gli altri – di Furio Colombo, membro della Commissione Affari Esteri della Camera, e Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino”.
Buio in sala, ecco le storie contemporanee del popolo diviso in quattro Stati (Iran, Iraq, Siria e Turchia) viste in questi giorni. In evidenza, film di esilio e denuncia delle violazioni turche, ma anche dei delitti d’onore compiuti nelle famiglie curde contro le donne.
Zara di Ayten Mutlu Saray (90’)
Una memoria d’infanzia incancellabile per una giovane esule in Europa, che da adulta torna a Zara (letteralmente “dove nasce la strada”), il suo villaggio curdo.
Fitto di simboli, il film spicca per lo choc culturale tra la protagonista che, in abity trendy e occidentali, con un’amica tedesca del tutto ignara torna in Anatolia orientale, e il mondo arcaico dove cerca le proprie radici.
L’incontro est-ovest è inconciliabile, la ragazza tedesca muore. Premio del cinema svizzero Quartz per la miglior musica da film 2009. Ha concorso ai festival di Dubai, Rotterdam e Londra.
Berf/La Neve di Erol Mintas (10’)
Un corto con protagonista un’anziana che vuole sulla sua tomba un pugno di neve, traccia labile delle montagne dove ha perduto i figli. Andranno per lei a prenderlo sul monte Ararat. Il film è girato interamente in curdo con attori non professionisti a Doğubayazıt, in Turchia orientale, ai piedi dell’Ararat.
Anche i protagonisti sono stati scelti dal regista -ventisettenne, nativo di Kars, studioso di esistenzialismo e Tarkovskij- mentre tornavano dai campi. Recensito anche in Turchia, dal quotidiano “Zaman”.
Ha vinto il prestigioso festival turco di Antalya (ottobre 2010), sezione corti. In cartellone anche in quelli di Montpellier e Tangeri.
Che cosa serve oggi al cinema curdo? hanno chiesto a Montas in un’intervista recente. "Direi tre cose: l’uso della nostra geografia, della lingua e la formazione di maestranze. Ovviamente anche la produzione dovrebbe fare passi avanti".
Evdale Zeynikè di Bulent Gunduz (70’)
L’epopea curda trasmessa dai cantastorie regionali, i dengbej, custodi di una tradizione orale secolare impressionante, la stessa che ispirò uno dei massimi narratori turchi del ‘900, Yaşar Kemal.
Il protagonista qui è uno degli ultimi Omero dell’Anatolia orientale, mendicante e cieco, Evdal, insieme a donne, uomini e anziani che hanno accennato brevi canti davanti all’obiettivo del regista e alle nuove generazioni. Testimoni e aedi dunque, più importanti se la cultura è negata. Nei loro versi, i dettagli della natura e le battaglie leggendarie. Un docufilm (il trailer) tra forza delle immagini e ricerca etno-antropologica.
Girato nei villaggi curdi dell’Anatolia orientale. Premiato come migliore opera prima al New York International Independent Film Festival, a luglio 2010.
Bir tutam sac/Una ciocca di capelli, le ragazze scomparse di Dersim di Nezahat Gündoğan (58′)
Un documentario sulle adozioni forzate di bambine curde da parte di militari turchi.
Un incredibile percorso all’indietro per non perdere la propria identità. Rasate a zero nell’infanzia, alcune avevano conservato ciocche di capelli, per ritrovare i familiari.
La regista ha contribuito a mettere fine al segreto di Dersim (oggi Tunceli), teatro di un massacro e di una feroce pulizia etnica, e delle sue bambine adottate, 70 anni fa. Furono una serie di inchieste giornalistiche nel 2008 a rivelare al pubblico turco questa rilettura della storia ufficiale. La Gündoğan ha cercato le sopravvissute e lentamente le donne hanno parlato.
L’operazione militare del 1937-38, proseguita in forma di repressione culturale fino agli anni ’90 per chi facesse riferimento ai villaggi curdi aleviti di questa regione, pochi mesi fa è finita in Parlamento. Il film è stato proiettato all’Istanbul Film Festival ad aprile 2010.
Kevoca spi/Colomba Bianca di Viyan Mayi (24′)
Un film sui delitti d’onore nelle comunità curde, che costano la vita ogni anno a un numero inarrestabile di donne. Qui il tema scelto della regista è l’adulterio. Un ragazzo istigato dai familiari diventa l’assassino di sua sorella. Ma impazzisce.
La Mayi, profuga curda dall’Iraq dopo la prima Guerra del Golfo (1993) e oggi rientrata nel Kurdistan iracheno dove lavora per i diritti delle donne, ne è regista e sceneggiatrice. Il film viene dal Gulf Film Festival di Dubai (aprile 2010).
Bêrîvan, poema di ribellione di Aydin Orak (50′)
Una giovane donna che ha vissuto la rivolta. Rivendica, nel documentario-intervista con il regista, il diritto di manifestare per la propria identità e cultura, come per Newroz, il capodanno mesopotamico, coinciso ancora nel 1992 con giornate di sommossa e di dura repressione. Proiettato ad Istanbul, Amburgo e Vienna.
Crossing the dust/Attraversando la polvere di Savket Enim (71′)
Storia di due guerriglieri peshmerga del Kurdistan iracheno nel giorno della caduta di Saddam Hussein.
Bèdengi/Silenzio di Aziz Capkurt (14’)
Opera prima appena uscita e già distribuita in Europa. Un corto sugli scomparsi e la difficoltà dei familiari di rivendicare i loro diritti. Premio speciale della giuria all’Adana Film Festival.
Ase/Incastrato di Ro Oguz (13’)
Un giovane curdo rientra in Turchia dall’estero dov’era emigrato. Ma tra la leva obbligatoria, che non vuole, e la vita clandestina, alla fine sceglie di darsi la morte.
Silhouette di Kamiran Betasi (10′)
Un bambino nasce ma è senza culla. Il padre gli procura una bara per dormirci. Una piccola fortuna in un villaggio preda della povertà e lasciato al suo destino.
Guz/La Noce di Soran Ibrahim (8′)
Un corto paradossale. Un ragazzino vuole raccogliere una noce, che finirà nel cesto di qualcun altro.
Dema Tùya/Il Tempo dei Gelsi di Firat Yavuz e Seren Gel (16’)
Un uomo costretto a fare il guardiano del villaggio, pagato da Ankara, inviso ai suoi compaesani curdi. È sul punto di farla finita. Ma lo salva un gioco di bambini su un albero di gelso. Già uscito in Turchia e presentato al Festival del cinema curdo di Parigi (dicembre 2010).